Siamo un paese in declino. Al di là della nostra straordinaria capacità nell’arte di esercitarci al miglior “tafazzismo” di sempre, gli indicatori economici e sociali sono chiari in proposito: meno nascite, più disoccupazione, giovani senza speranza che devono emigrare all’estero; una popolazione invecchiata, chiusa a riccio per paure da insicurezza; rancorosa e pessimista sul futuro. Un quadro drammatico e deprimente sul quale dobbiamo lavorare per evitare una deriva devastante e irreversibile.

Per questo motivo, grazie anche ad un prezioso reportage di Gloria Riva sull’Espresso, Pickett vorrebbe aprire un confronto sui contenuti di un dibattito esistente tra gli esperti del tema che si stanno dedicando, a livello mondiale, alle ricette per reagire a questa situazione, non solo italiana. L’aumento delle disuguaglianze è, a livello mondiale, il tema centrale: porta con sé squilibri importanti, crea un malessere esplosivo che si manifesta, per ora, soltanto nelle elezioni politiche che sono in scadenza nei vari stati, ma che potrebbe mettere a rischio la coesione sociale delle nostre comunità.

La causa principale, o meglio la concausa primaria, risiederebbe, come vedremo, nella modifica del modello economico di riferimento, basato non più sull’industria ma sulla conoscenza. Questo mutamento sta producendo effetti diretti e indiretti non sappiamo quanto percepiti dalla maggioranza di noi.

La premonizione di Fabrizio Barca

Ma andiamo con ordine e riavvolgiamo il nastro di qualche anno, tornando agli inizi del terzo millennio. Il primo campanello d’allarme lo lanciarono proprio nel 2000 Fabrizio Barca, il promotore del progetto SNAI ITALIA – Strategia Nazionale Aree Interne – e la commissaria europea per le politiche regionali, la polacca Danuta Hubner: le grandi città sono in piena forma e ricche di opportunità; i piccoli centri si stanno svuotando e impoverendo rapidamente. I due economisti avevano scritto che la globalizzazione e l’abbattimento delle frontiere intereuropee stavano “aprendo una profonda frattura portatrice di disuguaglianze”. Avevano altresì avvertito i governi dell’Unione Europea che si sarebbe verificato un massiccio trasferimento di persone dalle aree più povere verso le aree più ricche, con il conseguente impoverimento di molti territori marginali. Fabrizio Barca (divenuto poi ministro del governo Monti proprio con la delega per la coesione sociale) aveva spinto parecchio per l’adesione a politiche mirate ad attivare interventi contro questo fenomeno apparentemente inarrestabile. Il risultato, però, in Italia fu scarso. L’occasione, anche in presenza di cospicui fondi europei, fu sprecata. Il sostegno si concretizzo in interventi a pioggia, operazioni clientelari che hanno arricchito pochi rinviando solo di qualche anno la rabbia dei molti.

Le conseguenze della miopia

Ed eccoti all’esplosione del malessere. La vendetta degli emarginati, non toccati dalla crescita. L’economista inglese Joan Roses ha creato insieme al collega Nikolaus Wolf, professore alla Università Humboldt di Berlino, un algoritmo in grado di definire dove si sta accumulando la ricchezza. E dove, conseguentemente, si stanno allargando le disuguaglianze tra i pochi sempre più ricchi e i moltissimi sempre più poveri “La Brexit è stata il primo esempio – scrive Andres Rodriguez-Pose, uno specialista mondiale del fenomeno del populismo e del declino di certi territori – di questa rivoluzione dei poveracci. La gente delle province inglesi ha votato contro l’Unione Europea perché Londra era a favore. Lo stesso dicasi per la Francia: il movimento di Marine Le Pen ha vinto nel nord-est, nelle zone della crisi, del declino, dell’abbandono. Il cuore del problema – continua Rodriguez-Pose – è che questa protesta è contro le élite che vivono nel benessere”. Ecco la verità del sorgere del tanto temuto populismo: una naturale reazione delle masse impoverite contro delle élite che non li hanno protetti, che si sono arricchite, dimenticandosi di loro. Il problema e il fenomeno sono similari in molte parti del mondo: in Argentina, Bolivia, Peru, Venezuela e Thailandia. Sì proprio anche nel paese della rivoluzione degli arancioni dove, nonostante il Pil cresca sensibilmente di più rispetto per esempio alle nazioni europee, gli abitanti del nord, non toccati dal boom soprattutto del turismo, sono rimasti poveri e arretrati e sono quindi scesi in piazza protestando anche violentemente.

Il caso italiano

Il 4 marzo i “dimenticati” i “forgotten” italiani hanno votato i due partiti anti sistema. Soprattutto il sud ha dato un mandato “in bianco” al Movimento 5 Stelle contro chi lo aveva governato fino ad oggi.

Come si sta reagendo a questa nuova puntata della storica guerra tra i poveri e i ricchi? Gloria Riva ci ha raccontato qualche esempio significativo che ci dimostra come si possa evitare di essere “sonnambuli”. Il primo caso è quello dell’Unione dei sette comuni dell’Appennino reggiano, un territorio dove vivono oltre 30.000 abitanti con gravi crisi occupazionali. L’assenza di lavoro ha provocato lo spopolamento delle valli. Negli ultimi 4 anni, grazie ad un progetto che ha coinvolto tutti i comuni della zona, il territorio è entrato a far parte del progetto nazionale SNAI. “Abbiamo rilanciato – ha spiegato Enrico Bini, presidente dell’associazione dei comuni della zona – un istituto scolastico specializzato nell’elettronica e meccatronica grazie anche alla vicinanza di un’azienda del settore che assume i giovani usciti dalla scuola. Siamo diventati così un polo attrattivo con 1500 ragazzi che arrivano anche da Modena e Parma per studiare con la prospettiva di avere un posto di lavoro sicuro”.

Un secondo esempio ci arriva dal Piemonte, dalla Val Maira, dove il sindaco del comune di Canosio che conta non più di 90 abitanti, ha realizzato un interessante esperimento “Siamo riusciti a fermare l’emorragia di giovani ma non possiamo ancora dire che i cittadini della valle abbiano gli stessi diritti di quelli di città”.

Il sindaco di Canosio, Colombero, ha lanciato un progetto per capire quali fossero le azioni da concretizzare per diventare una valle attrattiva. Da questa indagine è nata l’idea di investire su una scuola di alta qualità, su servizi di trasporto a chiamata e sullo sfruttamento delle risorse locali – l’acqua e la legna – per diventare autonomi dal punto di vista energetico e farne una fonte di ricchezza economica. A questo si aggiunge il boom del turismo che dà lavoro e attrae stranieri affascinati da centinaia di sentieri curatissimi e da locande, rifugi e agriturismi che offrono uno spaccato della cultura occitana.

L’Atlante Nazionale Digitale postmetropoli.it (una formidabile banca dati ricca di informazioni anche sorprendenti sui destini del nostro povero paese) dimostra un trend irreversibile: “Alcuni distretti produttivi locali – ha scritto Valeria Fedeli del Politecnico di Milano, promotrice dell’Atlante postmetropoli – hanno perso la propria forte coesione interna. A Saronno, a Lumezzane si registra una flessione dei flussi interni accompagnata da un incremento della ricerca di lavoro nelle aree esterne. Il volume di persone che si sposta da quelle zone per cercare lavoro a Milano è impressionante”.

Anche Fabrizio Barca la pensa così: “C’è una faglia che vede i cittadini delle aree rurali, della provincia, fuori dall’orizzonte delle élite nazionali, penalizzati nei servizi pubblici e privati e nelle scelte di investimento, mortificati talora come luoghi di svago e nostalgia. Le politiche imposte da Roma non hanno saputo interpretare le necessità locali mentre la strategia deve venire dalle persone che vivono lì e ne conoscono le peculiarità”.

Gli eredi di Piketty

L’economista francese Thomas Piketty nel 2013 pubblicò “Il capitalismo nel XXI secolo” nel quale mostrava al mondo come i ricchi sarebbero diventati sempre più ricchi perché i rendimenti del capitale accumulato dalle persone abbienti sono e saranno sempre maggiori rispetto alla crescita dell’economia reale, favorendo quindi la disuguaglianza.

Roses e Wolf nel loro prossimo libro in uscita in Italia “The return of regional inequality: Europe from 1900 to today” proseguono lo stesso teorema “Non solo la ricchezza si accumula nelle mani di pochi, ma si concentra in alcune aree per lo più urbane creando un vuoto intorno. Dati alla mano, abbiamo la dimostrazione come il periodo di diffusione della ricchezza si è concluso nella metà degli anni ’80, in concomitanza con la chiusura dell’epoca fordista e con la fine delle grandi fabbriche per fare spazio all’economia della conoscenza e alla globalizzazione. L’Italia è tra i paesi più colpiti da questo fenomeno di impoverimento diffuso tant’è che non è più possibile parlare di un nord ricco e di un sud povero, ma succede che i comuni più indigenti si trovino non troppo lontano dalla più ricca città italiana, Milano”.

Le conclusioni sono identiche a quelle assunte dalla Presidenza del Consiglio italiana nell’ambito del progetto SNAI lanciato 7 anni fa da Barca: “Le Aree Interne rappresentano oltre la metà dei comuni italiani, ospitano meno di un quarto della popolazione ma occupano il 60% della superficie nazionale e quelle zone stanno aumentando”.

Le conclusioni di Roses e Wolf

Ma non basta! I due professori sostengono che in Italia l’aumento delle disuguaglianze porterà anche alla fine del modello dei distretti industriali, cancellati dalla nuova tendenza dei capitali ad accentrarsi nelle città più forti: “Il boom economico – scrivono Roses e Wolf – aveva portato all’Italia una fase di espansione e diffusione del benessere nelle province, perché è lì che gli imprenditori hanno aperto gli stabilimenti, facendo proliferare i distretti produttivi industriali. Oggi, invece, l’economia della conoscenza tende ad accentrare i migliori capitali umani nella città. Quest’ultima ha bisogno di poche persone, molto istruite e ciò sta creando poli di estrema ricchezza e benessere lasciando tutti gli altri al palo”.

Che fare dunque? Siamo assediati da parole dure, pesanti come macigni: Disuguaglianze, Squilibri, Impoverimento, Malessere, Populismo. Inutile girarci intorno con slogan o progetti velleitari. È davvero possibile ridurre le disuguaglianze tra città e provincia? Il fenomeno, nella storia dell’umanità, è già accaduto. L’Italia costituì proprio un esempio, studiato ad esempio in Cina, di come la polverizzazione delle PMI sul territorio nazionale creò valore economico, coesione sociale, benessere diffuso, argine contro l’abbandono di certe zone geografiche disagiate. Già, ma poi, la globalizzazione ha rimesso in dubbio il modello, smantellandolo: “I tempi di adattamento ad un nuovo modello urbano – conclude il reportage di Gloria Riva, il sociologo Aldo Bonomi – saranno lunghissimi e la svolta arriverà quando, oltre alle smartcity, potremo avere smartland mettendo le mille piccole città italiane al passo delle metropoli, ridisegnandone le funzioni, affinché tutti tornino ad essere il nodo del flusso, creando nuova vitalità”.

Non arrendiamoci dunque: studiamo il fenomeno nel dettaglio. Pickett ci ritornerà sopra a breve con altri approfondimenti specifici.

Dobbiamo affidarci ad “esperti visionari” come Fabrizio Barca, ricordandoci sempre il vecchio adagio: “Non esiste città ricca senza una campagna florida”.

 

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