Semplificazione, Concorrenza, Giustizia.

Le tre parole chiave del Governo Draghi, fase 2.

Dopo aver raggiunto i due principali obiettivi, il rifacimento e la spedizione del Recovery Plan e l’efficientamento della macchina logistica delle vaccinazioni (raggiunta la soglia dei 500.000 vaccini al giorno con l’ulteriore, ambizioso obiettivo di arrivare a un milione ogni 24 ore dal prossimo luglio) Mario Draghi entra nella seconda fase del suo incarico.

La più delicata, spinosa e sfidante: quella delle Riforme.

O almeno quella delle prime, più importanti Riforme volute da Bruxelles.

Il Presidente del Consiglio ha dovuto, nella maratona finale prima dell’invio formale della proposta italiana di Recovery Plan, metterci la faccia.

Convincere la Van Der Leyen con la sua storia, la sua reputazione, la sua professionalità.

Bruxelles lo ha stressato fino all’ultimo minuto: o ci garantite le riforme per dare una esecuzione certa, efficiente e virtuosa all’erogazione dei miliardi di euro europei, oppure l’Italia rischia di vedersi bloccare il piano, durante la sua attuazione.

Semplificare la burocrazia, liberalizzare la concorrenza in certi settori ancora troppo protetti e intervenire sulla giustizia troppo lenta, macchinosa e caratterizzata da troppi scandali come dimostra la cronaca proprio di queste ore, sono i tre interventi prioritari che Draghi ha dovuto garantire a Bruxelles per sbloccare il dossier Recovery Plan.

Adesso, dunque, si apre la fase più delicata del suo mandato, mettere mano a quelle riforme di cui molti governi hanno parlato, promesso, illuso e … non mantenuto mai gli impegni negli ultimi trent’anni.

Sarà una specie di “crash test” per il Governo come lo ha giustamente definito Francesco Verderami sul Corriere della Sera.

Draghi è consapevole che in questo mese di maggio 2021 incomincia davvero la sua missione per cambiare l’Italia.

Mettere le mani nel fango contro gli interessi elettorali dei partiti,  quelli corporativi delle lobby, quelli intoccabili dei magistrati.

Rendere l’Italia un paese più equo, più moderno, con più opportunità per i giovani e per le donne, come ha sottolineato il ministro dell’Innovazione Tecnologica, Vittorio Colao, “Grazie alla connessione digitale e anche al ruolo dello Stato nell’economia: fare l’arbitro, non il giocatore, e stimolare il gioco”.

D’altronde se non ci prova un uomo con il suo carisma e con la sua autorevolezza anche internazionale, con una maggioranza forse complessa, contraddittoria e molto volubile, ma dalle caratteristiche quantitative “quasi bulgare”, chi dovrebbe tentare con qualche chance di successo?

L’entourage di Draghi, sempre molto sobrio, fa trapelare la sensazione che l’attuale maggioranza parlamentare, su singoli provvedimenti, potrebbe anche spaccarsi e ridursi, dando vita, di volta in volta, a nuove maggioranze strettamente connesse con l’oggetto della legge in votazione.

Nulla di male, nulla di irreversibile però, sussurrano a Palazzo Chigi.

Il Governo andrebbe avanti lo stesso, completando il suo lavoro anche con una maggioranza a geometria variabile.

Il Governo Draghi non deve durare “a prescindere” come direbbe Totò, può permettersi il lusso  di innescare un processo di riforme che, su singoli passaggi, potrebbe perdere l’appoggio di uno o più partiti della coalizione, recuperandoli però nella successiva votazione.

Qui sta la sua forza, la sua straordinaria peculiarità.

Le tre riforme volute da Bruxelles incideranno profondamente sul nostro modello di stato e sulla sua efficienza decisionale ed esecutiva.

Vediamole in sintesi.

La semplificazione

I soldi non mancheranno – ha scritto recentemente l’ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli – ora bisogna mettere in campo la capacità di utilizzarli al meglio ed entro le scadenze stabilite.

Dal Codice degli Appalti alla corsia preferenziale per la realizzazione dei progetti contenuti nelle 300 pagine del PNRR, il nostro Recovery Plan.

Bisogna vincere la battaglia contro quel nemico infido e invisibile fatto di troppa burocrazia, di accidia, fatalismo, impreparazione, senza voler citare i casi numerosi di corruzione o interessi di parte.

Finora questa battaglia è stata vinta dalla burocrazia inefficiente: l’occasione di Draghi è quella di invertire la rotta e di semplificare quei “lacci e lacciuoli” di cui parlava già Guido Carli negli anni ’80.

Questa battaglia si vince se si semplifica veramente il rapporto tra i cittadini, le imprese e lo Stato e si sconfigge quella cultura dell’“inerzia istituzionale” denunciata proprio da Draghi.

Questo è il punto di partenza di un percorso difficile e in salita per rispettare le condizionalità di Bruxelles e non perdere i finanziamenti europei.

E’ annunciato a breve un nuovo decreto a cui stanno lavorando i ministri Giovannini e Brunetta proprio per disciplinare la semplificazione.

Questo decreto costituirà la “prova del nove in Parlamento” del Governo Draghi perché rappresenterà “la prima pietra del progetto di modernizzazione del Paese”, la base di revisione per la pubblica amministrazione, le autorizzazioni ambientali, le infrastrutture, la digitalizzazione.

La concorrenza

Entro giugno dovrebbe arrivare in aula anche il secondo decreto, quello sulle nuove norme della concorrenza.

Il decreto, richiesto da Bruxelles, che incide sui serbatoi elettorali delle forze politiche: quello che tocca “la carne viva” degli interessi dei partiti.

Il Presidente del Consiglio è consapevole di quanto sia diffusa nel nostro Paese la cultura dell’“effetto Nimby”: tutti siamo favorevoli ad appoggiare le riforme a condizione che non abbiano per oggetto interventi “nel nostro giardino”.

Bisogna sconfiggere anche questa cultura e andare oltre.

Anche diminuendo le protezioni in certi settori dove è necessario un cambio di paradigma per rilanciare l’economia e costruire la crescita.

La giustizia

Last but not … least, la giustizia.

Entro agosto il Governo Draghi dovrebbe presentare in Parlamento il disegno di legge delega con il quale si dovrà riformare la giustizia.

L’obiettivo è quello di ridurre in modo drastico il tempo dei processi, come ha ribadito il Guardasigilli Cartabia, ma non solo.

Bisogna rivisitare le procedure penali, civili, fiscali e amministrative ma anche mettere mano all’organizzazione del sistema giudiziario.

Dopo almeno trent’anni di stallo, questa maggioranza dovrebbe avere il coraggio e la responsabilità di affrontare i temi relativi alla formazione, alla produttività, alla deontologia della magistratura, rimeditando sul meccanismo elettivo e rappresentativo del CSM.

Tutti argomenti ad alto tasso emotivo e quindi di grande rischio politico.

Questo il contenuto della fase 2 che Mario Draghi sta avviando.

Un progetto complesso, sfidante, in salita vista la cultura della “gomma piuma” tipica della nostra burocrazia pubblica.

Ci chiediamo però, in questo complesso contesto politico, chi potrebbe assumersi la responsabilità di far cadere il governo.

Quale forza politica, di fronte alla straordinarietà e unicità di gestire 248 miliardi di euro nei prossimi anni per far risorgere il nostro Paese, potrebbe alzarsi in piedi in Parlamento e assumersi la responsabilità di sfiduciare il Governo Draghi?

Le riforme non saranno facili da portare in porto (anche perché, ce ne sono altre, non meno importanti delle prime tre citate: la legge elettorale, la riforma fiscale, la riforma degli ammortizzatori sociali, la revisione dell’art. V della Costituzione, anche alla luce delle carenze e degli equivoci emersi durante la crisi pandemica… ecc), ma siccome non ci sono alternative, forse, sarà la volta buona.

Abbiamo l’opportunità di scrivere la storia di una stagione politica di discontinuità con il recente passato.

A Palazzo Chigi, pare, regni un certo ottimismo … non velleitario.

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