Forse ci siamo distratti. Abbiamo più o meno sospeso o accantonato il problema. Ma la “scimmia” non è morta. Anzi, dilaga. Chi, come vittima o genitore di una vittima, vive quotidianamente questa tragedia sa bene di cosa stiamo parlando.

L’eroina sta dilagando. A fiumi. Rovinando con l’estasi ingannatoria l’adolescenza dei nostri ragazzi e cancellandone il loro futuro.

Alcuni dati ci possono aiutare ad inquadrare questa strage che si sta consumando silenziosamente davanti ai nostri occhi distratti: 14,4 miliardi di euro costituisce la stima di quanto viene speso in Italia per il consumo di sostanza stupefacenti; 24 milioni sono gli europei, tra i 15 e i 64 anni, che nel 2017 hanno consumato cannabis; in Italia almeno il 10% della popolazione, nell’ultimo anno ha fatto uso di cannabis almeno una volta; 500 mila sono gli italiani che nel 2017 hanno fatto uso almeno una volta di cocaina.

In questo fosco scenario leggete cosa ha scritto in questi giorni Simone Feder, responsabile della Cooperativa Sociale Casa del Giovane di Pavia, in una lettera al Corriere della Sera. Il contenuto si concentra sul cosa debbano fare i parenti e gli amici dei ragazzi coinvolti in questo disastro.

Ci interroghiamo sull’antidoto a questa strage – ha scritto Feder – dire ad una ragazza che non c’entra nulla con quel posto è andare oltre il mero significato di queste parole, è trasmetterle le tue preoccupazioni, le tue scuse, è arrivare al suo cuore non per capire il perché, ma per mettere in discussione le tante nostre mancanze e il fallimento del mondo adulto. Se non siamo in grado di dare soluzioni, i giovani le cercano in altro o da altri. Non è possibile aspettare il disagio, dobbiamo andare a incontrarli là dove si sono persi, in quel non posto dove hanno trovato una ragione d’essere e accompagnarli con rispetto e senza giudizi a ritrovare la strada”.

Simone ricorda un episodio significativo. Un caso riuscito di recupero di un ragazzo di 15 anni finito nel buco nero della droga. “Ricordo la fatica di due genitori nel vedere il figlio affascinato dalla droga già a 15 anni. Chiesi di portarlo al colloquio. Non riuscivano, ormai lui era incontrollabile. Li aiutai. Con un compromesso riuscirono a portarlo. “Perché in comunità ci sono cancelli e porte aperte?” Chiese il ragazzino “Noi aiutiamo la gente a essere felice e serena senza costrizioni” dissi. Fu l’inizio. Lo sostenni nelle sue fatiche a essere capito dai genitori e lo invitai a venire a trovarmi senza impegno, per visitare la comunità, che spesso i ragazzi immaginano come una galera. Tornò! Andammo insieme. Lo lasciai a parlare da solo con i ragazzi”.

Tornando alla domanda iniziale sull’antidoto a questa tragedia, sul cosa possiamo fare, Simone è preciso: “Oggi l’unica nostra arma per essere presenti nel mondo giovanile sono le relazioni che dobbiamo imparare a tessere uscendo dai nostri comodi spazi, dalle nostre comunità, ambulatori e studi, in cerca del vero disagio. Solo sentendo su di noi la fatica e il peso delle fragilità dell’altro, saremo in grado di andare oltre la punta dell’iceberg, penetrare in modo virale in quel DNA del disagio e modificarlo profondamente. L’incontro con l’altro deve portare anche ad un nostro cambiamento. Michele, il ragazzo di 15 anni di cui vi ho parlato prima, è in comunità da mesi, non è mai scappato, ha ripreso gli studi e ritessuto le relazioni con i genitori”.

Anche da San Patrignano arriva una denuncia accorata. Gridata da uno dei centri più conosciuti e autorevoli nella lotta contro le droghe. “L’eroina non è mai scomparsa – ha scritto di recente Antonio Boschini, responsabile terapeutico della comunità – ma ciò che è cambiato negli ultimi due-tre anni è che viene utilizzata molto più spesso dai giovanissimi, subito dopo l’esperienza della cannabis, e che sta tornando a crescere l’uso tramite siringa. È un fenomeno che osserviamo nei tanti minorenni che ospitiamo nei nostri due centri minori, purtroppo insufficienti a rispondere alle tante domande d’aiuto che ci arrivano. Solo negli ultimi due anni ne abbiamo accolti 53 e se fino a qualche anno fa gli interventi nei confronti dei  minori erano principalmente a scopo preventivo per comportamenti aggressivi e per le prime esperienze con le sostanze, oggi ci troviamo ad accogliere anche giovani con alle spalle una storia già lunga, con uso di eroina, epatite C, prostituzione e degrado sociale. E sempre più spesso questo problema riguarda il genere femminile”.

Boschini, pur dando atto che l’Italia possiede “una delle più strutturate reti di servizi sanitari pubblici, oltre 500 SerD, per la cura delle persone con dipendenza, riteniamo che i Sert non possano da soli costituire una risposta a questa nuova emergenza, in primis perché la poli-dipendenza rende la terapia sostitutiva poco efficace e poi perché non crediamo sia eticamente proponibile l’intervento con farmaci sostitutivi, di cui spesso si conosce l’inizio ma non la fine, ad adolescenti”.

Sulle origini del fenomeno, sul “come si comincia” Boschini ha le idee chiare: “La dipendenza da droghe ha molteplici radici, tra cui problemi famigliari, gravi traumi avvenuti nell’infanzia, e non può essere risolta da un farmaco. Certamente è opportuno un intervento iniziale da parte dei SerD, finalizzato alla riduzione del danno, ma poi dovrebbero seguire rapidamente l’identificazione di un ambiente protetto dove svolgere un percorso terapeutico, educativo e socio-riabilitativo obbligatorio laddove l’adolescente non sia in grado di coglierne la necessità… Tutto questo senza dimenticare che il mondo adulto ha idee poco chiare sulla droga. L’uso di sostanze è sbagliato a prescindere dai danni che provocano ed è inutile ritrovarci a piangere ragazzi che muoiono per overdose quando promuoviamo la legalizzazione della cannabis, sostanza per la quale è dimostrato che provoca danni al sistema nervoso e predispone da un punto di vista sociale e biologico all’uso di altre sostanze”.

Il nocciolo della questione rimane la prevenzione, soprattutto culturale ed educativa: “Dobbiamo educare i nostri ragazzi alla bellezza della vita – sostiene Boschini – non è una frase fatta ma è ciò che in comunità cerchiamo di fare giorno dopo giorno, rieducando il giovani al piacere delle piccole cose, offrendo ai ragazzi una realizzazione anche sul piano formativo e professionale indispensabile per tornare a guardare con fiducia al futuro”.

Pickett ha cercato di dare alcune risposte alla domanda che non deve rimanere semplicemente un alibi per non fare nulla… cosa possiamo fare noi adulti? Tenere aperti i microfoni, agire dal punto di vista educativo e culturale, dedicare del tempo a quei ragazzi fragili che sono a rischio di essere attratti dalle facili illusioni delle droghe.

Adesso tocca a noi aiutarli e non lamentarci o piangere lacrime del coccodrillo soltanto quando leggiamo sui giornali o vediamo nei giardini pubblici delle nostre città lo strazio di una parte della nuova generazione che si suicida stanca di una vita deludente e nemica.

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