Pickett ha partecipato nei giorni scorsi ad un interessantissimo seminario sull’Intelligenza Artificiale (“I.A.”) già oggetto di numerosi contributi apparsi su questo blog. La chiaccherata con il professor Cosimo Accoto (professore con un passato da filosofo approdato all’innovazione tecnologica, attualmente impegnato in studi e ricerche al MIT di Boston, il punto piu’ avanzato della ricerca mondiale in questo settore) ci ha però aperto degli orizzonti nuovi, affascinanti ma inquietanti rispetto al mondo che ci aspetta tra non molti anni. Forse già domani, se non oggi. Un mondo in cui sicuramente l’implementazione del sapere tecnologico raggiungerà vette inimmaginabili, viste soltanto, per ora, al cinema, in diversi film di fantascienza che ci sembravano rappresentazioni di bizzarre follie e che oggi sono diventate angoscianti realtà. Un mondo che Pickett lascia alla vostra valutazione se sarà migliore o peggiore rispetto a quello che abbiamo frequentato fino ad oggi.
Accoto ci ha presentato una serie di progetti che sono o in fase di sperimentazione o sono già diventati realtà operative nel mondo dell’industria 4.0.
Ve ne socializzo quattro che mi hanno fatto capire un “dettaglio” che mi era sempre sfuggito e che mi ha creato qualche incubo notturno.
Ma andiamo con ordine ed entriamo nel mondo dei robot e dello stato dell’arte dell’ IA in uno dei santuari dell’innovazione tecnologica, il MIT di Boston appunto.
Il primo progetto riguarda un robot che è stato pensato e costruito per fare il ranger nei parchi nazionali americani. Il software, il suo cervello in altre parole, è stato realizzato combinando le esperienze maturate da centinaia di guardia parco americani, quelli del cartone animato dell’orso Yoghi e di Bubu tanto per intenderci. Ebbene con questa dotazione esperienziale il robot, con le sembianze di un umano meccanico (testa, busto, braccia, gambe e piedi), è stato accompagnato in un bosco e lasciato andare da solo alla conquista del parco. Nel filmato, visibile nella Rete, si vede il robot accompagnato da un umano vero che inizia, lasciato solo, la sua conoscenza del bosco, camminando a piedi e reagendo ai vari ostacoli naturali presenti in una foresta tipica. È stato programmato così, il suo software gli da tutte le informazioni necessarie a superare tronchi d’albero, salite scoscese, discese improvvise e pericolose barriere di varia natura. Volontariamente, questa è una parte rilevante della sperimentazione in corso, non gli sono state date informazioni sul superamento di eventuali ruscelli presenti nella foresta. Diventa quindi straordinario assistere nel filmato al robot che, di fronte al primo ruscello incontrato, si ferma, sembra che studi la situazione, che osservi un ostacolo non solo non previsto ma non conosciuto. E allora? Qui c’è la prima inquietante novità che ha lasciato Pickett sveglio per alcune notti. Il robot non si arresta: mette un piede in acqua, controlla profondità e quando si accorge che il fondale è basso e gestibile, posa l’altro piede e, piano piano, attraversa, con movimenti lenti e prudenti, il piccolo corso d’acqua, superandolo brillantemente. Al secondo ruscello il movimento è più veloce ed efficacie, al terzo, normale e vincente.
Conclusioni, confermate con grande serenità e tranquillità dal professor Accoto:  il robot ha implementato il suo software aggiungendo, in base alle informazioni originariamente ricevute, alcuni dati specifici raccolti nella visione e gestione del passaggio del ruscello, un ostacolo non previsto e di cui non sapeva né l’esistenza né le modalità per superarlo. Dunque questo tipo di robot si muove e decide il suo comportamento non solo in base alle istruzioni degli umani contenute nel software ma in base a esperienze sue dirette, maturate sul campo. Valorizzando le istruzioni ricevute, integra e completa, via via, esperienza dopo esperienza, il suo sapere, gestendo in modo autonomo la parte nuova, quella creata da lui.
Accoto parla di un 10/15% di autonomia decisionale di questi robot rispetto alle istruzioni originarie degli umani contenute nel software: nel bosco tutto bene, nessun problema. Ma in altre applicazioni? Quella autonomia decisionale maturata sul campo come potrebbe essere gestita dal robot? Che decisioni potrebbe assumere in altri campi, in altre applicazioni, come quelle militari o di ordine pubblico?
Secondo esempio filmato. Siamo in un capannone industriale e il protagonista è sempre un robot con le sembianze di un umano. Ha l’incarico di gestire la logistica del magazzino sollevando e mettendo a posto centinaia di pacchi grandi e piccoli, pesanti o leggeri. Una mansione già in uso in diverse fabbriche, anche italiane. La peculiarità del filmato consiste però in una scena particolare. Mentre è al lavoro, indaffarato a mettere a posto gli scatoloni, il robot viene avvicinato da un umano che gli da un calcione sbattendolo violentemente a terra. Il robot resta un attimo fermo, quasi a controllare che “non ci sia niente di rotto” e poi molto lentamente, con movimenti meccanici ma anche molto umani, si tira su tornando eretto, in piedi. Come se niente fosse riprende poi la sua mansione di magazziniere. Ma ecco di nuovo l’umano irrompere sulla scena e ripetere il gesto violento buttandolo a terra. Stessa scena di prima. Controllo, movimenti lenti per rialzarsi, una volta in piedi, ripresa del lavoro interrotto. Come se niente fosse! Dopo il terzo e quarto tentativo, con la stessa sceneggiatura, allo spettatore sorge un dubbio: ma quanta pazienza possiede questo robot che non si rivolta mai contro un capo violento e maleducato? Accoto, con un sorriso, risponde “La sperimentazione in corso dimostra che solo in alcuni marginalissimi casi il robot, dopo l’ennesimo, ingiustificato calcione, si rialza e va verso l’umano, fermandosi di fronte a lui senza riprendere le sue mansioni.” Non aggiunge che avrebbe avuto anche l’aria minacciosa, questo no, ma chissà ….!
Pazienza dunque, certo. Ma non sempre, si direbbe!
In entrambi i casi analizzati si può ricavare una prima importante, e per Pickett assolutamente nuova e sorprendente, deduzione: i robot avranno un software con le istruzioni che devono programmare la loro attività. Ma potranno implementare queste istruzioni attraverso le loro esperienze, belle o brutte che siano, che acquisiranno nel corso della loro attività. Quindi saranno anche autonomi nella elaborazione di tali esperienze. Quindi potranno anche stufarsi dei calcioni ricevuti immeritatamente, reagendo al sopruso. Oppure inventarsi nuove vie per attraversare ostacoli non previsti sul loro cammino. Insomma avranno, magari anche solo per un 10/15%, una loro autonomia decisionale. Una loro indipendenza comportamentale. Con tutti gli scenari già visti in molti film che pensavamo di fantascienza.
Il terzo e quarto esempio riguardano un altro aspetto che dobbiamo immaginare con lo sviluppo della I.A.: le reazioni di noi umani alle prese con le macchine/ robot “figlie” del progresso tecnologico.
Primo caso: il successo che stanno ottenendo, negli Stati Uniti e non solo, i corsi di lingue straniere tenuti da macchine o in remoto o direttamente in un face to face con lo studente.
La ragione?
I clienti non si vergognano o non si intimidiscono per gli strafalcioni che dicono alla macchina. Imparano di più e più in fretta perché non hanno i freni inibitori della vergogna o della timidezza. La macchina non suscita sudditanza e accelera i processi di apprendimento.
Pickett si pone un quesito però: ma nella nostra formazione educativa, nel nostro percorso formativo, quanto sono stati importanti i sentimenti della vergogna o della timidezza? Quanto hanno inciso sul nostro carattere e sul modo di diventare Noi così come siamo diventati? Non sono, di per se, dei valori negativi, anzi, spesso, sono dei regolatori dei nostri eccessi. Dei salutari limiti psicologici alle nostre arroganze, presunzioni, manifestazioni eccessive di sopraffazione. Non sempre quindi dei tappi all’apprendimento ma semmai dei gestori dei nostri eccessi. Adesso, se ne perdiamo le tracce in quanto non più cinicamente utili di fronte alle macchine, saremo davvero migliori? Conosceremmo meglio e in modo migliore le lingue straniere ma, senza il senso della vergogna o della timidezza, saremmo davvero degli umani gradevoli e virtuosi?
Quarto e ultimo caso: non fantascienza ma realtà quotidiana. Le auto senza guidatore, dirette da robot istruiti a tutte le difficoltà e complessità di un traffico cittadino o di lungo raggio. Accoto ci ha raccontato che al Mit si stanno studiando gli scenari di un mondo prossimo a venire in cui il 50% degli umani avrà un auto autonoma senza pilota. Forse meno incidenti, meno code, meno disagi alla circolazione. Sicuramente però quel 50% di ex guidatori, ormai viziati dalle loro auto indipendenti, saranno meno allenati, meno pronti a tornare al volante. In caso di urgenze, in cui dovranno riprendere la guida, saranno meno pronti e meno adeguati ai rischi del traffico, diventando dei pericoli pubblici loro malgrado.
Questi gli scenari che ci ha molto piacevolmente raccontato il professor Cosimo Accoto. Andate sul suo sito e approfondite la materia, ne vale davvero la pena.
Poi però non lamentatevi dell’insonnia, Pickett vi aveva avvertito.

Comments (1)
  1. Fidelio Perchinelli (reply)

    21 Aprile 2017 at 15:27

    Caro Picket, Carissimo Amico mio,
    sempre meno fantascienza, sempre più realtà. La robotica o il mondo dei robot si va espandendo affrancando l’ uomo da molte attività.
    Nel tempo i robot saranno sempre più “intelligenti” messo tra virgolette, perché non è l’ intelligenza dei robot che mi spaventa, ma la dimostrata capacità dell’ umanità di produrre di tanto in tanto dei dottor Stanamore che potrebbero costruire robot in negativo, pericolosi.
    Perché la supposta “intelligenza” dei robot è quella che l’essere umano sarà capace di dargli sia passiva che, per quanto posiibile, attiva, cioè capace di risolvere problemi. Dico supposta intelligenza perché secondo me bisognerebbe trovargli un altro nome.
    Perché l’ intelligenza è il complesso delle facoltà psichiche e mentali che consentono all’ uomo di pensare, comprendere, spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare.
    L’ intelligenza è alla base della consapevolezza e della coscienza del SÈ senza la quale l’ uomo non è tale ma animale.
    Ecco perché il mondo dei robot non mi lascia sveglio, sarà sempre uno strumento realizzato dall’ uomo che è quell’ essere che ha scoperto il modo di costruire bombe atomiche, all’ idrogeno e via dicendo. Ed è questo il punto: quale uso fare degli strument e delle scoperte?
    Il robot per quanto intelligente non si farà mai domande su Dio con tutto quello che segue, non dirà con Socrate: so di non sapere perché saprà solo quello che l’ uomo gli consentirà di sapere. E infine non penso che il robot possa dotarsi della curiosità che è la molla che ha portato l’ uomo a essere quello che è.
    Il mondo dei robot avrà bisogno di leggi specifiche? Può darsi. Già oggi qualcuno ha proposto di tassare i robot che sottraggono lavoro agli esseri umani. L’ uomo ha affrontato ben altre rivoluzioni, penso alla prima rivoluzione industriale, dove erano in gioco le vite vere di tanti contadini costretti a inurbarsi. Affronteremo, affronteranno anche la rivoluzione robotica e saranno costretti a cercare nuove soluzioni a nuovi problemi.
    Per quello che ci riguarda (vecchie generazioni) dobbiamo , finchè saremo in grado di farlo , impedire che la tecnologia distrugga la socialità e manometta le regole del convivere (democrazia). Questo è il vero punto cruciale: Dio è morto, questo è il dato su cui riflettere.

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