I sondaggi, al di là delle percentuali attribuite ai partiti, ci mandano questa fotografia del nostro paese: preoccupazione per l’incompetenza e il pauperismo dei grillini; giudizi divisi su Salvini e malinconici su Berlusconi; solidarietà ai limiti della simpatia per la debolezza di Conte. Nella ovvia diversificazione delle opinioni degli intervistati, c’è però un unico punto sul quale converge una quasi totale unanimità: l’insofferenza verso la sinistra. “Al PD – ha scritto di recente Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera –arrivano messaggi gonfi di risentimento anche al di là degli evidenti demeriti di quel partito e dei suoi dirigenti. È legittima la domanda: perché la sinistra in Italia non è mai stata primo partito? Più in generale, perché è tanto odiata?

Pickett si è fatto un’opinione in merito. Le speranze deluse da Renzi (molti, anche al di là del perimetro degli elettori storici della sinistra o del centro sinistra, lo avevano votato) e la continua, spesso imbarazzante, polemica interna al partito tra le varie fazioni che ormai rappresentano soltanto… sé stesse, hanno marginalizzato il posizionamento del PD. Lo hanno escluso, si sarebbe detto una volta, prima dell’avvento di internet, dalle “prime pagine dei giornali”.

Tutto vero, tutto sacrosanto. Pickett crede però che ci sia un altro motivo reale, forse imbarazzante da ammettere, per capire quello che sta succedendo all’interno di questa sinistra rissosa, inconcludente, incapace di costruire intorno a sé un consenso alternativo rispetto a un contesto di violenza politica caratterizzata dal rinato fascismo – sovranismo – populismo di questo terzo millennio.

La sinistra oggi non ha una sua proposta politica. Non ha un modello condiviso di società da proporre agli elettori. Non ha ancora capito cosa sia successo e cosa stia succedendo non solo in Italia ma in Europa e nel mondo. Annaspa, contorcendosi e avviluppandosi tra vecchie categorie concettuali di una politica superata, con slogan appassiti e pieni di ragnatele e con atteggiamenti, tra l’altro, di contropropaganda che scimmiottano il peggior grillismo leghista.

Con un po’ di modestia, curiosità, attenzione e serietà, basterebbe indagare nelle pieghe di cosa sta succedendo in altri paesi coinvolti in questa grande fase di trasformazione tecnologica, politica e sociale del mondo, per farsi venire delle idee.

Lo spunto per fornirvi un esempio di quanto detto, ci viene da Londra, meglio da Canterbury, da un prete con un passato imprenditoriale di successo nel mondo del petrolio; quindi da un prete un po’ particolare ma sicuramente visionario e credibile che il mondo capitalista lo ha conosciuto bene nei suoi dettagli.

Stiamo parlando di Justin Welby, 62 anni, arcivescovo della famosissima cattedrale di Canterbury.

Che cosa ha fatto Welby, la massima autorità spirituale della chiesa anglicana? Perché citarlo come un esempio? Il reverendo inglese si è posto semplicemente il tema di come provare a reagire al dilagante populismo e ha promosso l’insediamento, nel grande palazzo dove vive e lavora sul Tamigi, di un tavolo di lavoro composto da economisti, capitani di industria e sindacalisti per studiare e condividere, se possibile, un manifesto per il rilancio di un programma economico e sociale contro le disuguaglianze, le derive autoritarie e a favore di un nuovo modello di coesione sociale, più equo, più moderno e più virtuoso eticamente.

Il piano è stato completato di recente e presentato alla stampa.

Il documento è stato realizzato dall’Institute for Public Policy Research (IPPR), un autorevole think tank progressista di Londra con l’importante contributo del reverendo Welby che ha dato un entusiastico appoggio all’iniziativa.

Il piano redatto dall’IPPR contiene 73 raccomandazioni tra le quali spiccano (I) un aumento delle tasse sull’eredità, sui dividendi e sulle corporation, (II) un incremento del salario minimo, (III) maggiori investimenti pubblici a breve, (IV) il coinvolgimento dei lavoratori nei consigli di amministrazione e (V) una ulteriore spinta alla devolution legislativa in favore delle regioni. Quello che colpisce nella lettura del documento è un forte atto di accusa contro una cultura del business dominata da decenni dall’avidità di incassare sempre maggiori profitti a breve termine e con salari sempre più inadeguati. Un modello che ha portato in rovina l’immagine del capitalismo.

L’attuale modello di capitalismo non funziona – si legge nel dossier dell’IPPR – non ha dato risposte alla crisi finanziaria globale del 2008 ed è almeno parzialmente responsabile del declino del Regno Unito nelle classifiche internazionali di produttività”.

Secondo l’IPPR, senza rilevanti investimenti per affrontare sviluppi come la crescente automazione del lavoro derivante dall’intelligenza artificiale e dalla rivoluzione digitale, si rischia un altro decennio di salari stagnanti, debito privato in ascesa e infrastrutture sempre più deteriorate.

Realizzare insieme prosperità e giustizia è un imperativo non solo morale ma economico” ha detto l’arcivescovo Justin Welby in occasione della presentazione del piano.

Proprio 10 anni dopo l’inizio della grande crisi del 2008, l’IPPR ha voluto pubblicare questo rapporto nella speranza che possa servire a voltare davvero pagina rimeditando il nostro modello economico e la nostra idea di coesione sociale.

Fra le proposte articolate nelle 73 raccomandazioni che sono contenute nel piano, figurano (I) un’imposta da 13 miliardi di sterline annua da imporre alle multinazionali, (II) la creazione di un Citizens Wealth Fund da 186 miliardi di sterline e (III) una strategia industriale per sostenere le esportazioni appoggiata da una nuova banca, specializzata in materia, che dovrebbe raccogliere 15 miliardi di sterline l’anno: “Sono decenni che l’economia britannica ed europea non va come dovrebbe – ha dichiarato il reverendo Justin Welby – con milioni di persone che ricevono meno di quello che sarebbe necessario. Il gap tra ricchi e poveri si è allargato, i timori sul futuro, in particolare tra i giovani, hanno danneggiato il senso identitario di chi siamo. Questo studio dimostra che le cose si possono fare diversamente. Mettendo più equità nel cuore dell’economia, possiamo migliorare la vita di tutti”.

In una intervista rilasciata al Daily Mail il reverendo ha aggiunto: “Il 10% più ricco dell’Inghilterra ha un patrimonio 900 volte più grande del 10% più povero. I giovani sono più poveri dei loro genitori, faticando a trovare lavoro e comprare casa. La maggior parte dei poveri sono famiglie di lavoratori. Non possiamo continuare così. Come cristiano, parto dall’insegnamento di Gesù: gli uomini sono tutti uguali e la giustizia ha una importanza fondamentale nella società. È un tema ricorrente nella Bibbia”.

Il messaggio forte dell’arcivescovo Welby è sostanzialmente analogo, anche se più strutturato e specifico, di quello lanciato a più riprese negli ultimi tempi da Papa Bergoglio: la necessità di modificare il nostro modello di stare insieme per ridurre le disuguaglianze tra ricchi e poveri nel mondo, ormai insopportabili.

Forse una sinistra moderna e visionaria dovrebbe proprio ripartire di qui, evitando il paradosso che a occuparsi di politica siano gli alti esponenti dello Stato Vaticano o delle chiese del mondo cristiano.

 

Comments (2)
  1. Maurizio Baiotti (reply)

    11 Ottobre 2018 at 12:00

    Estremamente interessante, ce l’abbiamo noi un arcivescovo di Canterbury?

  2. Lorenzo Brenta (reply)

    11 Ottobre 2018 at 16:15

    C’è molto su cui riflettere in questo articolo. Mi domando se, con tutti gli esempi di policies di successo ed insuccesso nel mondo, si debba pensare ad una serie di ricette nuove. Nel nostro paese, per esempio, mi domando se le regioni possano uniformemente contare sulle competenze necessarie per una più intensa attività legislativa. Alcune ricette, come l’aumento di salario minimo, sembrano contrastare con la necessaria competitività di una nazione rispetto alle altre. Rimango sorpreso anche per il mancato suggerimento di maggiori investimenti nella formazione delle persone (ma non ho letto il rapporto, e magari non è stato semplicemente affrontato in questo blog). Vedo pericolo nell’incapacità della gente di individuare e votare per rappresentanti politici di buon livello, nella mancanza di valorizzazione della competenza e dell’esperienza.

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