Il novello Talleyrand del III millennio, sta per segnare un nuovo punto strategico.

Nei silenzi paludati della diplomazia internazionale, qualcosa è trapelato e il Wall Street Journal lo ha scritto proprio in questi giorni.

Mohammad bin Salman (MbS) sta per fare un altro colpaccio dopo il successo di Gedda: raggiungere un accordo trilatero che Thomas Friedman, sul New York Times, ha definito “Trinità non santa”, tra Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita.

Una pace che porrebbe fine a 120 anni di guerre ideologiche nel mondo arabo, troncando in modo irreversibile il tema sulla legittimità di Israele come stato.

Un accordo storico, promosso e gestito proprio da MbS che, si dice, conta di arrivare alla firma entro il 2023.

L’accordo costituirebbe anche uno straordinario deterrente  contro un Iran che sostiene il terrorismo internazionale, perché ne bloccherebbe l’espansione in Libano e in Siria tramite gli Hezbollah; ridurrebbe il potere iraniano al fianco di Putin, legato ai missili con cui Mosca fa la guerra all’Ucraina.

Sul tavolo dei negoziati ci sono ancora diversi “punti aperti”, ma gli sherpa delle tre delegazioni, iniziano a vedere un risultato finale possibile, basato su qualche rinuncia o mediazione da parte di tutti e tre i protagonisti.

In particolare, i temi da smarcare sono ancora i seguenti: (i) MbS dovrebbe essere più chiaro nello sviluppo di una politica mirata alla cura dei diritti umani; (ii) dovrebbe essere più rigoroso nella chiusura dei rubinetti del petrolio alla Russia; (iii) dovrebbe ridurre le relazioni economiche con la Cina; Israele, da parte sua, (iv) dovrebbe abbandonare la Cisgiordiania e rinunciare a qualsiasi piano di annessione; (v) fermare la riforma giudiziaria che sta scatenando una specie di guerra civile nel paese; (vi)  smantellare il programma di costruzioni nei territori occupati; (vii) riconoscere più autonomia e poteri ai palestinesi.

Per MbS che spinge molto per diventare il protagonista anche di questo accordo storico, un altro tassello dunque della sua sfida che mira a far diventare l’Arabia Saudita uno dei paesi, leader mondiali, delle nuove geomappe politiche ed economiche del dopoguerra ucraino.

Proprio in questi giorni nella mitica residenza privata del Presidente Biden, Camp David, si tiene un summit riservato al Giappone e alla Corea del Sud che hanno finalmente deciso di voltare pagina su vecchi contenziosi derivanti dai disastri della 2° Guerra mondiale.

Sui giornali si parla già del progetto di creare una nuova Nato in Asia per arginare le mire espansionistiche cinesi.

In tale consesso, si parlerà anche del ruolo dell’Arabia Saudita e del suo posizionamento prospettico in un mondo che deve cercare di evitare, per quanto possibile, nuovi conflitti militari.

Come sta l’Arabia Saudita? Il report Jefferies

Dietro al dinamismo del suo primo ministro, figlio del re, c’è un paese che cresce non solo economicamente.

Ci aiuta a capire meglio la fotografia dell’Arabia Saudita in questo III millennio, una recentissima analisi dell’autorevole banca di investimenti americana Jefferies, un colosso del mondo finanziario  mondiale.

Il primo capitolo del report è dedicato proprio al progetto di MbS e cioè quello di far crescere nei sauditi la consapevolezza della loro identità nazionale.

L’impulso alle riforme sociali ed economiche è forte e i sondaggi indicano che la fiducia nella popolazione saudita è alta.

La forza lavoro della nazione si espanderà di circa il 30% nei prossimi 25 anni: è importante rilevare che la metà di tale nuova forza lavoro sarà costituita da donne con un impatto profondo sulla cultura, sugli atteggiamenti e sullo sviluppo della società saudita.

Oggi il 63% della popolazione ha meno di 30 anni.

Tra 10 anni sarà evidente il cambiamento con un aumento della percentuale di persone di età superiore ai 40, 50 e 60 anni.

La popolazione giovanile – scrive il rapporto Jefferies – è dunque una risorsa per l’Arabia Saudita e rappresenta il suo motore per la produttività e la crescita economica.

Negli ultimi decenni, ci sono stati importanti progressi nel campo della sanità pubblica e della medicina che hanno contribuito ad un aumento dell’aspettativa di vita che porterà l’età media a 83 anni entro il 2050.

Il governo dovrà dunque adottare misure adeguate a soddisfare le esigenze di una popolazione più anziana.

Oggi in Arabia le persone con una età superiore ai 65 anni rappresentano il 3,6% e diventerà nel 2050 il 20% della popolazione totale.

Riad sta lanciando un programma per supportare il crescente numero di madri lavoratrici a gestire l’equilibrio tra il lavoro e la vita privata, attraverso l’assistenza all’infanzia, gli asili nido e il congedo di maternità retribuito.

Va sottolineato, poi, che con oltre 40 milioni di conti bancari  (i sauditi censiti sono 32 milioni!) le banche giocheranno un ruolo fondamentale nello sviluppo del paese.

Nelle sue conclusioni, Jefferies si attende anche una rivoluzione digitale nel paese con un beneficio per tutti i gruppi industriali e finanziari.

L’Arabia Saudita è dunque un paese forte, potente, seduto su un patrimonio pubblico e privato rilevantissimo.

Sta vivendo una fondatamentale trasformazione anche nella cultura e tutela dei diritti civili, con particolare riferimento al ruolo e al posizionamento sociale delle donne.

Il percorso è avviato: vedremo se il novello Talleyrand lo accelererà ancora di più.

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