La famosissima storia del pastorello Davide che armato di una piccola fionda uccide Golia, il temibile gigante dei Filistei in guerra con il popolo di Israele, potrebbe avere una nuova replica.

L’episodio, contenuto nella Bibbia e risalente all’anno 1000 a.c., è passato alla storia come sintesi di una vittoria del più debole contro il più forte: un audace fanciullo che armato di una banale fionda affronta e sconfigge il temibile gigante.

Avendo prima studiato e poi raccontato in un saggio pubblicato qualche anno fa sulla rivista Storia Militare il conflitto russo-finlandese durante la Seconda Guerra mondiale, il paragone con l’attuale invasione dell’Ucraina mi è venuto subito, spontaneo, davanti agli occhi, con la rappresentazione iconica della storia biblica di Davide e Golia: una piccola nazione invasa da una super potenza confinante, legata da una antica storia comune di alleanze e di sofferenze contro l’invasione di stranieri.

Nel 1939 la piccola e male armata Finlandia riuscì a fermare e a costringere ad un armistizio la grande Armata Rossa di Stalin proprio nei primi  mesi della Seconda Guerra mondiale.

Il coraggio, lo spirito identitario, la minuziosa conoscenza del territorio, permisero al maresciallo Mannerheim di fare il miracolo bloccando l’invasione russa e salvaguardando l’indipendenza finlandese.

È interessante ripercorrere i passaggi di quella storia poco conosciuta e che potrebbe ripetersi, auspicabilmente anche nell’armistizio finale, oggi a distanza di oltre 80 anni.

Una storia comunque che fa riflettere anche noi italiani in relazione a come la nostra classe dirigente gestì nell’estate del 1943 la caduta del fascismo, l’uscita dalla guerra, l’armistizio di Cassibile, la rottura dell’alleanza con i tedeschi.

L’indipendenza finlandese

6 Dicembre 1917: i finlandesi coronano il loro storico sogno. La Finlandia diventa indipendente. Conquista per la prima volta nella sua storia la sua sovranità. Finisce un’era e ne inizia un’altra. Sempre complessa, sempre, diremmo noi italiani, caratterizzata dal fatto di essere una nazione “di mezzo”, di “valico”, di confine. Stretta tra giganti sempre inclini a tendenze colonialistiche.

Potrebbe dunque sembrare la storia di un Paese lontano, marginale, con tradizioni diverse e non comparabili con le nostre o con quelle ucraine. Invece scopriremo che ci sono similitudini storiche e politiche sorprendenti. Alcune, conoscendole meglio, ci avrebbero potuto evitare, a noi italiani, tragedie e ferite ancora non rimarginate: agli ucraini spunti sui quali impostare un progetto di risoluzione pacifica del conflitto. Ragioni profonde che hanno dato vita nel tempo ad un modello di convivenza drammaticamente conquistato ma diventato poi esemplare per spirito identitario, senso della solidarietà sociale, welfare reale e non solo promesso, visione lucida sulla possibile futura coesione inclusiva tra i popoli. Pur trattandosi di una piccola nazione di cinque milioni di abitanti (molti emigrati a cercar fortuna all’estero) disseminati in uno sterminato territorio, per almeno nove mesi all’anno inospitale e ostile, con temperature proibitive e totale mancanza di luce solare, la Finlandia ci offre spunti di riflessione interessanti sulla storia passata e sul futuro prossimo venturo.

L’eroe contro le sopraffazioni dei grandi, il cinico diplomatico selezionatore attento delle alleanze con il compagno di viaggio, di volta in volta, meno insidioso, il grande protagonista di questa storia sarà il Maresciallo Carl Gustav Mannerheim. Il vero e unico padre della Patria, conduttore illuminato sia del processo che portò all’indipendenza nel ‘17, sia della delicatissima gestione, nel ‘39, nel ‘41 e nel ‘44 dei rapporti politici e militari con alternativamente i russi, i tedeschi e gli Alleati. Mannerheim, svedese di origine, era un ex ufficiale dell’esercito russo, nato sotto la Russia degli Zar e diventò il simbolo dello spirito identitario dei finlandesi. Oggi è ricordato con un monumento o una lapide in tutte le città del Paese.

La storia ci insegna che perché Davide riesca a sconfiggere Golia il popolo e soprattutto l’esercito hanno bisogno di un eroe, di un esempio, di un loro concittadino che con uno scarto di orgoglio e coraggio prende la testa del movimento a difesa del territorio nazionale: Mannerheim rappresentò proprio questo simbolo.

Le origini della Finlandia

Per cercare di capire meglio il Dna che ha animato lo spirito dei finlandesi nel loro eroico 1900, bisogna risalire alle origini di una nazione facente parte del cosiddetto “Nord”. Due i ceppi etnici che hanno condiviso un territorio immenso per lo più inabitato: i suomi o finlandesi e gli svedesi. Due etnie diverse; due lingue incomprensibili; due comunità spesso in conflitto tra di loro. Poco dopo l’anno 1000 d.c. furono gli svedesi, divenuti cristiani, nel loro processo di evangelizzazione, a scontrarsi con i pagani suomi, da tempo sottomessi al regno russo di Novgorod. Fu una costante storica dei popoli scandinavi rivolgersi verso oriente attraverso quella che è stata denominata “la Marcia verso Est”. Una scelta necessitata da motivazione difensive (arginare l’incubo russo) o offensive (ricercare spazio vitale verso il continente). Ma anche e soprattutto economiche. Il potenziale di materie prime esistente ad Est, le sue ricchezze hanno sempre costituito un sogno, mai realmente realizzato, di tutti i sovrani scandinavi. L’attuale Finlandia divenne una delle “quattro terre” [tre nella Svezia propria, Götaland, Norrland e Sveland, e la quarta la Finlandia, Österland] della Svezia, acquisendo poi una certa autonomia che le permise di diventare un Granducato del regno svedese.

Nel 1809, dopo un ennesimo tentativo dello Zar Alessandro I di occupare i territori sul Mar Baltico, la pace di Hamina certificò la fine della sovranità svedese sulla attuale Finlandia, dopo 600 anni di dominazione. Lo Zar si impegnò a rispettare il Granducato di Finlandia ora diventato russo, pretendendo soltanto lo spostamento della capitale da Turku a Helsinki nel 1817: proprio cento anni prima della indipendenza del Paese.

La Guerra Civile

Tutto risolto?

Purtroppo no. Iniziò infatti una feroce Guerra Civile tra coloro che immaginavano una Finlandia autonoma ma governata dai finlandesi filo bolscevichi, e coloro che si opponevano duramente all’ipotesi di diventare uno stato comunista satellite di Leningrado. Nel gennaio del 1918 Helsinki fu occupata e tutto il sud del Paese rischiò di crollare di fronte all’attacco di truppe russe aiutate dai finlandesi bolscevichi. Si replicava anche in Finlandia lo scontro tra “Rossi” e “Bianchi”, in corso in Russia, con massacri ed efferatezza da ambo le parti. Qui entrò in scena il personaggio che caratterizzerà poi tutta la storia della Finlandia del ‘900: l’allora tenente generale dell’esercito russo Carl Gustav Mannerheim, nominato dai “Bianchi” comandante supremo dei “Corpi di Difesa”, rappresentativi della parte non comunista della popolazione finlandese.

Quando i bolscevichi di Lenin presero il potere, il Governo Svinhufvud decise di dichiarare l’indipendenza il 6 dicembre 1917: i socialdemocratici non erano in linea di principio contrari ma avrebbero voluto negoziare con il Governo bolscevico e poi ottenere maggior potere per il Parlamento. Lenin riconobbe subito la Finlandia indipendente. Il Paese era però spaccato in due, e vi erano ancora circa 40.000 soldati russi di stanza entro i confini. L’ala più moderata dei socialisti cercò ancora di tenere aperto un dialogo, ma l’ala più radicale prese il controllo della classe lavoratrici. Il Governo temette un colpo di stato e ordinò a Mannerheim di costituire un forte corpo di polizia. Il 25 gennaio 1918 le Guardie di Protezione create dai non- socialisti vennero investite dal ruolo di truppe governative. I socialdemocratici considerarono questo un vero e proprio colpo di stato e con l’aiuto delle Guardie Rosse e la promessa di Lenin di fornire armi, iniziarono un movimento rivoluzionario a Helsinki nella notte del 27/28 gennaio. La stessa notte Mannerheim ordinò alle Guardie Bianche di disarmare le truppe russe nella parte centro-occidentale del Paese e le poche Guardie Rosse nella zona vennero sconfitte. Il Governo “Bianco” si era intanto trasferito a Vaasa, più a nord lungo la costa e la linea lungo la quale si fronteggiavano le truppe Rosse e Bianche partiva da Pori, passava a nord di Tampere, Heinola e finiva a Viipuri: c’erano circa 90.000 uomini per parte, compreso un contingente di Jäger tedeschi con i Bianchi e pochi russi con i Rossi. Gli ufficiali Bianchi provenivano in maggioranza dall’esercito imperiale e vi erano anche volontari svedesi. Sin da quando iniziarono gli scontri l’aiuto della Russia ai Rossi non fu mai significativo, a causa della progressiva disgregazione dell’impero e del suo esercito. Dall’altra parte, anche la Germania non si impegnò mai troppo con i Bianchi per non compromettere le trattative per la pace in corso a Brest-Litovsk.

Dopo la firma del cessate il fuoco con i russi, la Germania era di nuovo libera di intervenire nella questione finlandese, cosa non proprio gradita da Mannerheim che non voleva troppi tedeschi sul territorio nazionale. Il Maresciallo cercò allora di accelerare la chiusura della guerra attaccando la posizione Rossa più forte, a Tampere, che cadde il 6 aprile dopo due settimane dei più sanguinosi combattimenti urbani mai svoltisi nei paesi nordici. Nel frattempo 12.000 tedeschi sbarcarono a Helsinki il 3 aprile e la città si arrese il 13. I Rossi cercarono di riparare in Russia, ma i Bianchi, con il supporto decisivo dei tedeschi, lo impedirono e catturarono 20.000 prigionieri.

Durante la Guerra Civile erano caduti 3.500 Bianchi e 7.000 Rossi. La carneficina finì ai primi giorni di maggio. Le truppe tedesche si ritirarono definitivamente a dicembre, sempre del 1918.

Alla fine, nel 1920, con la pace di Dorpat, lo scontro ebbe finalmente e formalmente termine. I Rossi erano stati sconfitti, Mannerheim aveva vinto. Aveva compiuto il suo primo miracolo sconfiggendo forze più numerose e meglio armate. Nella primavera del 1919 Kaarlo Juho Stahlberg fu eletto Presidente. La Finlandia conservava l’indipendenza appena conquistata anche se il prezzo della Guerra Civile era stato enorme.

Il Maresciallo Carl Gustav Emil Mannerheim: l’eroe nazionale finlandese

In tutte le città e in tutti i paesi della Finlandia, come detto, c’è una statua o una lapide che ricordano le gesta del Maresciallo. L’uomo che, russo per “ius soli”, combatté prima per l’indipendenza del Paese e poi, con una raffinata e spregiudicata politica internazionale, contribuì a salvaguardarla nonostante dei “vicini” grandi e turbolenti. Fu un uomo osannato e criticato: cinico e lucido nell’individuare con chiarezza le priorità del suo Paese tenendo conto, nel contempo, delle sue debolezze. Fu sempre molto sobrio e riservato nella vita privata e riuscì ad evitare campagne mediatiche sulle sue scelte e attitudini individuali e sentimentali.

Non fu velleitario ma semmai, e questa è forse la critica maggiore che si può ascoltare sulle sue scelte, eccessivamente opportunista. Un grande tattico sul piano militare. Assolutamente ingegnoso nel ’39 quando, per tre mesi, riuscì nel miracolo di arginare l’attacco russo. Una figura mitica dunque con qualche chiaroscuro che cercheremo di evidenziare e comprendere.

Mannerheim era nato a Askiainen il 4 giugno 1867 da una nobile famiglia di lingua svedese. La sua vita fu quella delle armi: a 14 anni entrò come cadetto nell’accademia militare di Helsinki e proseguì poi nella cavalleria dello Zar. Partecipò alla guerra russo-giapponese del 1904-05, diventando colonnello per la sua condotta coraggiosa sul campo. Durante la Prima Guerra Mondiale prestò servizio come generale di cavalleria nella brigata di Varsavia, sul fronte polacco. Nel 1915 divenne comandante della 12° divisione di cavalleria sul fronte del Dnestr. Mantenne il posto fino allo scoppio della Rivoluzione in Russia, quando il comando supremo lo congedò. Abbiamo già parlato del suo ruolo essenziale, come comandante, nella vittoria dei Bianchi durante la Guerra Civile. Al termine di tale guerra ricevette l’incarico di riorganizzare l’esercito. Si dimise da tale ruolo per protesta di fronte all’ingerenza tedesca nella politica militare finlandese. Per alcuni anni uscì di scena e si ritagliò il ruolo di Presidente della Croce Rossa finlandese e di capo dei Corpi di Difesa (una organizzazione para-militare per supportare l’esercito come forza di difesa territoriale). Non si occupò mai di politica direttamente. Nel maggio del 1933 fu nominato Maresciallo e divenne il consigliere più importante del Presidente della Repubblica finlandese Ryti. Il loro “ticket”, in tutte e tre le delicatissime fasi della guerra con i russi, rivestì un ruolo decisivo per la salvaguardia dell’indipendenza finlandese.

Il 4 agosto 1944, dopo le dimissioni di Ryti fu eletto Presidente della Repubblica. Concluse l’armistizio con la Russia e si impegnò nella cacciata dell’esercito tedesco dal suolo finlandese durante la cosiddetta Guerra Lappone. Indisse nuove elezioni nel 1945 quando la situazione incominciava a stabilizzarsi anche a livello internazionale.

Nel 1946 Mannerheim si dimise dalla carica di Presidente della Repubblica a favore di Paasikivi, sostenitore dell’indipendenza della Finlandia ma, nello stesso tempo tessitore di nuove relazioni con Mosca. Il successo di questa strategia fu confermato negli anni seguenti quando, nel 1948, la Finlandia firmò con l’Unione Sovietica un trattato di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca. Mannerheim si ritirò a vita privata e morì nel 1951 a Losanna in una clinica dove passò gli ultimi mesi gravemente malato.

La Guerra d’Inverno: l’invasione russa del 1939

Il periodo di pace tra le due guerre si interruppe improvvisamente nel fatidico 1939. Il patto di reciproca non aggressione firmato il 23 agosto tra Russia e Germania, sconvolse le diplomazie europee e mondiali. Fu l’inizio, come sappiamo, di una escalation, apparentemente pacifica, all’insegna di un accordo tra i due nemici storici di sempre che in realtà modificò, almeno temporaneamente, le strategie delle cancellerie europee, spiazzando politicamente e militarmente tutte le nazioni. La Finlandia fu una delle prime a pagarne il dazio. Contestualmente all’invasione tedesca della Polonia, la data ufficiale dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, la Russia di Stalin, ecco il “vero” oggetto del patto dell’agosto, iniziò una politica militare aggressiva nei confronti di tutti i suoi confinanti piccoli ma pericolosi.

E qui inizia la tragica similitudine con l’attuale tragedia dell’Ucraina

In quell’autunno del 1939, prima i Paesi Baltici poi subito dopo la Finlandia, entrarono nel mirino del gigante comunista, ormai consapevole della sua forza militare, sicuro sul fronte interno dell’assenza di oppositori (processi, purghe, gulag e trasferimenti coatti di intere popolazioni dai loro luoghi natii, avevano “pacificato” la Russia!), pronto a riappropriarsi dei “suoi” storici territori ovvero a conquistarne di nuovi per garantirsi la sicurezza esterna, le ricchezze locali, l’aumento del numero dei paesi comunisti in Europa, più o meno soddisfatti di tale scelta, per esportare definitivamente la rivoluzione e il messaggio marxista-leninista. Condivisa con i tedeschi la reciproca “neutralità” sulle reciproche conquiste, tutte assolutamente contrarie a qualsiasi ordinamento internazionale e non giustificabili da nessuna politica contro le aggressioni di terzi, la Russia, fino al drammatico e improvviso cambiamento di scenario del giugno 1941 (sul punto regnano ancora dubbi tra gli storici), pianificò una vera e propria aggressione sia dei Paesi Baltici sia della Finlandia. Da molti anni Stalin vedeva negativamente lo sviluppo di una Finlandia occidentale neutralista, anti-comunista, sempre più lontana dal Dna russo. Fin dal 1938 iniziarono così frequenti riunioni tra i due ministri degli esteri su temi legati ai confini esistenti, ad eventuali collaborazioni militari contro il nascente e inquietante nazionalsocialismo tedesco, all’uso del territorio finlandese come base di lancio comune per una aggressione “difensiva” alla Germania. Il patto Molotov-Von Ribbentrop dell’agosto ‘39 cambiò drasticamente lo scenario ma non le ambizioni espansionistiche russe. Anzi, come abbiamo visto, Hitler e Stalin si accordarono sul chiudere entrambi gli occhi di fronte a reciproche aggressioni di Paesi vicini. Per Helsinki il patto russo-tedesco costituì un autentico tradimento: una giustificazione questa che Mannerheim utilizzò abilmente più avanti, nel ‘44, per uscire dalla guerra e dall’alleanza con il Fuhrer, firmando una pace separata con i russi.

La campagna militare

Una volta “subita” la dichiarazione di guerra, il Governo finlandese si dimise. Non fu accettata nessuna opzione, spinta dai russi, di un nuovo Governo di sinistra capeggiato dal leader filo stalinista Otto Vilhelm Kuusinen. Il 1° dicembre 1939 si insediò un Governo di salute pubblica con a capo il Presidente della Banca Nazionale Risto Ryti per organizzare la difesa del territorio nazionale e della sua integrità. Il Parlamento si spostò a Kauhajoki, una località nella parte sudoccidentale della Finlandia a poca distanza dalla costa. Il Presidente, Mannerheim e i principali ministri che formavano il Gabinetto di Guerra restarono a Helsinki (Mannerheim aveva il suo comando a Mikkeli).

Accennavamo alla sproporzione tra i due eserciti allo scoppio del conflitto: quello finnico, compresi tutti i riservisti prontamente richiamati, contava su circa 200.000 uomini, più della metà dislocati nell’istmo della Carelia, al sud, nella zona più “ambita” dai russi. La marina poteva contare su due navi e cinque sommergibili, l’aviazione su circa 100 aerei, ma solo 75 da combattimento. I russi schieravano quattro corpi d’armata, 24 divisioni, 6 brigate blindate: circa 500.000 uomini, 2000 mezzi corazzati, 600 aerei.

Su queste basi di confronto ci voleva astuzia, grande capacità di movimento, talento ad inventare o nuove armi o nuovi metodi di guerriglia, mirati ad ottimizzare la conoscenza del territorio, della particolare luce o non luce, delle temperature a due cifre sotto lo zero. Nacque proprio in quell’inverno del ’39 quella che diventerà, fino ai nostri giorni, la famosa “bottiglia-bomba molotov”. Dedicata sarcasticamente al ministro degli esteri russo Molotov. Privi di un adeguato armamento anti carro, per arginare gli assalti dei tanks russi, i finlandesi si inventarono questo aggeggio primordiale ma efficacissimo contro i corazzati nemici. Sdraiati sul terreno, con uniformi bianche non vedibili dai piloti dei carri russi, i giovani soldati finnici, aspettavano l’ultimo momento per alzarsi di scatto e lanciare la loro molotov contro il blindato. Una scena che noi italiani, in un contesto climatico esattamente opposto, nell’autunno di 3 anni dopo, nel 1942, ripetemmo con lo stesso copione e con lo stesso coraggio. Ad El Alamein i nostri paracadutisti, i nostri fanti, i nostri bersaglieri adottarono la stessa tattica contro i tank inglesi e indiani lanciati contro i loro ridotti. Mannerheim e i suoi uomini, al di là di attuare la tattica della terra bruciata contro gli invasori (presto trovatisi dunque ad avanzare in un territorio sconosciuto, inospitale e senza l’ombra di nessuno all’orizzonte) e di costruire, fin dalle zone vicino al confine, una serie di linee difensive fortificate, denominate appunto “linea Mannerheim”, avevano escogitato anche un nuovo modo di combattere, aggredendo sempre il nemico: il cosiddetto schema “Motti”. Consisteva in un simulato

e marginale (ma il nemico non lo poteva sapere) attacco frontale alle linee russe che reagivano di conseguenza, concentrandosi sul fronte dell’apparente attacco principale. Contemporaneamente, con qualche minuto di ritardo rispetto al primo assalto centrale, piccoli gruppi di finlandesi, in più punti delle colonne nemiche, compivano dei veri e propri blitz. Dei “mordi e fuggi”, che scatenavano il panico e la confusione tra i russi, sentitisi accerchiati da ogni lato. Lo schema “Motti” prevedeva l’annientamento del reparto nemico attaccato e l’immediato ritorno nei boschi. In tal modo i lenti comandanti russi quando venivano avvisati dell’attacco laterale, ordinavano lo spostamento di compagnie a rinforzo, ma gli uomini arrivavano tardi quando sul campo erano rimasti i cadaveri dei loro compagni, i cannoni distrutti o sequestrati. Nessun finnico a portata di mano. Come ricordato da Montanelli, le forze finlandesi usarono anche dei cani (Sotakoira, cani militari) per disorientare e terrorizzare il nemico: il loro prezioso servizio è commemorato da un piccolo monumento nel cortile del museo della fanteria a Mikkeli.

Un senso di frustrazione, di impotenza e di scoramento caratterizzavano dunque lo spirito delle truppe d’invasione: esattamente lo stato d’animo voluto e sperato da Mannerheim e i suoi. Qui sta il cuore del “perché” i pochi ma talentuosi finlandesi riuscirono a bloccare per oltre tre mesi i tanti ma inefficaci russi.

Se al sud, in Carelia, la tattica difensiva aveva dato i suoi frutti, al nord e al centro del fronte, l’attacco russo ebbe maggior fortuna, almeno inizialmente. Tre divisioni russe entrarono in territorio finnico cercando di tagliare in due lo schieramento avversario. Tra il 30 dicembre e il 3 gennaio, la 163a div. sovietica e la 44a furono annientate grazie allo schema Motti, alle bottiglie Molotov, alla velocità d’azione dei gruppi di combattimento messi in campo da Mannerheim. In una settimana,

100.000 russi erano stati sconfitti da poche migliaia di difensori.

L’epilogo della Guerra d’Inverno

Ma il miracolo non poteva durare a lungo. A metà gennaio 1940, Stalin sostituì[3] il comandante del corpo di spedizione russo e nominò il Maresciallo Timochenko, uno dei leggendari comandanti dell’armata rossa. Fu preparato, dopo le cocenti delusioni patite a dicembre e gennaio, un nuovo piano di battaglia basato su bombardamenti massicci nel territorio dell’imminente attacco e concentrazione dell’offensiva al sud, in Carelia, con un utilizzo importante di blindati. Pur aiutati dall’arrivo del corpo dei volontari svedesi, i finlandesi erano arrivati allo stremo delle loro forze. I morti erano già circa 30.000 oltre a 10.000 feriti. Una ecatombe per una nazione piccola e poco popolosa. Agli inizi di febbraio Timochenko scatenò l’attacco decisivo con 3 divisioni, 150 carri e l’appoggio aereo di 200 caccia bombardieri. Tutto il mese fu segnato da ritirate tattiche necessitate dall’ormai dissanguato esercito finlandese. Si dovevano riaprire i tavoli negoziali. Bisognava cercare di ottenere un “cessate il fuoco” prima che fosse troppo tardi. Il 13 marzo i russi accettarono l’armistizio che fu poi firmato a Mosca. L’accordo fu penalizzante per la Finlandia ma d’altronde la sua forza negoziale era ormai spuntata. Fu già un risultato brillante salvaguardare l’indipendenza del Paese anche se a costo di sacrifici territoriali pesanti. Fu proprio Mannerheim ad insistere sulla accettabilità della dura proposta russa convincendo il suo Governo in tal senso. La sopravvivenza della nazione valeva bene la rinuncia alla Carelia orientale. L’alternativa sarebbe stata l’annientamento dell’esercito (con la primavera e il disgelo le divisioni corazzate russe avrebbero fatto a pezzi gli eroici difensori finnici). Mannerheim si prese la responsabilità di una decisione dolorosa ma lungimirante. Le potenze occidentali che per la Polonia avevano scatenato la guerra qualche mese prima, per la Finlandia non si mossero. Le promesse di appoggio politico, di assistenza militare rimasero sulla carta. Salvo la Svezia che favorì la mobilitazione di oltre 10.000 volontari gli altri si limitarono a proteste diplomatiche, all’espulsione della Russia dalla Società delle Nazioni (14 dicembre 1939), ma nulla di più.

Il periodo marzo 1940 – giugno 1941

I quindici mesi, dall’armistizio del marzo 1940 al giugno 1941, data di inizio

dell’invasione tedesca della Russia (una finestra temporale che noi oggi leggiamo sapendo a posteriori tutta la scansione temporale di quella storia, che i finlandesi però contemporanei non conoscevano ma temevano molto) furono utilizzati dal Governo finnico per riparare alla meglio i danni del conflitto d’Inverno. Soprattutto l’esercito che aveva sostenuto uno sforzo tremendo per resistere allo sfondamento del gigante russo, doveva essere ricostruito, rinforzato, riammodernato. La Germania hitleriana fu un “amico” importante in quegli anni, proprio dal punto di vista della fornitura di armamenti e della formazione dei quadri degli ufficiali. In cambio i tedeschi ottennero di poter far transitare le proprie truppe sul territorio finnico, partecipando a esercitazioni congiunte con l’esercito finlandese.

Il disegno espansionistico di Hitler necessitava di alleati, non troppo ingombranti politicamente ma strategici dal punto di vista del posizionamento territoriale. La Finlandia, in quel lontano nord Europa di fronte a Leningrado, era un tassello importante della sua strategia di attacco alla Russia. L’esercito finlandese fu portato a mezzo milione di effettivi con armi e velivoli più moderni e competitivi. Ovvia l’immediata reazione preoccupata della Russia. Infatti il patto Ribbentrop- Molotov dell’agosto del 1939, prevedeva un’influenza russa sulla Finlandia, sostanzialmente un “patronage” così come d’altronde analoga situazione era prevista e condivisa a favore della Germania per altri stati europei[1]. L’atteggiamento tedesco di supporto al riarmamento finlandese suonava quindi come uno sgarbo palese delle intese raggiute, una violazione della divisione delle reciproche aree di influenza sugli stati europei del tempo.

Iniziò un vivace e anche violento dialogo diplomatico che si concretizzò, nel novembre 1940, in una nota del ministro degli esteri Molotov, alla Germania che intimava all’alleato “l’immediato ritiro delle truppe tedesche di stanza in Finlandia, territorio di pertinenza della zona di influenza sovietica”. Insomma la delicata alleanza russo-tedesca scricchiolava, facendo immaginare pessimi scenari prospettici. Le ricostruzioni storiche più accreditate fanno risalire proprio alla seconda metà del 1940 l’inizio della pianificazione esecutiva da parte del Comando Supremo nazista dell’invasione della Russia, l’operazione Barbarossa. La situazione militare in Europa occidentale si era infatti consolidata: la Germania aveva dovuto prendere atto che l’operazione “Leone Marino”, lo sbarco cioè in Inghilterra era fallita e ci si poteva concentrare sull’attacco all’Est. La lettura del carteggio intercorso tra le diplomazie russa tedesca e finlandese ne fornisce ampi esempi. Tra l’aprile e il maggio 1941, gli “sherpa” dei ministeri degli esteri tedesco e finlandese lavorarono, nella massima segretezza, ad un documento che precisava il ruolo della Finlandia nel momento dell’attacco tedesco alla Russia. Negli incontri ufficiali di stato, a Salisburgo e Berlino il 25-26 e 27 Maggio 1941, la proposta tedesca di partecipare all’operazione Barbarossa fu ufficializzata. Il Governo Ryti oppose un fermo anche se educato “no”. Ma da quel momento l’esercito finlandese fu mobilitato. La guerra, dopo quindici mesi di relativa tranquillità, sembrava di nuovo imminente. Il dubbio delicatissimo di Ryti e Mannerheim era relativo al “cosa decidere”: da che parte stare? Rimanere alla finestra evitandosi, è vero, un nuovo, terribile spargimento di sangue ma rinunciando anche alla speranza, in caso di successo, della Germania, di riprendersi i territori, Carelia in primis, perduti con l’armistizio del ’40? Oppure accettare la proposta di Hitler di unirsi alla coalizione nazista? Con il rischio uguale e contrario, nel caso di una sconfitta tedesca? A togliere le “castagne dal fuoco” ci pensò il dittatore tedesco. Quando, all’alba del 22 giugno 1941, le armate tedesche attaccarono la Russia, nel discorso diffuso in tutta Europa via radio Hitler, tra l’altro, disse testualmente: “I vincitori di Narvik si trovano fianco a fianco con i camerati finlandesi, sulle coste del Mar Glaciale Artico. Sotto la guida del conquistatore della Norvegia, le divisioni germaniche proteggono il territorio di Finlandia insieme con gli eroici finlandesi guidati dal loro Maresciallo”. Cosa fare dunque, dopo tale pronunciamento tedesco, non condiviso preventivamente con il Governo finlandese. Smentirlo? Con tutte le immaginabili conseguenze? Protestare formalmente contro questo sgarbo istituzionale su una decisione non concertata né discussa a livello politico, accettandone però la sostanza? Mannerheim, come ci ha ricordato Alonzo, nelle sue memorie contestò tale comportamento tedesco, privo di qualsiasi legittimazione. La Finlandia sollevò proteste diplomatiche formali ma, nella realtà, il colpo di mano mediatico di Hitler colse il punto. La Russia, in Lapponia, sconfinò con le sue truppe in territorio finlandese, iniziando scontri a fuoco con i reparti locali. L’alleanza tra Germania e Finlandia, mai negoziata, ma dichiarata unilateralmente da Hitler, era diventata una realtà. Il conflitto russo-finnico riprendeva lungo tutto il       confine tra i due stati.

La Guerra di Continuazione

Fino all’inizio del ’44, il fronte russo-finnico si fermò e si limitò ad alcune marginali operazioni militari. Addirittura, nella primavera del ’42, Mannerheim decise di smobilitare 100.000 soldati, fondamentali per il mantenimento della struttura industriale del Paese, in perenne scarsità di mano d’opera. Proprio alla luce di tale decisione che scatenò ulteriori allarmi a Berlino, Hitler decise, in occasione del 75° compleanno del Maresciallo, il 4 giugno 1942, di andarlo a incontrare, a “casa sua” in Finlandia, nella piccola località di Immola, dove c’era un aeroporto. Un onore mai concesso a nessun altro alleato della Germania. I dettagli della preparazione dell’incontro e le dinamiche del confronto tra Mannerheim e Hitler sono state descritte accuratamente da Alonzo. Ci limitiamo quindi ad osservare quanto il dittatore tedesco avesse deciso di essere accondiscendente, garbato, paziente (non si oppose neanche al fatto che il Maresciallo gli fumasse il sigaro in faccia, pur sapendo il suo fastidio!) pur di portare a casa due obiettivi: una maggior partecipazione all’esercito finlandese alle operazioni militari, soprattutto a Leningrado, e un segnale agli Alleati che il rapporto con la Finlandia era ottimo, collaborativo e reale. Fallì il primo e raggiunse il secondo. L’immagine di una Finlandia quasi neutrale, seppur impegnata militarmente a fianco della Germania, fu contaminata da quell’incontro che dimostrava al mondo e soprattutto agli Alleati che il rapporto tra Hitler e Mannerheim era stretto e forte.

L’Inghilterra aveva dichiarato guerra alla Finlandia già il 6 dicembre 1941 ma più nella forma che nella sostanza. Dopo il “blitz” di Hitler del giugno ’42, con le foto ufficiali di rito che inquadravano i due protagonisti, a pranzo, in un clima amichevole, disteso e sorridente, l’immagine della piccola ed eroica Finlandia, che aveva resistito due anni prima all’invasione sovietica, si oscurò, facendole perdere parecchio consenso tra le potenze alleate.

Ai primi rovesci delle armate tedesche in Russia e quindi ai primi segnali di una possibile controffensiva russa, Mannerheim e Ryti piombarono di nuovo nell’incubo di una invasione sovietica. Questa volta certamente ancora più dura e feroce dopo il tradimento finnico a favore della Germania. L’idea di una pace separata incominciò a girare nelle stanze dei ministeri ad Helsinki. Ancora una volta, per salvaguardare l’indipendenza della nazione, bisognava inventarsi una soluzione politica e diplomatica che limitasse i danni e salvaguardasse l’integrità nazionale. Dopo Stalingrado il dubbio divenne certezza. Sarebbe stata soltanto una questione di tempo ma alla fine la Russia avrebbe prevalso, ricacciando la Germania indietro fino a Berlino.

L’estate del ’44: un momento fondamentale per la Finlandia

Il 9 giugno 1944, 3 anni dopo l’inizio dell’operazione Barbarossa, i russi scatenarono l’offensiva decisiva per conquistare la Finlandia. In dodici giorni i sovietici riconquistarono Viipuri, sfondando il fronte. Mannerheim mobilitò tutte le riserve invocando immediati e rilevanti aiuti ai tedeschi. C’era bisogno di aerei, armi controcarro, artiglieria pesante. Il Maresciallo sapeva però che la soluzione militare non sarebbe stata sufficiente. Necessaria sì per bloccare il nemico, almeno nel brevissimo periodo. Ma poi ci sarebbe voluta una soluzione politica, una negoziazione per una pace/armistizio che portasse al cessate il fuoco. Di contro, la Germania condizionava gli aiuti militari ad un solenne impegno della Finlandia a non iniziare trattative di pace con la Russia.

Un disastro insomma. Una situazione pericolosissima per i destini del Paese. Stalin sembrava rigidissimo sulla resa senza condizione. Quel luglio-agosto del 1944 fu un momento chiave nella storia finlandese. Sbagliare una mossa avrebbe potuto compromettere il futuro istituzionale del Paese. Ricordiamoci, prima di ricostruire le scelte e le conseguenti mosse di Mannerheim e Ryti, che in quell’estate del ’44, lo sbarco in Normandia aveva segnato per sempre i destini della guerra: anche in Europa occidentale sarebbe stata soltanto una questione di tempo, ma prima o poi, la Germania nazista avrebbe perduto la guerra. In questo contesto, di fronte alle insistenze tedesche per un nuovo e ferreo patto Germania-Finlandia sulla prosecuzione dell’alleanza fino alla fine, condizione questa per l’invio degli aiuti militari, Mannerheim e Ryti escogitarono una soluzione brillante, cinica e ai limiti della scorrettezza diplomatica, ma concentrata sull’obiettivo più alto e importante: la salvezza del Paese. Adottando alla lettera la lezione di Machiavelli “Il fine giustifica i mezzi”, impostarono una strategia costruita su questi snodi tattici:

  • La costituzione finlandese imponeva un passaggio parlamentare per la sottoscrizione di un trattato internazionale, come quello voluto da Hitler.
  • Nel brevissimo termine era necessario ottenere da Hitler subito gli aiuti militari promessi ma condizionati ad un nuovo, formale patto di alleanza.
  • Il Presidente Ryti convinse Berlino che il passaggio parlamentare sarebbe stato troppo lungo e politicamente complesso e che pertanto avrebbe sottoscritto lui stesso una lettera indirizzata a Hitler in cui si impegnava a continuare l’alleanza con i tedeschi e a non attivarsi per trattative di pace con i russi.
  • La pubblicazione della lettera scatenò la reazione degli Alleati che troncarono ogni relazione diplomatica con Helsinki mai completamente chiusa fino a quei giorni, nonostante la guerra.
  • Gli aiuti militari tedeschi arrivarono. L’esercito finlandese riprese forza e coraggio dimostrando sul campo, in alcuni scontri con i sovietici, di avere a disposizione un armamento moderno ed efficacissimo
  • I russi sorpresi e preoccupati (il fronte finnico era marginale e non poteva richiedere in quel momento rinforzi non disponibili in quanto concentrati nella controffensiva principale contro i tedeschi) cambiarono atteggiamento. Stalin dalla resa incondizionata passò all’apertura di trattative per un cessate il fuoco.

Un miracolo!

Un’abilissima e rischiosa strategia che portò, nel settembre del 1944, alla firma di un “cessate il fuoco” limitato a russi e finlandesi, entrato in vigore il 4 settembre. Il Presidente Ryti si dimise ovviamente prima della firma di tale accordo per non smentirsi rispetto al contenuto della famosa lettera di impegno firmata due mesi prima. Mannerheim, all’unanimità, fu eletto Presidente al suo posto e i due registi di questa straordinaria operazione politico-militare riuscirono a portarsi a casa un risultato insperato, miracoloso nelle condizioni date: l’uscita dalla guerra e la salvaguardia dell’indipendenza del Paese. Mannerheim, non personalmente impegnato verso la Germania (la lettera era stata sottoscritta solo dal Presidente Ryti) ritenne però, altro segnale questo della lucida e cinica visione del personaggio, di inviare una lettera a Hitler, molto alta e dignitosa, nonostante il formale tradimento finlandese rispetto alla parola data. Ritrascriviamo del passaggio fondamentale di tale lettera: “In questo momento in cui si attendono gravi decisioni, sento il bisogno di informavi della mia convinzione che la salvezza del mio popolo m’imponga il dovere di trovare una rapida via d’uscita alla guerra in corso. L’andamento sfavorevole della guerra generale riduce in misura sempre maggiore per la Germania, in situazioni di estremo bisogno alle quali certamente andiamo incontro, le possibilità di prestarci, al momento giusto e in misura rassicurante, quell’aiuto estremamente necessario che la Germania, secondo quanto credo, desidererebbe assicurarci. Il solo trasferimento di una divisione tedesca in Finlandia richiederebbe tanto tempo che la nostra resistenza alle soverchianti forze avversarie nel frattempo potrebbe crollare. E la situazione attuale non consente che soltanto per il caso di tale eventualità si tenga un numero sufficiente di divisioni tedesche continuamente in stato d’allerta qua in Finlandia. Anche le esperienze accumulate la scorsa estate convalidano questa ipotesi. Il giudizio sull’andamento della guerra da me qui riportato è condiviso da una crescente maggioranza del popolo finlandese. Anche se la mia opinione fosse diversa, mi sarebbe impossibile ignorare, tenendo conto della nostra costituzione, la volontà sempre più evidente della maggioranza della popolazione. … Voglio sottolineare particolarmente che la Germania, se il destino non dovesse concedere la vittoria alle vostre armi, continuerebbe a vivere. Ma un’assicurazione del genere non può darla nessuno alla Finlandia. Se questo popolo di appena quattro milioni di abitanti dovesse essere sconfitto militarmente, verrebbe senza dubbio esiliato o sterminato. Non posso esporre il mio popolo a una simile evenienza. Anche se oso appena sperare che i miei punti di vista e i miei motivi siano da voi considerati sinceri, ho voluto inviarvi queste righe prima di prendere una decisione”.

La fine della guerra: il trattato di pace

Le condizioni armistiziali imposte dai russi furono naturalmente pesanti: cessione della penisola di Hanko; rilevanti indennizzi economici; deportazione di molti leader politici e militari considerati fascisti o comunque anti comunisti. Sulla base del trattato di pace, la Russia chiese che venissero processati gli uomini politici di più alto livello che avevano fatto entrare la Finlandia nella Guerra di Continuazione del 1941 contro la Russia e il Regno Unito che poi uscì dichiarando di non voler partecipare ai processi o avevano cercato di impedire la pace. La Finlandia ottenne che i processi fossero condotti da giudici finlandesi si svolgessero in base ad una legge (retroattiva) finlandese che limitava la responsabilità alle più alte cariche politiche (non ci furono imputazioni analoghe al processo di Norimberga). In Finlandia operava all’inizio dei processi, nel novembre del 1945, la Commissione di Controllo Alleata. Il Presidente Ryti ebbe 10 anni, altri ministri e politici da 6 a 2 anni. Dopo la ratifica in Russia del trattato di pace di Parigi del 1947, la Commissione di Controllo lasciò il Paese. Il Presidente Paasikivi graziò alcuni degli imputati minori, e gli altri vennero messi in libertà sulla parola dopo aver scontato metà della pena. Nel 1949 Paasikivi graziò anche Ryti, l’eroico Presidente del periodo bellico, che era in ospedale per una malattia contratta durante la prigionia che lo lasciò invalido fino alla morte nel 1956. Contemporaneamente concesse la grazia anche a tutti gli altri che erano ancora in libertà provvisoria e scrisse nel suo diario che questa era stata la sua più nobile azione degli ultimi cinque anni.

In ogni caso la Finlandia era salva. Ci furono ancora diverse scaramucce in Lapponia tra reparti tedeschi, finlandesi e russi. Ma nulla di rilevante, tale da scardinare l’armistizio intervenuto.

Finita la guerra, durante la conferenza di pace di Parigi, la Finlandia fu inserita nella lista dei paesi nemici, sconfitti. Fu anche, però, l’unico Paese che rimase davvero indipendente dopo aver combattuto contro l’Unione Sovietica. Il trattato di pace del 1947 certificò una rettifica dei confini con la perdita dell’affaccio al mare del nord, punto vitale per i giacimenti di materie prime.  L’esercito, la marina e l’aeronautica furono ridimensionati e vincolati nel numero e nei mezzi a disposizione. La Patria era però sopravvissuta nonostante una altalena di alleanze sempre a rischio di tradimenti, più o meno manifesti o occultati. Mannerheim e Ryti avevano completato il miracolo iniziato trent’anni prima, il 6 dicembre 1917, il giorno della proclamazione dell’indipendenza.  Erano ricorsi a furbizie, cinismo, coraggio e forte senso identitario e patriottico ma ce l’avevano fatta.


Alcune riflessioni finali: abilità diplomatica o cinismo speculativo? Furbizia o visione strategica?

Il doversi barcamenare sempre e comunque tra le ambizioni espansionistiche russe e le analoghe voglie tedesche, mischiate a tratti a minacce di rappresaglie feroci, ha sicuramente costretto i leader finlandesi ad essere spregiudicati nelle scelte di campo. O, meglio, nelle repentine scelte di cambiamento di campo! Mannerheim fu, a turno, criticato per opportunismo e tradimento o esaltato come un alleato eroico. A volte dai russi altre dai tedeschi. Gestì sempre la situazione e i difficilissimi scenari politico militari succedutisi dal ’17 al ’45 con un obiettivo ben chiaro di fronte a sé: la salvaguardia dell’integrità e della indipendenza della nazione finlandese. Senza “se” e senza “ma”. A prescindere da principi etici, diplomatici o politici cambiò alleanze, ingannò amici e nemici, si inventò stratagemmi procedurali (la lettera di Ryti a Hitler nell’estate del ’44) tutto per cercare di salvare la piccola e giovane Finlandia dall’arroganza dei grandi vicini di casa.

Ebbe, a nostro avviso, una fortuna: vivere e combattere in un territorio marginale, lontano dal cuore dell’Europa. Distante dalle zone strategiche politiche e soprattutto militari. Anche con tutto il suo talento, multiforme, non sarebbe infatti riuscito in caso contrario nel miracolo di far evitare ai finlandesi il rischio di una colonizzazione russa o tedesca a cavallo delle due guerre mondiali. Non sarebbe riuscito a lasciare alle nuove generazioni di finlandesi un Paese indipendente, ammirato da tutto il mondo, in fondo, “simpatico” a tutti nonostante i frequenti cambi di campo e le sue politiche ondivaghe. Certo il coraggio individuale del popolo finlandese ha aiutato questa incredibile operazione diplomatica e mediatica. Soprattutto durante la Guerra d’Inverno del ’39-‘40, il talento militare di Mannerheim e l’abilità temeraria dei suoi ufficiali, si ingraziarono le simpatie di tutto il mondo. Anche degli avversari. Quella piccola nazione, raccontataci in diretta da Montanelli che si difendeva contro il colosso sovietico in un rapporto di forze di 1 a 10, e che resisteva, vinceva, passava al contrattacco con tattiche nuove, modalità di combattimento flessibili e modernissime, con i comandanti in prima linea a dare l’esempio, sacrificando anche la propria vita, rappresentava la summa, la sintesi più alta ed eroica delle ambizioni di molti popoli, non solo europei. Un’icona da imitare. Quando abbiamo letto la riflessione del console italiano, in quegli anni, a Stoccolma, Mario Orano “Se l’Italia avesse agito come la Finlandia nei suoi rapporti con la Germania avremmo potuto evitare tante tragedie” subito l’abbiamo condivisa. Poi, rimeditandola, abbiamo cambiato opinione. Non solo e non tanto sull’auspicio (ci “saremmo evitati tante tragedie”: certo, nessun dubbio in merito) quanto sul presupposto. Non avevamo né la cultura né la classe dirigente (i cosiddetti capi) per poter pensare ed attuare una diversa politica con la Germania. Le occasioni ci sarebbero state sia sia nel maggio-giugno del 1940 (non facendoci attirare nell’entrata in guerra); sia il 25 luglio del ’43, (approfittando della caduta di Mussolini e sciogliendo il patto con Berlino, rimanendo magari neutrali); sia dopo la firma dell’armistizio, il 3 settembre del ’43 quando l’esecuzione del cessate il fuoco fu gestita con codardia vergognosa (sarebbe stato sufficiente dare istruzioni chiare ed esecutive alle forze armate sul cambio di alleanza e sui conseguenti comportamenti da assumere). Ma la nostra classe dirigente militare e civile, il Re, Badoglio e il Comando Supremo, agirono senza la lucida e coraggiosa furbizia di Ryti e di Mannerheim. Si concentrarono sulla loro salvezza personale e, speriamo, anche, istituzionale, dimenticandosi dell’esercito, delle conseguenze di tale fuga, della reputazione che l’Italia avrebbe avuto nel mondo dopo tali scelte comportamentali.

Una considerazione in più meritano però i Savoia. Per le “dinastie di vallo”, l’alternanza delle alleanze è una politica normale per la sopravvivenza dell’indipendenza: basta non sbagliare la scelta o farla nel momento giusto con spregiudicatezza e opportunismo. Si possono anche commettere errori, ma allora il “modo”, la modalità adottata, diventano cruciali. I comportamenti diventano pietre sulle quali si imprime per sempre la reputazione e l’immagine di una dinastia al potere.

Sia nel 1915 (maggio) sia più tragicamente nel ’43, i Savoia avvallarono cambi di alleanza voluti dalla politica. In un caso, prima dell’entrata in guerra, nell’altro a guerra ormai compromessa. In tutte e due i casi abbandonando gli Imperi Centrali prima e la Germania nazista poi e alleandosi con il nemico. Le scelte di campo furono corrette. La modalità adottata per eseguirle lascia invece molto perplessi e fa comprendere le ragioni di una pessima reputazione che abbiamo ancora all’estero quasi ottant’anni dopo quei fatti. Accordi sotto banco, segretezza parossistica fino all’ultimo, carenza di istruzioni all’esercito, massacri inutili, comportamenti all’insegna della vergogna e della codardia: tutto evitabile con un po’ più di coraggio, senso di responsabilità e, perché no, professionalità.

Ancora una volta la storia ci dimostra quanto sia decisiva per il corso degli eventi, in un certo contesto, la presenza di certi uomini, con certe caratteristiche, qualità, doti di comando, in grado anche mettendo a rischio la propria incolumità personale, di prendere decisioni difficili ma fondamentali per il loro Paese.

Il rammarico è pensare quindi che se a Roma, in quei giorni del settembre ’43 ci fosse stato un generale come Mannerheim, forse la storia d’Italia sarebbe stata ben diversa.

La drammatica attualità ucraina: il parere di Gustav Gressel

Se la Finlandia ha fermato Stalin – ha recentemente dichiarato Gustav Gressel esperto di conflitti e di armi nucleari dello European Council on Foreign Relations, grande conoscitore dell’Europa orientale – l’Ucraina può fermare Putin. La battaglia di Kiev sarà sanguinosa come quella di Aleppo in Siria, ma gli ucraini hanno ancora una chance di costringere la Russia a ritirarsi e di mantenere l’indipendenza”.

Anche Gressel usa per leggere un possibile scenario a breve della guerra russo-ucraina il paragone con la russo-finnica denominata “guerra di inverno” del ‘39-‘40 che abbiamo appena raccontato.

Nonostante lo strapotere dell’Urss la Finlandia riuscii a resistere all’invasore causandogli ingenti perdite, costringendolo poi ad un armistizio e cedendo in cambio soltanto il 10% del proprio territorio, tra cui gran parte della Carelia.

Come la Finlandia adottò in allora la neutralità, anche oggi l’Ucraina potrebbe scegliere lo stesso percorso per mantenere la sua indipendenza.

Tra l’altro, molto più grande geograficamente e più popolosa della Finlandia – ha detto Gressel – la stessa impresa può riuscire all’Ucraina… Stalin sapeva, nel ’39, che se avesse continuato a premere, avrebbe vinto la guerra di inverno e conquistato tutta la Finlandia, ma quando si accorse che il prezzo sarebbe stato troppo alto e che stava subendo troppe perdite e il conflitto sarebbe stato troppo costoso, decise di fermarsi e di stipulare un armistizio con Mannerheim. Lo stesso può fare l’Ucraina con Putin: perderà una parte del territorio, ci sarà uno stato di conflittualità permanente ai confini, ma continuerà ad avere il proprio governo, non un burattino messo da Mosca e manterrà l’indipendenza. Non è detto, ma può farcela”.


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