Da sempre, l’essere umano si è trovato ad indagare i confini della proprietà privata per verificare quali beni potesse farvi rientrare, vedendo nella proprietà la proiezione materiale di se stesso. Da qui, la necessità di poter decidere quale debba essere, post mortem, la destinazione dei propri beni. Se ai tempi del diritto romano l’oggetto del testamento era particolarmente circoscritto, poiché non erano molti i beni e i diritti che rientravano nella sfera di proprietà di un uomo, oggi – invece – il discorso appare più complesso. Soprattutto con l’avvento del digitale.

Nell’era di Internet, una quantità immensa di dati personali è affidata alla Rete: sistemi di accesso, mail, conti correnti, codici di accesso, pin e password. Beni che non sono, dunque, materiali, ma la cui esistenza non può certo essere messa in discussione. Oggi si percepisce sempre più la necessità, che Ieri poteva essere impensabile, di lasciare in eredità anche il segno del nostro passaggio “digitale” ed è proprio da questa esigenza che colossi digitali quali Facebook e Google hanno implementato alcune risorse specifiche. In maniera pioneristica, hanno permesso ai propri utenti di nominare un soggetto che succederà, dopo la loro morte, nella proprietà e nella gestione di profili, utenze e file digitali dei quali fosse stato acquistato il diritto di proprietà.

La sola esistenza digitale e non materiale di un bene non esclude, infatti, l’applicabilità delle norme civilistiche circa la proprietà e i diritti reali, né di quelle relative alla successione mortis causa. Ciò che resta aperto, invece, è il tema sulla classificazione delle “cose” che lasciamo in rete. L’attualità della questione sulla cosiddetta “eredità digitale” è emersa dallo scontro nato tra Apple e Bruce Willis. L’attore vorrebbe lasciare in eredità alle figlie la sua vasta collezione di canzoni acquistate tramite iTunes, ma Apple si è opposta affermando che gli utenti, sulle piattaforme della Mela, non acquistano il diritto di proprietà bensì una semplice licenza d’uso, non cedibile a terzi.

Se oggi, quando compra un CD, l’acquirente vanta sullo stesso la piena proprietà e può quindi disporne nel modo che meglio crede, potendo anche lasciarlo in eredità ad amici o parenti, al contrario, chi scarica (pur legittimamente e pagandone il corrispettivo) un brano musicale o un altro contenuto dalla piattaforma Apple ottiene una licenza d’uso personale che, come tale, si estingue con la morte dell’acquirente: la successione di un erede è esclusa.

In Italia non esiste una normativa specifica sul punto; e negli USA sono pochi gli Stati che abbiano scelto di dotarsi di regole in materia, con vari profili lasciati nell’ombra. Nell’estate del 2015, in Delaware, è stato firmato il Fiduciary Access to Digital Assets and Digital Accounts Act (la legge sull’accesso fiduciario alle risorse ed agli account digitali). Il principio di fondo della regolamentazione è che il beneficiario degli account digitali del defunto avrà gli stessi diritti dell’utente originario, norma che ha suscitato attenzione e reazioni della comunità digitale: Yahoo, colosso con milioni di utenti all’attivo, ha infatti sollevato il profondo contrasto con i propri termini di servizio, nei quali è affermata l’intrasferibilità per causa di morte degli account o delle comunicazioni private degli utenti. In buona sostanza, i dati degli utenti deceduti possono essere trattati / trasferiti solo per cancellare gli account rimasti inattivi. È evidente la necessità di indagare se clausole simili possano considerarsi valide, posto che una proprietà (è nota l’importanza data alla proprietà privata nella Costituzione americana) viene sottratta alla chiamata all’eredità per essere semplicemente cancellata.

Quanto alla questione italiana, le problematiche riguardo all’eredità digitale ruotano principalmente intorno al fatto che i servizi online sono spesso gestiti da provider esteri, con conseguenti temi rilevanti in merito alla legge applicabile ai rapporti contrattuali. Come anticipato, vari fornitori di servizi digitali stanno predisponendo servizi ad hoc sul punto che si presentano, tuttavia, ad un’analisi più approfondita, insoddisfacenti poiché se da un lato offrono l’accesso al “contenitore”, dall’altro non permettono una vera successione nella titolarità dei contenuti.

Peraltro, non sempre la possibilità di individuare un soggetto che gestisca i nostri account digitali dopo la morte rispetta le leggi in vigore. Volendo fare un esempio, i diritti sulle foto caricate su un social network, al momento della morte dell’autore, si trasferiscono in capo agli eredi (legittimi o testamentari, senza approfondire il tema dell’eventuale trasferimento in capo a soggetti diversi dei diritti morali e dei diritti di utilizzazione economica), che non necessariamente coincidono con l’eventuale soggetto scelto dall’utente sui propri social network.

La questione è aperta, e i casi ipotizzabili sono infiniti. Si pensi al coniuge che, alla morte della moglie, scopre che quest’ultima era titolare di un conto online aperto all’estero, le cui credenziali sono custodite esclusivamente nella sua posta elettronica. Come gestire il conflitto tra eredi e provider? E ancora, i provider dovranno porsi il problema relativo alla gestione di spazi virtuali occupati e inutilizzati, in quanto relativi ad utenti ormai deceduti, con relativi costi di gestione da mettere a bilancio.

Il fenomeno della successione digitale, e dei testamenti digitali, si presenta dunque complesso ed articolato, capace di offrire in futuro notevoli spunti di riflessione che chiameranno ad esprimersi dottrina, giurisprudenza e, in prevalenza, notariato. Il caso non è da sottovalutare, poiché l’ipertrofia della tecnologia e del digitale è destinata ad aumentare ulteriormente, con un concetto di eredità che conterrà sempre più byte e sempre meno beni tangibili.

 

Riccardo Di Laura

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