La chiamano Era Digitale ma è chiaro che dietro a questa definizione, ricca di innovazione e positività, qualcosa di subdolo ci dovrà pur essere.

Sono i pro e i contro della condivisione, della facilità con cui si può rintracciare qualcuno, ciò che ha sollevato la grande polemica sul trattamento e la diffusione dei dati personali.

In particolare, ci si stupisce e ci si indigna del fatto che Facebook, coinvolto nello scandalo di Cambridge Analytica, non abbia protetto, o meglio, abbia strumentalizzato i dati dei propri utenti.

Facebook, lo stesso gigante che è entrato nelle nostre vite dal 4 febbraio del 2004, data di lancio, e che ha rivoluzionato il nostro modo di vivere e di pensare. Uno dei più grandi contributori a questa Era Digitale.

Marzo 2018: in seguito ad un’inchiesta congiunta di The New York Times, The Guardian e The Observer, basata su delle dichiarazioni di un informatore, viene rivelato che Cambridge Analytica, società di consulenza per il marketing online, preleva ed utilizza in modo scorretto, un’enorme quantità di dati personali da Facebook. Christopher Wylie, principale fonte, afferma che Facebook era al corrente già da cinque anni di questo prelievo illecito d’informazioni, e, solo dopo la pubblicazione dell’inchiesta ha provveduto alla sospensione di Cambridge Analytica.

Il sospetto è che le informazioni raccolte, siano state utilizzate al fine di influenzare l’esito della campagna elettorale di Trump e a danno di Hilary Clinton, favorendo così la Russia.

Ma è giunto il momento di riflettere e autoresponsabilizzarci: qual è stato il contributo che abbiamo dato noi, singoli utenti, a questo scandalo?

Prima di rispondere a questo quesito, analizzando lo scopo di Facebook, e degli altri social network in generale, scopriamo che è proprio la condivisione, la parola sulla quale si fondano.

Al momento dell’iscrizione al social network, atto che giuridicamente si può inquadrare in un’accettazione di una proposta contrattuale, coincidente alla formazione di un vincolo giuridico tra l’utente e l’Internet Service Provider, consapevolmente accettiamo di condividere i nostri momenti di vita, anche i più intimi, o comunque di appropriarci di quelli degli altri.

È da Facebook che banalmente captiamo informazioni sugli altri utenti registrati, siano essi amici, parenti o sconosciuti, trasformandole spesso in argomenti di conversazione, ed è su Facebook che possiamo costruire il nostro “avatar” (personaggio virtuale), magari un po’ più sicuro, abbiente ed esteticamente più bello, di quanto siamo noi nella realtà.

Come ci si può stupire se un gigante dell’economia abbia colto e conseguentemente lucrato su questo fenomeno sociale? Non sta a lui tutelarci e non è lui a decidere quanto entrare nelle nostre vite. Siamo noi che decidiamo cosa e quanto condividere e dovrebbero essere le autorità competenti a proteggerci e a tutelarci quando necessario.

Un’ulteriore riflessione, che questa vicenda ci porta a fare, è quella sul valore che i social network hanno al giorno d’oggi nella nostra vita. È evidente ormai, che non possiamo attribuire alle notizie che leggiamo su Facebook, verità assoluta e dobbiamo ponderare attentamente ciò che il Social Network decide di mostrarci.

Tuttavia, un’iscrizione gratuita sarebbe stata utopica. Ogni beneficio, se così vogliamo chiamare l’apporto di Facebook nelle nostre vite, ha un costo. Ed è proprio così che ha risposto Mark Zuckerberg, il CEO, al Senato americano quando, in seguito allo scandalo di Cambridge Analytica, gli è stato chiesto dal Senatore Orrin Hatch se Facebook continuerà ad essere un servizio gratuito. Possiamo toglierci dalla testa una protezione totale dei dati personali, la pubblicità resterà il finanziamento più grande del colosso.

Il lato positivo del caso è che l’allerta attuale delle autorità competenti è massima. Finalmente ci sarà una stretta concreta e un’attenzione più meticolosa sull’interrompibile flusso e sulla continua diffusione dei dati sul web.

Infine, aspetto secondario ma non meno importante, forse questo scandalo ci insegnerà che non è compito di un social network dare corretta informazione politica e non è il miglior mezzo di comunicazione su cui formare le proprie convinzioni.

Alessandra Giulia Nastri

Comments (3)
  1. Giuseppe Floridia (reply)

    19 Ottobre 2018 at 14:42

    Soluzione semplice. Vietare l’uso e il trasferimento dei dati e vietare la pubblicità. Ogni servizio deve avere un costo monetario e non un costo occulto

  2. elena canalis (reply)

    19 Ottobre 2018 at 16:06

    occorre che tutti si abituino a pensare a facebook semplicemente per quello che è: una azienda.
    tutte le aziende hanno clienti (che non siamo noi per facebook) e fornitori (che non siamo noi per facebook).
    e allora cosa siamo noi per facebook? Semplice, noi siamo il PRODOTTO che vende.
    se tutti quanto quando lo usiamo ci poniamo in questa prospettiva, molte cose le vedremmo diversamente e soprattutto sapremmo gestirle diversamente. consapevolmente.

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