A mio  avviso c’è una relazione tra i risultati delle elezioni politiche 2018 e la “Questione Meridionale”. La questione meridionale risale al 1861, da allora molto si è parlato, poco o niente si è fatto per affrontare in modo serio e risolvere la complessità della questione meridionale. Lo Stato Unitario considerò, inizialmente, il Sud territorio di conquista, inviando eserciti a combattere quello che i libri di storia definiscono brigantaggio. In realtà era una forma rozza di guerriglia e in alcuni casi di guerra civile a contrasto di una aggressione sotto forma di una non dichiarata  guerra di conquista.

Il tutto con l’appoggio di latifondisti (nobiltà) in cerca di protezioni più sicure; e con l’avallo ideologico di poche élite di sedicenti liberali. Il popolo nella sua quasi totalità non fu interpellato, non fu coinvolto e nei villaggi più lontani del Sud, fu informato dopo e a cose fatte dall’arrivo di un esercito straniero che parlava lingue sconosciute: bergamasco, lombardo, piemontese, toscano.

Da allora il Sud è stato governato: con gli eserciti, le clientele, forme  di assistenzialismo, voto di scambio, appaltando vaste aree del meridione alla criminalità organizzata, e altre forme simili.

Nessun governo ha affrontato la Questione Meridionale come grande problema strategico della Nazione, il sud era ed è solo un problema tattico. Le popolazioni del Sud in tutto questo periodo hanno cercato di adattarsi votando a favore di chi esercitava il potere in quel momento: Crispi, Giolitti, Mussolini, Il consociativismo DC-PCI, Berlusconi, Centro sinistra in modo confuso come confusa era la coalizione. A tutti chiedendo favori in cambio del loro consenso:

la promessa di un posto al sole per soddisfare la fame di terre (a gratis) dei contadini;

riforme agrarie spesso fasulle;

cattedrali industriali nel deserto;

forme di aggregazioni assistenziali come la Coldiretti;

sovvenzioni all’agricoltura;

elargizioni di pensioni baby;

condoni per tutti i gusti.

Nella sostanza lo Stato era lontano e delegava a ras locali la gestione del quotidiano. Sono passati 157 anni e la situazione più o meno è rimasta la stessa.

Non citerò i nomi dei vari ras che oggi governano varie regioni del sud.

Che in politica sia lecito e forse vitale cambiare idea, si può accettare, ma dei salti logici come quelli elencati sono il segno che non si tratta di politica ma di interesse individuale.

La questione meridionale è un problema complesso che non può essere avviato a soluzione con provvedimenti saltuari finalizzati solo a ottenere consenso. Ma ad ogni tornata elettorale il problema si ripropone sempre allo stesso modo.

Nelle elezioni del 2018 abbiamo assistito alla vittoria della semplificazione e alla sconfitta della complessità.

Hanno vinto i concetti semplici, hanno perso i ragionamenti.

Hanno vinto i 140 caratteri et similia, hanno perso i libri, i giornali, le analisi.

Possiamo lamentarci finché vogliamo, imprecare al destino cinico e baro (Saragat), ma questa è la realtà che ci accompagnerà nel futuro.

E’ bastato gridare, ribadire, promettere: Reddito di Cittadinanza e tutto il Sud ha aderito dando sfogo alla sua rabbia contro una classe dirigente, senza distinzione di orientamento, che da decenni era affaccendata in altre faccende private: beghe di camarille, guai giudiziari, ecc…

Ancora un consenso elargito a fronte di una concessione. Tutto lecito, naturalmente, ma gli interessi generali?

La questione Meridionale e forse la malattia più grave della nazione che lo Stato Unitario non è riuscito, non riesce a capire e per questo a trovare  soluzioni serie e durature.

La questione Meridionale è un problema che viene da lontano e per affrontarlo sarebbe necessario capire come si è formata L’IDENTITÀ CIVILE DEGLI ITALIANI che nel volgere di un tempo, relativamente, breve si sono trasformati da un popolo di contadini cattolici, per definizione conservatori, in un popolo di laici senza etica.

E’ ancora possibile studiare, nell’epoca del “ne so a sufficienza” dettato e incoraggiato da internet e social vari?

Forse no o forse sì, non lo so. Quello che so è che in un paese in cui non si insegna una disciplina che si chiami STORIA D’ITALIA, non solo quella che inizia nel 1861, qualunque discorso tende a rinchiudersi nell’osservazione del presente. Non puoi capire gli italiani se continuiamo a inneggiare al civismo dei comuni del centro-nord senza ricordare che degenerarono rapidamente a feroci tirannie per difendere il proprio particolare. Non possiamo capire gli italiani se non sappiamo che il sud fu considerato dal papato un suo feudo e concesso a piacimento a: Normanni, Angioini, Aragonesi, Borboni di Spagna, costringendo quelle popolazioni a una sudditanza millenaria e alla continua ricerca infruttuosa e negativa di un capo lontano (re, vice re, nobili) o vicino (ras locali, parroci). Instaurando un rapporto Stato cittadini conflittuale, diffidente, da perfetti avversari. Lo Stato come nemico. E così è rimasto.

Luigi Barzini ha scritto che: il nostro è un paese i cui abitanti, soggetti per secoli a rapaci oppressori stranieri e a sovrani inefficienti, hanno dovuto per difendersi sviluppare e perfezionare virtù private e vizi pubblici.

L’Italia non è soltanto uno Stato costituito in ritardo, ma uno stato ritardato in una nazione precoce. Erudita nella sua cultura da influssi greco-latini, bizantini, longobardi, arabi, franchi, tedeschi, normanni, francesi, spagnoli. Con nessun senso dello Stato il quale raramente si è potuto avvalere di una classe dirigente all’altezza ed è forse questa la ragione per la quale lo Stato Unitario è passato da una crisi di regime a un’altra.

Per secoli generazioni di italiani hanno inteso l’unità come il trionfo universale del proprio profitto sotto un protettore scelto da loro.

Oggi nelle elezioni appena concluse è andata in scena la stessa operazione. Non possiamo lamentarci.

Fidelio Perchinelli.

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