L’invito di Riccardo Rossotto a riflettere sulle opportunità e sui problemi connessi allo sviluppo dell’IA (Intelligenza artificiale) è quanto mai opportuno. Nella storia dell’uomo, le grandi scoperte e le grandi innovazioni hanno provocato rivoluzioni con enormi effetti positivi e non pochi effetti negativi: la nascita della stampa ha reso inutili gli amanuensi, la fotocomposizione ha reso inutili le linotype, il pc ha mandato in soffitta la macchina da scrivere, e così via fino ai giorni nostri, in cui si pensa che l’intelligenza artificiale applicata alla robotica metterà addirittura sul lastrico milioni di persone.

Si sa che ogni progresso ha il suo prezzo, e sarebbe addirittura risibile pensare di fermarlo o rallentarlo solo perché non si è capaci di correggerne gli effetti negativi. Sorprende però che ci siano sempre più entusiasti delle magnifiche sorti e progressive della tecnologia che non si preoccupano minimamente dei riflessi di un suo uso malsano, e nemmeno di un suo sviluppo per nulla utile allo sviluppo dell’umanità. Già oggi ci potremmo domandare, e con non poca ragione, se alcune notevoli applicazioni di geniali intuizioni (vendite on-line, social media, eccetera) non finiscano per arricchire solo i loro inventori, distruggendo più posti di lavoro di quelli che creano, come ha rilevato recentemente l’Economic Policy Institute americano riferendosi ad Amazon. Parlando proprio di questo tipo di attività, c’è poi da chiedersi se i posti di lavoro ad essa connessa siano posti qualificati, o invece posti destinati ad essere ben presto occupati da robot, come si evince dalla più recente logistica utilizzata nei magazzini del gruppo Alibaba.  Più in generale c’è da chiedersi se lo sviluppo tecnologico è a vantaggio dell’uomo, dell’umanità nel suo complesso, o va solo a vantaggio di quei quattro/cinque miliardari che da soli già possiedono una notevole parte delle ricchezze del mondo.

Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale c’è poi da intendersi, perché a mio avviso definirla intelligenza ci porta a fare grandi confusioni. In realtà è mera potenza di calcolo, che può raggiungere sicuramente vette addirittura inimmaginabili, come dimostra il nuovo supercomputer cinese Sunway TaihuLight, capace di una potenza di calcolo di 93 petaflops (vale a dire 93 milioni di miliardi di calcoli al secondo!). E’ indubbio che il poter fare (e mettere insieme) una tale quantità di calcoli ci porta alla nuova frontiera dei Big Data e dell’algoritmo, su cui si basano molte delle attuali innovazioni, soprattutto nella comunicazione e nelle vendite. Ma anche qui dobbiamo intenderci. Dovremmo dar retta alle  aberranti conclusioni del ricercatore dell’Università di Osaka, l’intervistatissimo “guru” Hiroshi Ishiguro, il quale sostiene che la coscienza è solo un enorme ammasso di dati, per cui quando avremo costruito un computer sufficientemente potente, finalmente un computer avrà una coscienza! Per dimostrarlo, Ishiguro ha realizzato (grazie ad un enorme investimento di ricerca ottenuto dal suo paese) un robot antropomorfo del tutto uguale a lui, apparentemente capace di rispondere alle domande di un essere umano reagendo (sempre apparentemente) come un essere umano: uno spettacolare giocattolo, in realtà.

Perché le cose non stanno per nulla così, come insegna un vecchio proverbio dell’informatica: “robbish in, robbish out”. Nel senso che un computer (e quindi anche un robot) reagiranno a seconda di come saranno stati programmati. Più filosoficamente lo spiega Giulia Baccarin, unanimemente definita la regina italiana degli algoritmi: “Se le macchine sono istruite a pensare senza partire dalla giusta diversità di visione, le macchine alimenteranno le singole prospettive che hanno già imparato, moltiplicandole. Amplificando quindi dei pregiudizi. Il pregiudizio però non è nato con internet, è sempre esistito. Tutti tendiamo a cercare prove a sostegno delle nostre convinzioni e rifiutiamo quelle contrarie a esse: è il Confirmation Bias. Oggi però è differente l’intensità che i pregiudizi possono avere grazie ai dati e all’intelligenza artificiale.”. Anche il fatto di dare forma antropomorfa ai robot ci sta mettendo fuori strada: spesso non ce ne sarebbe alcun bisogno, ma tant’è…Ma è possibile che nessuno si domandi quanti studi e ricerche ci sono voluti per far camminare e muovere con difficoltà un robot “quasi” come un essere umano? Ma l’avete visto il cane-robot che con grande impegno e fatica è capace di aprire una porta? Quando ero piccolo avevamo in casa un bastardino che sapeva saltare fino a far suonare il campanello e poi prendere in bocca la maniglia aprendo la porta. E allora? Fortunatamente tutta questa ricerca serve per realizzare servomeccanismi in grado di aiutare nei movimenti chi non può muoversi o camminare, e qui stiamo tornando alla riflessione iniziale: evviva lo sviluppo della tecnologia se è per supportare l’uomo. Non per prendere il suo posto.

 

 

 

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