La sensazione d’impotenza è terribile.
Ti prende dentro, ti chiude lo stomaco, ti cambia l’umore.
Siamo tutti, chi più chi meno, coinvolti nella tragedia ucraina: stiamo incollati davanti alla televisione o al computer, partecipando emotivamente alla tragedia che sta stravolgendo la vita alla popolazione ucraina.
Le immagini che ci giungono da tutto il mondo ci mostrano migliaia e migliaia di esseri umani che scendono in piazza, con le bandiere giallo blu dell’Ucraina, con le torce in mano, organizzando e partecipando a fiaccolate collettive per dimostrare solidarietà alle vittime del sopruso russo. Anche dalla stessa Russia ci arrivano dei video che ci dimostrano come la  popolazione russa contesti la violenza delle scelte operate dalla scellerate leadership di Putin: rischiando anche l’arresto a causa di interventi violentissimi delle forze dell’ordine russe.
Quando il presidente Zelensky ci ha gridato, in diretta, tutta la sua solitudine, il suo senso di abbandono, la sua rabbia per essere rimasto solo, con il suo popolo, a dover combattere  contro lo strapotere violento dei russi, ci siamo resi conto di come la nostra apparente e dichiarata solidarietà si stia traducendo in tante parole, in tante promesse ma in pochissimi fatti…!
Lo stesso Mario Draghi, profondamente turbato nel ricordare in Parlamento la drammatica telefonata con il presidente ucraino della sera precedente, aveva una espressione sconfortata; era l’immagine di una ineluttabile ma nello stesso tempo intollerabile impossibilità di agire al di là dell’uso dei tradizionali strumenti diplomatici esistenti ed inutili.
Abbiamo vissuto i giorni della vigilia dell’invasione, convinti che la guerra non sarebbe mai scoppiata, che le diplomazie, come al solito, avrebbero trovato una mediazione, probabilmente al ribasso, ma d’altronde meglio un cattivo compromesso che non l’inizio di una sparatoria.
Siamo stati smentiti in questa nostra superficiale lettura di cosa stesse accadendo in quella zona di Europa, assistendo in maniera palese a quella che costituisce la vera e profonda criticità delle democrazie occidentali in questo III millennio: l’incapacità di arginare l’efficienza ed efficacia decisionale di dittature che possono contare su una catena di comando limitatissima, sostanzialmente nelle mani dell’ “uomo solo al comando”! L’impossibilità di poter competere con armi analoghe a quelle usate dal dittatore di turno….salvo premere il bottone rosso della bomba atomica!
La saggezza, la razionalità, la ragionevolezza delle leadership occidentali sono armi spuntate contro dittatori isterici e criminali (pare che Putin, normalmente lucido e cinico in tutte le sue manifestazioni, perda letteralmente il “senso della ragione” quando qualcuno gli parla dell’Ucraina!) che cercano di giustificare le loro dissennate decisioni, con narrazioni che evocano ricostruzioni storiche manifestatamente propagandistiche e mirate soltanto ad arginare la dissidenza interna, riesumano uno spirito identitario del passato difficilmente recuperabile.
La storia ci insegna che per gestire un malcontento interno bisogna costruirsi un nemico esterno sul quale polarizzare le attenzioni degli oppositori.
A Mosca sta succedendo proprio questo: il ripetersi di un tragico rituale che per salvare la poltrona del leader crea i presupposti per guerre sanguinose con migliaia di morti sul piatto della bilancia.
Eppure, di fronte a questi “mostri” assetati di potere e indifferenti al sangue che fanno scorrere tra gli esseri umani, non siamo in grado di mettere in atto delle contro misure efficaci, mirate ad arginarli e ad eliminarli.
La frustrazione di cui parlavo all’inizio, il senso di impotenza, ci deriva proprio dal constatare che la misura più semplice, più immediata, da mettere sul campo per sconfiggere questi nuovi mostri del III millennio, sarebbe quella di schierare gli eserciti e correre a difendere ed aiutare il governo ucraino e la popolazione di quei territori. Ma proprio quando siamo tutti d’accordo nel constatare che questa sarebbe l’unica soluzione, ci fermiamo, apprezziamo il buon senso dei nostri governi che si limitano a condividere una lista di sanzioni economiche (costruita con il bilancino dei pregi e dei difetti di ogni misura per le nostre fragili economie).
Sappiamo benissimo che  le sanzioni non avranno nessun effetto: o meglio non daranno nessun fastidio, nel breve termine, al nostro avversario; potranno, al massimo, incrinare il suo sistema economico nel medio, lungo periodo quando, nel caso specifico, l’Ucraina sarà già tutta occupata e militarizzata dalle truppe russe.
E come abbiamo scritto proprio nei giorni scorsi, questa debolezza intrinseca, dettata per carità da buon senso e razionalità delle cancellerie occidentali, potrebbe innescare devastanti repliche di quelle invasioni militari a cui stiamo assistendo.
Sono convinto infatti che i cinesi stiano monitorando la situazione in Ucraina quasi fosse un test per misurare le reazioni dell’Occidente nel caso di un’invasione a Taiwan.
Un effetto domino catastrofico a cui però e difficile opporsi immaginando delle reazioni militari dell’Occidente con armi convenzionali, senza toccare le armi atomiche.
Sì, certo, con queste ultime si risolverebbe nel brevissimo termine il problema ma se ne innesterebbe un altro fatale per tutta l’umanità.
Che fare dunque oltre al guardarsi allo specchio imbarazzati ed ignavi di fronte alle strazianti ed inascoltate grida di aiuto che ci arrivano da Kiev?
Come reagire di fronte ad una nausea da vergogna di noi stessi che ci sta assalendo di giorno in giorno sempre di più?
Far tesoro, a mio avviso, di questo ulteriore fallimento delle politiche diplomatiche dei paesi occidentali.
Nel 2014, quando scoppiò la prima crisi in Ucraina, c’erano tutti i presupposti per una situazione che, se non gestita con attenzione, lucidità e visione, sarebbe deflagrata in uno scontro militare globale.
Eppure, dopo gli accordi di Minsk, le potenze occidentali si sono quasi disinteressate degli esiti di quel trattato.
Hanno lasciato carta bianca ai governi di Kiev e di Mosca di gestire territori nei quali la convivenza fra nazionalisti ucraini e separatisti russi era una bomba ad orologeria che prima o poi sarebbe deflagrata.
E così è stato: anche per la nostra latitanza, per la nostra distrazione, per la nostra incapacità di gestire crisi locali, percependo tutti gli aspetti, anche psicologici e culturali, che governano la coesistenza di popolazioni diverse che non hanno nessuna intenzione di condividere la loro vita con i vicini di casa.
La  Libia, l’Afghanistan, la Siria e tante altre crisi locali, sono state troppo spesso gestite in una pura logica economica o di potenza: raramente con la sensibilità politica di capire quali fossero i grimaldelli “reali ed umani” per impostare soluzioni che permettessero una convivenza pacifica tra etnie diversi e in conflitto.
La tragedia odierna ci responsabilizza ad approfondire in futuro, con molta più professionalità e attenzione, la gestione in prevenzione di queste situazioni che, se guardiamo la mappa del mondo, sono tante e tutte potenzialmente in grado di replicare la catastrofe Ucraina.
Solo così potremmo ritornare a guardarci allo specchio, riacquistando almeno in parte quell’autostima che oggi, almeno per quanto mi riguarda, è finita sotto le scarpe.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.