Mission impossible? O, viceversa, pigro cinismo per sopravvivenza?

O, peggio, appiattimento sulla  banale riflessione “il mondo è sempre andato avanti così”?

Un politically correct deprimente.

Alcuni recenti esempi concreti ci costringono a tornare su questa tematica, confrontandoci innanzitutto con noi stessi, con il nostro specchio, poi con gli altri.

La manipolazione della storia e della memoria

La notizia non ci ha sorpreso più di tanto ma, anche in questo caso, abbiamo il dubbio per distrazione, disinteresse, lontananza.

Putin ha incaricato un gruppo di storici di riscrivere completamente le sezioni dedicate agli anni ’70, ’80, ’90 e 2000 nei libri di scuola.

In particolare, il nuovo testo sarà destinato all’undicesima classe, quella che in Russia è frequentata dai giovani di 17 anni.

L’obiettivo della revisione, come ha confermato lo stesso Ministro dell’Istruzione russo Sergej Kravtsov, è quello di “trasmettere gli obiettivi dell’offensiva ucraina agli scolari e del piano di smilitarizzazione e denazificazione del paese, ex alleato”.

Guarda caso, quello che sta succedendo in Ucraina, secondo quanto è trapelato sulla nuova versione dei libri di storia, è tutta colpa di Gorbaciov, degli occidentali, degli ucraini: “Bisogna che i nostri ragazzi – ha sottolineato Kravtsov – apprendano la verità su quanto sta succedendo nei nostri territori”.

Il brief di Putin al gruppo di lavoro degli storici è stato preciso e rigido: riscrivere la recente storia del paese in poco tempo e in modo tale che dall’apertura del nuovo anno scolastico, i giovani studenti in età di leva, siano orgogliosi di rispondere positivamente alla “chiamata alle armi” viste le ragioni che hanno spinto Mosca all’operazione straordinaria in Ucraina.

In 5 mesi il team degli studiosi ha compiuto il miracolo.

Fin dal prossimo mese di settembre i giovani russi potranno apprendere la storia recente del loro paese attraverso una narrazione nuova e rivista.

Per capire il presente bisogna conoscere il passato … questo è vero! Così le generazioni che stanno per “entrare nel mondo” sapranno che non è solo un obbligo, ma una sfida quella che li attende per difendere il glorioso passato russo non contaminato dalla propaganda occidentale.

A Camogli, ai primi di settembre, si terrà la decima edizione del Festival della Comunicazione.

Quest’anno la manifestazione è dedicata proprio al valore e alla funzione della Storia e al significato e all’importanza della Memoria.

Un evento che servirà proprio a ragionare su come difenderci ed evitare che la manipolazione di qualche “burattinaio” in malafede, possa contaminare negativamente la visione e le aspettative delle nuove generazioni.

La conoscenza della verità sul nostro passato, bella o brutta che sia, è fondamentale per capire chi siamo, da dove veniamo, come ci siamo formati come Stato, come entità politica, come comunità civica e famigliare.

Conoscere la verità sul passato è un diritto che i contemporanei hanno conquistato, un diritto che deve essere accoppiato al dovere di studiarla, capirla, valorizzarla.

La memoria non può essere sempre condivisa, ognuno ha i suoi percorsi e le sue storie famigliari: ma va coltivata, protetta, raccontata e sistematizzata.

In questo modo si può offrire ai più giovani uno strumento idoneo per aiutarli nella comprensione del mondo e nell’impostazione del loro futuro.

Un farmaco, dunque, unico contro l’infezione del tipo putiniano.

Il caso Regeni, il caso Zaki … gli altri “dimenticati”

Il diritto a conoscere la verità tocca anche questi due casi, risoltisi in modo diametralmente opposto.

Il governo di un paese ha il dovere di tutelare tutti i propri cittadini, ovunque siano nel mondo.

A prescindere dalle loro opinioni politiche.

Il governo italiano, nel caso Regeni, ha, per ora, subito la rigorosa chiusura delle autorità egiziane, ferme nel non collaborare all’individuazione dei responsabili dell’omicidio del giovane italiano.

Con Zaki, fortunatamente, la delicata situazione si è risolta con una mediazione che ha salvato la faccia a tutti.

Esistono però altre decina di italiani nel mondo con dei problemi con la giustizia locale.

Non dimentichiamoli, hanno comunque diritto come cittadini italiani di potersi difendere al meglio contro le contestazioni mossegli.

La “real politik”, spesso, condiziona le scelte internazionali di uno Stato, proprio in questa fondamentale materia della difesa dei diritti dei nostri connazionali all’estero.

E’ velleitario e probabilmente anche ipocrita sostenere che un governo non debba valutare gli interessi economici che esistono nelle relazioni con il paese che ha imprigionato un cittadino italiano: bisogna riuscire a trovare però, ogni volta, e studiando sempre una specifica tattica negoziale ad hoc, un giusto equilibrio tra gli interessi strategici del nostro Paese in quello Stato e il sacrosanto diritto di “cercare di portare a casa i nostri ragazzi” a tutti i costi o comunque, alla peggio, di promuovere l’accertamento dei responsabili di un omicidio atroce come quello del giovane Regeni.

Ogni scelta deve essere spiegata con trasparenza e, se possibile, con la consapevolezza della verità che, a volte, ha dei costi molto alti da pagare, anche in termini etici.

La real politik: un mostro o una medicina necessaria?

Il governo di un Paese, in democrazia, rappresenta la maggioranza dei cittadini di quel momento storico.

In modo diretto o intermediato da un Parlamento eletto

La priorità della politica, intesa come gestione virtuosa della “polis”, della comunità civica di tutti i cittadini, è quella di interpretare e intercettare la volontà, gli obiettivi, i sogni e le speranze della maggioranza dei propri connazionali.

Nel campo della tutela dei diritti degli italiani con dei problemi con la giustizia in paesi esteri, il governo si trova sempre nella necessità di operare un bilanciamento tra i diritti dei singoli e degli interessi generali della nazione.

Il governo deve, in altre parole, cercare in tutti i modi la tutela dei propri cittadini senza però alterare o compromettere le relazioni con il paese coinvolto nel dossier giudiziario.

Tutto il resto, come abbiamo detto, rischia di essere velleitario: è una pretesa ipocrita che uno Stato penalizzi l’interesse generale a beneficio di un singolo cittadino.

Forse in un paese astratto sarebbe bello immaginarlo, nella realtà però è impossibile.

Ovviamente tale approccio pragmatico deve sempre avere come presupposto la ricerca della verità, anche se non gradita.

I diplomatici ci insegnano che i casi più spinosi si risolvono “sotto traccia”, senza campagne mediatiche, gridate in tutto il mondo e soprattutto oggi su internet.

Nella riservatezza delle vie diplomatiche si trova spesso una soluzione “non gridata” che salva la faccia a tutti i protagonisti, come per Zaki.

I due casi che abbiamo avuto con l’Egitto lo dimostrano … che ci piaccia o meno.

Per tornare al quesito originario espresso nel titolo di questo contributo, la risposta, a nostro avviso, non può essere che un SI ma gridato con serietà, onestà intellettuale, professionalità e visione. Valori non così facilmente riscontrabili nelle nostre élite partitiche

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