Il rapporto tra lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e i posti di lavoro è un tema che Pickett ha già avuto modo di affrontare in più di un’occasione. L’innovazione tecnologica nell’ambito dell’automazione e della robotica sta vivendo negli ultimi anni un progresso inarrestabile. Tutto ciò ci affascina ma nello stesso tempo ci intimorisce, e questo impone di tornare su alcune riflessioni e di svilupparne di nuove. Temiamo di essere sostituiti sul posto di lavoro dai robot che, quindi, vengono considerati da alcuni come “macchine infernali”; un timore che cresce soprattutto tra le classi sociali meno istruite. Ma è una paura fondata?

“The Future of Jobs”, uno studio pubblicato nel 2016 dal World Economic Forum, stima che, nei tredici paesi più industrializzati del mondo, il numero dei posti di lavoro persi dal 2015 al 2020 sia 5,1 milioni. Tra i principali fattori considerati dal World Economic Forum ritroviamo proprio lo sviluppo delle intelligenze artificiali.

Richard Freeman, economista di Harvard, parlando della scomparsa del lavoro affronta uno dei problemi principali, ma ancoro poco discusso, delle ripercussioni sociali. Egli afferma che “la robotizzazione rischia di dividere la società tra i proprietari dei robot da una parte e i lavoratori dall’altra”. Secondo l’autorevole studioso “il maggior rischio non è un futuro senza lavoro, bensì un futuro in cui i salari saranno in calo o stagnanti – dato che le macchine si prenderanno la quota maggiore di lavori ad alta produttività – e la fetta di guadagno che andrà ai proprietari, aumenterà.”

Uno dei maggiori rischi quindi è che l’innovazione tecnologica porterà ad aumentare le diseguaglianze sociali. Questo è confermato da alcuni studi che stimano in 8 i milioni di posti di lavoro a rischio negli Stati Uniti e 15 quelli in Gran Bretagna a causa dell’avanzamento tecnologico. Le occupazioni più a rischio sono quelle meno retribuite, con evidente potenziale aumento del divario tra poveri e ricchi.

Una soluzione a questo problema è stata proposta da Bill Gates, il fondatore di Microsoft. Partendo dalla considerazione ottimistica che i lavori svolti dagli umani saranno sempre indispensabili, spiega che “Al momento se un lavoratore umano guadagna 50.000 dollari lavorando in una fabbrica, il suo reddito è tassato. Se un robot svolge lo stesso lavoro dovrebbe essere tassato allo stesso livello”. L’uso dei robot “può generare profitti con risparmi sul costo del lavoro. Non ritengo che le aziende che producono robot si arrabbierebbero se fosse imposta una tassa”. Gates aggiunge che l’avanzamento tecnologico potrà aiutare a liberare un maggior numero di persone che potranno svolgere lavori che solo gli umani possono fare: per fare alcuni esempi l’insegnamento e l’assistenza agli anziani.

L’avanzamento dei processi di automazione porterà, quindi, a un mutamento del quadro generale dei vari comparti lavorativi. Infatti settori come la finanza, il commercio e la sanità saranno trasformati dall’intelligenza artificiale. Questo condurrà, però, alla nascita di nuove figure professionali come quella dei Data scientist. Figure professionali sicuramente più complesse che richiedono un maggiore livello di scolarizzazione. Portando come esempio un colosso come Amazon, che conta più di 100.000 robot operativi nel mondo, per compensare la crescita esponenziale dei propri affari impiega migliaia di persone qualificate in ingegneria e business con alte retribuzioni. Inoltre ha la necessità di assumere personale nell’ambito del “fulfillment network”, attività che richiede ancora valutazioni razionali, insostituibili dalle macchine.

Passando ad analizzare più da vicino il nostro continente, in Europa, si è cercato di legiferare sul punto. Il Parlamento europeo, il 16 febbraio 2017, ha approvato una risoluzione recante raccomandazioni alla Commissione concernenti norme di diritto civile sulla robotica.

Il documento prevede il riconoscimento dello stato giuridico dei robot, che dovranno essere considerati “persone elettroniche responsabili di risarcire qualsiasi danno da loro causato”. È stata poi richiesta l’istituzione di un’assicurazione obbligatoria, imponendo ai produttori ed ai proprietari dei robot di sottoscrivere una copertura per i danni provocati dalle macchine intelligenti, con la conseguente creazione di un fondo per il risarcimento dei danni; inoltre è prevista l’immatricolazione dei robot con l’iscrizione in uno specifico registro, al pari di quanto già accade con automobili e veicoli in genere.

Si è cercato quindi di definire le responsabilità delle macchine che potranno sorgere in sia sede civile che penale. Inoltre il Parlamento Europeo, sul piano dell’educazione, ha proposto “un sostegno concreto per lo sviluppo delle competenze digitali in tutte le fasce d’età ed a prescindere dalla posizione lavorativa”.

Se è vero che l’avanzamento tecnologico porterà ad una riduzione dei posti di lavoro, e che quindi il livello di automazione è destinato ad aumentare sempre più, d’altro canto è doveroso prendere in considerazione il fatto che sicuramente in un futuro molto prossimo nasceranno altri impieghi di diversa natura, caratterizzati da un livello di competenza maggiore rispetto a quelli cosiddetti “vittime” del progresso tecnologico. Così come è sempre successo nella storia del progresso dell’umanità.

In uno scenario di tal genere si può, ad ogni modo, ancora ragionevolmente ritenere che la componente umana rappresenti un elemento al limite dell’insostituibile: basti pensare che l’alternativa in discussione è stata ideata dall’uomo stesso.

Arianna Cortese

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