Siamo tornati nella spirale tossica del corto circuito Magistratura-Politica. Attacchi sui giornali, ipotesi di complotti, confronti aspri e… distraenti. Già, perché si continua a parlare di riforma della Giustizia senza, in realtà, fare nulla per migliorarne il funzionamento, salvo grandi proclami e parole “in libertà”. Perché, non dimentichiamoci di un punto sostanziale di questo spinoso e annoso problema: un conto è “straparlare” sui massimi sistemi del rapporto tra giudici e politica, un conto è occuparsene sul serio dell’azienda Giustizia, quella che zoppica, che non ha risorse, né finanziarie né professionali, mettendo i soldi “sul tavolo” e facendo i necessari investimenti. Stiamo parlando di quella che se, come accade in Italia da troppo tempo, non funziona, crea i presupposti per una vera e propria… ingiustizia nei confronti dei propri cittadini.

È sotto gli occhi di tutti, da troppo tempo, la lista nera delle criticità del nostro sistema giudiziario: (i) tempi troppo lunghi per la definizione dei processi; (ii) massiccia prescrizione dei reati; (iii) giudici in perenne affanno per via di immani carichi di lavoro; (iv) personale amministrativo demotivato e sotto organico; (v) caos tra leggi in continuo divenire e sentenze spesso in contraddizione tra di loro.

Ho riletto, su questo tema e per curiosità, i giornali proprio di un anno fa, quelli del gennaio 2023, alla vigilia dell’apertura dell’anno giudiziario. La lista delle necessità, degli interventi da fare SUBITO, è esattamente identica a quella di oggi. Un disperante quadro che ci dimostra come in 12 mesi, al di là delle parole, dei dibattiti e dei proclami pubblici, non sia cambiato nulla. Si è a lungo dibattuto che le intercettazioni siano troppe o poche; che sia necessaria la separazione delle carriere dei magistrati e non si è mai scesi alle cose concrete a cui bisognerebbe guardare, trovando delle soluzioni. Mi capita sempre più spesso di confrontarmi con degli imprenditori stranieri che lamentano l’impossibilità di investire in Italia perché l’incertezza del diritto e la lunghezza dei processi rendono antieconomico l’investimento.

Questa distrazione della politica, del nostro Parlamento nei confronti dei bisogni dell’azienda Giustizia, è un disastro che ci costa punti di PIL. Provate a leggere questi stralci che ho ricavato dalla rassegna stampa del gennaio 2023: un quadro, come dicevo, “a specchio” della realtà di oggi. Nel 2019 servivano 392 giorni per ottenere una sentenza di primo grado, ora ne servono 414. Nelle corti di appello la situazione è ancora peggiore: nel 2019 ci volevano 835 giorni, più di 2 anni, per definire un processo e nel gennaio 2023 eravamo passati a … 906 giorni, 2 anni e mezzo! La situazione di oggi è ulteriormente peggiorata!

L’allora primo presidente di Cassazione Pietro Curzio, proprio in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, gridò tutto il suo malessere, tutta la sua preoccupazione: “Non bisogna essere esperti di scienza delle organizzazioni per comprendere che senza risorse umane, strumentali e finanziarie adeguate, non si possono ottenere buoni risultati. Per molti anni si è praticata una linea di intervento sulla giustizia affidato a riforme a costo zero. Per decenni le assunzioni di personale sono rimaste bloccate, non vi è stato un turnover e l’età media del personale è progressivamente cresciuta”.

Credo che nel discorso che sentiremo a metà gennaio nell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2024, le parole saranno le stesse, sempre più preoccupate e con i nostri tribunali vicini al limite della rottura organizzativa. Alcuni esempi: a Gorizia manca più della metà del personale amministrativo; a Spoleto la situazione è identica, a Varese la scopertura è del 44%, a Sondrio del 43%, alla Corte d’Appello di Genova del 47,9%, a Imperia del 47%. A fronte di un organico di 10.558 unità, risulta scoperto il 13,7% dei posti da magistrato (Fonte: Associazione Nazionale Magistrati). E allora? Come per il tema di tragica attualità dei femminicidi, bisogna urgentemente fare degli investimenti, “mettere dei soldi sul tavolo” del Ministero competente. Se, come leggiamo, non ci sono risorse, allora si sprechino meno quelle esistenti e si rimodulino le priorità. Giustizia e Sanità non possono più aspettare se no ci troveremo di fronte all’ennesimo disastro annunciato.

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