Picket si chiede se Thomas Piketty non sia il Marx del III millennio e chiude il suo articolo con la candidatura di Piketty a riparatore  del capitalismo.

In genere si ripara qualcosa che funziona e che un guasto momentaneo ne impedisce il corretto funzionamento che riprende dopo la riparazione. Si può riparare il Capitalismo?  Si può costruire (riparare) una società diversa e più giusta con un uomo che coltiva dentro di sé tutti i difetti di un sistema basato sull’individualismo regressivo e sull’egoismo?

Un sistema che fonda la sua ragion d’essere sul profitto che, per quanto legittimo, giustifica tutti i mezzi, anche l’abuso di fiducia, l’avidità smisurata di guadagno, lo sfruttamento sociale; è disponibile a essere riparato?

Tra i principi del capitalismo c’è una caratteristica peculiare definita: concorrenza. La concorrenza si basa su: riduzione dei costi, abbassamento dei prezzi (vanificato da monopoli, oligopoli, cartelli ecc. ), cura della specificità del prodotto, assunzione e licenziamento.

L’umanità, da questi principi, si aspetterebbe almeno una equa distribuzione della ricchezza prodotta.

Così non è.

Il capitalismo incoraggia la competizione tra gli uomini e nei mercati. Grazie alla competizione i mercati prosperano (non sempre), la stragrande maggioranza della umanità raccoglie le briciole. La competizione massimizza l’efficienza, l’efficienza massimizza la produzione, i risultati della produzione dovrebbero massimizzare il benessere, ma questa condizione non si verifica.

Inoltre, la competizione nel mercato del lavoro dovrebbe permettere alle persone di guadagnare più o meno in relazione alle proprie capacità. Purtroppo è una chimera perché la forbice tra i salari base e quelli top è scandalosa e insopportabile. Il capitalismo ha affidato alle regole intrinseche del mercato la gestione e il controllo della società e, in presenza di un imprevisto fallimento, ha innescato una difesa ad oltranza cancellando il welfare che proteggeva soprattutto le classi più deboli, facendo regredire conquiste sociali secolari.

Si fa un gran parlare, con diversi toni di allarmismo, di disuguaglianze crescenti. Per temperare il disagio sociale servirebbe la politica, ma la politica o è ostaggio delle èlite che governano il capitalismo; o è in mano a populismi pseudo rivoluzionari pronti non a riparare ma forse a sfasciare tutto. Tutti pensano di avere ragione ma l’ingiustizia continua a devastare la società e nessuno vuole capire che l’ingiustizia esagerata rappresenta una falla che a lungo andare minaccia anche i passeggeri di prima classe che continuano ad arricchirsi.

Tra le proposte di interventi riparatori, la tassa sulla ricchezza potrebbe essere una via per tornare a ridistribuire benessere. Purtroppo è una via che finirebbe per colpire solo quelli che la ricchezza non possono nasconderla. Finché esisteranno i paradisi fiscali la ricchezza lì nascosta non potrà essere tassata. Esiste un’intesa mondiale per far sparire i paradisi fiscali? No non esiste.

Ogni tanto si stilano black-list che durano lo spazio di un mattino, poi il silenzio torna a coprire tutto. Quindi i ricchi e straricchi non pagherebbero. Ma anche i meno ricchi non pagherebbero per effetto di una evasione endemica che nessuno vuole combattere in modo serio. Pagherebbero solo quelli che non possono evadere. La tassa sulla ricchezza è una riparazione che non ripara.

Il capitalismo non va riparato, va ripensato introducendo nei suoi meccanismi economici, senza anima, l’umanesimo di cui parlava Marx.

Il lavoratore è un essere umano e non può essere considerato una parte del capitale. Lo sfruttamento, l’alienazione non dovrebbero far parte del processo produttivo in quanto delitti contro l’uomo. Considerare solo l’aspetto numerico della forza lavoro, considerarli oggetto e non soggetto, avvicina le odierne governance ai burocrati che si riunirono a Wannsee il 20 gennaio 1942 per decidere la soluzione finale.

Al centro della vita sociale e produttiva va riportato l’uomo con la sua umanità, non il capitale, non la macchina. Anche perché è in arrivo una situazione che prospetta un quadro molto complesso. Nel 2050 le previsioni dicono che il pianeta sarà abitato da 10 miliardi di persone. Il capitalismo con tutte le sue contraddizioni sarà in grado di distribuire benessere, ricchezza a una tale quantità di persone? O le disuguaglianze saranno uno tsunami che sommergerà il pianeta e tutte le ricchezze accumulate?

Si tratta di aspettare solo 30 anni.

Io non ci sarò e mi dispiace.

 

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