Le analogie sono impressionanti. Sembra di assistere alla replica di un film già visto e conosciuto: giudicato pericoloso e da non sottostimare per il fondato rischio di fenomeni di emulazione.

In Italia (l’ultimo episodio di Como dimostra l’ampiezza, gravità e diffusione di questo fenomeno) e in tutta Europa si susseguono casi di violenza psicologica o, spesso, fisica, ostentati come l’unica soluzione al dilagare inarrestabile dell’immigrazione straniera. L’unico rimedio, forte e chiaro, contro la paura” dell’altro”, del “diverso”, del rappresentante di turno del “nemico” invasore. Un nemico che occupa i nostri territori, ci toglie lavoro e sicurezza, ci contamina la nostra stessa identità. Un nemico da eliminare anche con la forza. Questo, in sintesi, il mantra che ci sentiamo ripetere, con dichiarazioni dialettiche similari, in modo ossessivo quasi ogni giorno da coloro che vogliono gestire e manipolare il malessere esistente. Riconducono il tutto ad una unica ragione: l’arrivo degli immigrati, dei diversi, dei nuovi barbari.

Pickett, come sapete, sta raccontando in un ciclo di conferenze al Circolo dei Lettori di Torino, la storia della seconda guerra mondiale con una attenzione particolare ai “perché” scoppiò nonostante l’allora recente e tragica esperienza della prima guerra totale, con tutti i suoi morti e le sue devastazioni.

Ebbene, proprio dalla lettura della storia di quel ventennio, dal 1919 al 1939, dalla firma cioè del trattato di pace di Versailles all’occupazione nazista della Polonia, il 1 settembre 1939, si ricavano moniti precisi sul non sottostimare o, peggio, “cavalcare” il malessere della gente con l’organizzazione e addestramento di gruppi di giovani esuberanti, felici di poter menare le mani, all’insegna di bandiere ideologiche razziste e violente. Nella nascita e ascesa di movimenti come il fascismo e il nazismo, l’elemento della violenza è stato centrale: nella strategia ideata da Mussolini e Hitler vincente. Bisogna giocare sulle paure della popolazione, sul malcontento economico e sociale, per, nell’ordine, (1) individuare in un “nemico”, la causa primaria della paura e dei problemi esistenti; (2) attaccarlo anche fisicamente per le strade dimostrando a tutti, e soprattutto a quelli sul “balcone”, di avere il coraggio di debellarlo anche a nome e per conto loro; (3) ingenerare nella maggioranza dei “balconisti” la sensazione-speranza che esiste davvero chi può con le buone o, soprattutto, con le cattive, risolvere radicalmente la crisi, il malessere, tutti i problemi dei nostri paesi.

Negli anni 20 e negli anni 30 la storia, se sappiamo leggerla sul serio, ci dimostra anche un’altra caratteristica insita nell’essere umano: nei periodi di forte contrapposizione politica o sociale, quando l’ordine pubblico è messo in crisi e la gente e preoccupata di cosa gli sta accadendo sotto gli occhi; quando, in altre parole, c’è un forte bisogno di sicurezza, o, meglio, di pseudo-sicurezza, i “poteri forti”, quelli che gestiscono normalmente il sistema economico e finanziario di una nazione, ripetono sempre lo stesso schema di ragionamento. Si illudono di investire “il promotore di turno” del movimento “dell’ordine anche con la violenza” del ruolo di leader riconosciuto; lo finanziano; immaginano di usarlo con l’obiettivo di riportare il paese alla normalità. Dopo i conflitti, pronti a scaricarlo quando la situazione tornerà sotto controllo. E famosa, a questo proposito, la frase attribuita al presidente della Repubblica di Weimar, il Federmaresciallo Hindenburg, quando, nel gennaio del 1933, diede l’incarico ad Adolf Hitler di costituire il governo e disse “lo abbiamo ingabbiato!”.

La stessa rappresentazione avvenne a Roma, 11 anni prima, quando il re Vittorio Emanuele III, l’esercito e gli industriali videro in Mussolini lo strumento “transitorio” per mettere fine a quattro anni di vera e propria guerra civile che aveva devastato il paese rendendolo povero e ingovernabile.

Certo la violenza, perché questo è lo strumento primario usato dai movimenti “contro” il nemico e “per” l’ordine e la sicurezza, va condita con qualche elemento ulteriore rispetto alla paura. E allora, ogni volta, si costruisce la stessa “lista della spesa” di sempre. Di accuse contro (I) la classe politica corrotta e inadeguata; (ii) il sistema economico mirato alla soddisfazione degli interessi di “pochi” e non di “tutti”; (i i i) il rischio di contaminazione portato dal “nemico” ai nostri valori primari religiosi e civili.

La rappresentazione dunque è pronta. Viene narrata a tamburo battente nella Rete e nelle piazze. La si manipola con idonee e creative fake news. Trova sempre maggiori adepti, illusi e affascinati dal portatore di una scorciatoia che, anche attraverso la violenza, può risolvere finalmente i problemi. Allontanare la paura e ridare speranza per il futuro!

Il gioco è fatto! Salvo… salvo che abbiamo già visto il finale di questo film. Abbiamo già letto e ascoltato dove questo modello di gestione del malcontento di una certa comunità, in un certo momento storico, conduce. Quali sono i prezzi da pagare, in termini di convivenza pacifica, dando fiducia ai portatori di questa scorciatoia risolutoria e violenta delle nostre ansie, delle nostre angosce, delle nostre paure: morti, guerre, bavaglio alle opposizioni, deficit o perdita totale di libertà di opinione personale e collettiva.

Nei giorni scorsi, su Repubblica, Ezio Mauro ragionava sull’onda nera che sta attraversando tutta l’Europa, definendola la metamorfosi dei fascisti. In sintesi, il pensiero dell’editorialista era il seguente: (i) siamo di fronte ad una predicazione che unisce patria e razza, facendo adepti nell’egoismo del benessere che anima molti di noi; (II) la leva di successo di questo nuovo “verbo” politico è costituita dalle nostre paure, dal nostro smarrimento che ci porta a distinguere il “noi” dal “loro” come se fossimo gli unici titolari dei diritti umani e civili nel mondo; (i i i) le ragioni del successo di tale messaggio? Sostanzialmente tre, secondo Mauro: (1) il fascismo non è stato soltanto un fenomeno bizzarro e peculiare italiano ma è un’ideologia congenita nella natura dell’essere umano che non va sottostimata ma arginata e ricondotta su binari diversi; (2) una cinica e costruttiva rilettura del periodo fascista che vada oltre la facile aneddotica ed affronti davvero l’eredità lasciataci e i germi sempre esistenti nel nostro DNA di quel modo di pensare e di gestire la nostra convivenza; (3) una incapacità delle classi dirigenti politiche, soprattutto di sinistra, ad individuare una risposta-proposta alla crisi che ci travaglia senza, con questo, creare un clima di paura, ansia, confusione. Un clima ideale, insomma, per il consenso ai movimenti “contro”. Mauro fa autocritica e ci stimola ad approfondire la questione, banalmente per i nostri interessi ed affetti prospettici.

Abbiamo invertito l’ordine dei fattori in questi ultimi 10 anni, spero in buona fede, creando però confusioni, iniquità, sconcerto ed angoscia.

Dobbiamo tornare ai fondamentali. Pickett ci prova, almeno come esercizio intellettuale che possa stimolare vostre ulteriori riflessioni in merito.

A) il rispetto delle istituzioni e della legalità: chi vuole stabilirsi nel nostro paese deve rispettare la legge senza “se” e senza “ma”.

B) le sanzioni-pene a chi non rispetta la legge, non devono solo essere comminate sulla carta ma eseguite. Chi sbaglia paga senza sconti o, peggio, inefficienze incomprensibili.

C) L’accoglienza è un valore fondante della nostra società. Noi italiani siamo un popolo di emigranti che hanno, quasi sempre, con fatica, pazienza e capacità di sopportazione di ingiustizie e soprusi, ricevuto l’accoglienza dei popoli ospitanti. Non dobbiamo dimenticarcelo mai!

D) dobbiamo trovare un modello sostenibile economicamente che coniughi e bilanci l’accoglienza con la possibilità reale di renderla inclusiva, virtuosa e ben accetta dalla nostra popolazione.

Mission impossible? Pickett non crede. Ci vogliono “soltanto” visione, professionalità, passione, impegno e capacità esecutiva efficiente!

Scendiamo dai “balconi” e occupiamocene più da vicino. La storia serve, se la si studia e se ne memorizzano gli eventi, le ideologie e i verdetti finali, proprio per questo. Per cercare di apprenderne la lezione. Li abbiamo davanti agli occhi quelli accaduti nell’altro secolo. Cerchiamo di evitare un tragico bis.

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