Non consideratela una domanda retorica! È un interrogativo vero e reale che Pickett si porta dietro da una decina di giorni, da quando cioè a Stoccolma si è celebrata l’annuale e solenne cerimonia dell’aggiudicazione dei premi Nobel. Cercherò di spiegarvi i motivi “a monte” di tale dubbio, apparentemente superbo o presuntuoso.

Provo a ricapitolarvi lo stato d’animo psicologico in cui si è trovato Pickett nell’affrontare questa storia.

Non so quanto il tema legato ai famosi premi Nobel vi importi veramente. Vi coinvolga emozionalmente. Non conosco i dati di “ascolto e lettura” a livello italiano o mondiale in merito all’attenzione del pubblico rispetto a questo storico avvenimento. Ignoro se l’aggiudicazione dei premi Nobel abbia quindi ancora un fascino e un seguito sulla gente con la “G” maiuscola. Percepisco che nel nostro piccolo e provinciale Paese la questione desta qualche interesse sicuramente se, tra i vari candidati, ci sia un italiano o, meglio ma purtroppo molto, molto raramente, quando un nostro connazionale si è visto attribuire il premio. Il caso Dario Fò è esemplare in merito. I giornali ne parlano per uno o due giorni poi, salvo appunto le eccezioni citate, tutto torna nel dimenticatoio.

Pickett ricorda che in passato ci furono dibattiti e polemiche sull’attribuzione del Nobel per la Pace a questo o a quel protagonista mondiale, più o meno contaminato da una visione politica legata all’attualità specifica del momento della scelta. L’esempio del Premio Nobel per la Pace a Obama è significativo a riguardo. Per il resto, ci furono spesso sorpresa e curiosità per i premiati in campo scientifico che descrivevano il contenuto delle loro scoperte, inimmaginabili fino a qualche anno prima. Qualche derby dialettico tra le varie fazioni in merito ai premiati in campo letterario; ignoranza, preoccupazione o affascinazione di fronte ai vincitori nell’area economica, normalmente studiosi di nuovi modelli economico-finanziari “figli” di esperienze già vissute o di sogni ancora da realizzare.

In questo clima emotivo e culturale abbiamo assistito, qualche settimana fa, all’attribuzione del Nobel per l’Economia 2017 al professore americano Richard Thaler, “inventore” della cosiddetta Economia Comportamentale. Uno dei primi studiosi dell’economia che, recuperando teorie filosofiche sostanzialmente abbandonate nel ‘700, all’epoca dell’Illuminismo, ha combinato elementi economici ed elementi psicologici per esaminare e sviscerare i “razionali”, o, meglio, bisognerebbe dire gli “irrazionali”, che contribuiscono a determinare le scelte individuali e collettive in materia di spesa, investimento, risparmio di ciascuno di Noi. Quelli che presidiano e governano le nostre decisioni in materia economica o finanziaria.

Thaler fu uno dei primi esperti in materia che, già oltre venti anni fa, come si è detto rivalutando approcci filosofici ormai messi in soffitta da tempo, evidenziò l’importanza del nostro emisfero destro cerebrale, quello della parte emotiva – irrazionale del nostro cervello, quello che ci fa assumere decisioni “di pancia”, non basate quindi sempre su ragionamenti tecnici, scientifici o professionali. Semplicemente sul “sentiment” vissuto in quello specifico momento in cui vogliamo scegliere di adottare un certo comportamento di spesa o di investimento o di risparmio.

Detto ciò, a costo di apparire presuntuoso e irritante, Pickett vorrebbe socializzarvi una sensazione epidermica intervenuta leggendo il pensiero e la filosofia “targata” Thaler: una brillante e comprensibile sintesi di un concetto che, senza vincere il Premio Nobel per l’Economia, molti umani hanno conosciuto, sperimentato, vissuto e fatto proprio nel corso della loro vita, senza vincere nessun premio. Ogni nostra decisione di spesa è “figlia” di una combinazione di razionalità e irrazionalità che, alla fine del travaglio cerebrale, partorisce, per esempio in campo azionario, acquisti o vendite o mantenimento delle azioni per decisioni legate a sensazioni emotive che vanno al di là dell’economia o dell’andamento del titolo.

Pickett cercherà dunque di esercitarsi in un complicato processo di semplificazione della complessità del pensiero di Thaler, senza banalizzarlo e sperando di non “perderne dei pezzi”. Tutto ciò, alla fine, non per limitarsi ad una presuntuosa constatazione che, in fondo, il pensiero dell’economista americano coincide con il recupero di antichi criteri e parametri legati al buon senso e alla saggezza (combinazione sempre di fattori razionali e irrazionali) ma per anche apprezzare “come mai” un’assise importante come quella di Stoccolma ha voluto dare un riconoscimento così alto ad un autorevole economista che ha rivalutato la complessità che sta a monte di ogni essere umano prima di ogni sua decisione di spesa.

Proviamo dunque ad inquadrare meglio la tematica.

Il settantaduenne professore americano insegna all’Università di Chicago, famosa nel mondo per la sua “fede” nel mercato e per la sua predilezione verso le teorie economiche e filosofiche legate alla razionalità degli individui. Pur essendo cresciuto accademicamente in questo contesto, Richard Thaler ha rivalutato delle teorie che, come detto, nel corso dell’700 erano state via via abbandonate: quelle relative all’importanza della parte irrazionale del nostro cervello rispetto a quella razionale con riguardo in particolare alle nostre prese di posizione e decisioni in materia economica. Contrariamente a quanto sostenuto dalla maggioranza dei professori della scuola di Chicago, colleghi di Thaler, secondo cui un individuo razionale avrà sempre la supremazia sull’individuo irrazionale, Thaler ha articolato un pensiero opposto. Rifiuta le semplificazioni e cerca di dimostrare la sua tesi attraverso una sperimentazione che parta dal “basso” e porti a delle conclusioni dall’analisi pragmatica dei comportamenti posti in essere dagli esseri umani. Tutto ciò lo ha portato a definire il perimetro del concetto della cosiddetta “Economia Comportamentale”.

Eccovi alcuni esempi che Thaler racconta normalmente durante i suoi speach in giro per il mondo.

Primo caso analizzato: all’inizio di ogni semestre dei suoi corsi universitari, ogni studente, interpellato in merito, dichiara di aspettarsi un voto finale più alto di quello mediano. La maggioranza degli studenti rimarrà frustrata dal non raggiungere questo obiettivo: perché? Perché tendiamo sempre, noi umani, a sopravalutare la nostra conoscenza e, spesso, anche quella degli altri sul presupposto che abbiamo letto, studiato e guardato tutto quello che c’era da leggere, studiare ed analizzare intorno a noi.

Secondo caso: quando ci rubano 100 euro la nostra frustrazione per tale perdita è doppia rispetto alla felicità che proviamo quando troviamo 100 euro per terra, camminando in una strada.

Terzo caso: alcuni studenti ricevono in regalo una tazza decorata e possono decidere di venderla all’altro gruppo di studenti che invece non ce l’ha. In astratto la domanda e l’offerta dovrebbero incrociarsi e le persone dovrebbero dare lo stesso valore alle tazze. Invece chi è costretto a privarsene valuta la tazza molto di più di chi non l’ha mai avuta. Quindi non la cede. Thaler lo definisce “l’effetto possesso” che influenza anche le nostre scelte di investimento.

Questi esempi dimostrano come Thaler abbia applicato alle leggi razionali dell’economia e della finanza gli studi e le scoperte di famosi psicologi come Daniel Kahneman, anch’esso insignito recentemente del premio Nobel e Amos Tversky. Ogni nostra decisione apparentemente “figlia” di processi razionali derivanti dalla nostra conoscenza, in realtà, è contaminata fortemente dalla parte irrazionale, emotiva del nostro cervello: pertanto i risultati delle nostre decisioni sono spesso imprevedibili e difficilmente pianificabili.

Eccovi un esempio concreto dell’applicazione pratica del pensiero di Thaler. Durante la presidenza Obama, Thaler fu chiamato alla Casa Bianca a proposito di una sua creativa riflessione divenuta famosa come la “teoria del nudge”, la cosiddetta “spinta gentile”. Il Presidente degli Stati Uniti era infatti stato colpito dalle riflessioni di Thaler indirizzate ad individuare uno strumento di comunicazione che in maniera gentile, soft, convincesse la Gente ad adottare certi comportamenti virtuosi o comunque graditi e stimolati dalla Casa Bianca. Thaler, insieme ad un team di lavoro costituito ad hoc da Obama, iniziò a mettere in atto una strategia che individuava “spinte leggere”, messaggi cioè alla Gente per ricordargli, ad esempio, le scadenze burocratiche ai diplomati, al fine di aumentare le iscrizioni all’università. Una terapia che si insinuava nella mente dei destinatari ricordando loro l’importanza di certi momenti della loro vita, l’importanza di certe scelte come quelle appunto di provvedere all’esecuzione delle noiose ma essenziali formalità burocratiche per accedere all’università.

Quello che fino agli inizi degli anni 2000 sembrava un sogno, ora è diventata una realtà operativa: numerose banche, anche italiane, offrono ai clienti servizi per la gestione organizzata del tempo libero, del pagamento del mutuo o della pianificazione degli acquisti al supermercato. Aiutano cioè il cliente/consumatore a organizzare la sua “contabilità mentale” che procede, proprio come sostiene Thaler, per “punti di riferimento” creando “conti separati” e non comunicanti. Se siamo abituati a spendere x euro al mese per ristoranti e alberghi e dopo due settimane siamo soltanto ad una spesa del 50% del budget, ci concederemo più facilmente e liberamente qualche “spesuccia in più” anche se, nelle stesse ore e negli stessi giorni abbiamo magari speso migliaia di euro per comprarci una casa o una nuova automobile.

Ragioniamo e decidiamo se e come spendere i nostri soldi, in altre parole, in base a criteri normalmente incapsulati in moduli di spesa autonomi e separati. Sorprendente? Forse, ma pensateci bene, molto vero!

Le teorie di Thaler stanno dunque aprendo degli orizzonti operativi nuovi e innovativi per tutti gli operatori del mondo della finanza.

Chi meglio può aiutare quell’individuo, spesso sballottato dalla lotta tra il suo emisfero destro e quello sinistro del cervello nel cercare di ritrovare un lucido bilanciamento tra plus e minus di una certa decisione di spesa o di investimento, se non un professionista fidato e competente a fornire il consiglio giusto nel momento giusto? Il paradiso dei private bankers, quelli che si candidano ad essere o a diventare gli esperti che ci aiutano a indirizzare le nostre scelte di investimento. I nuovi “psico-analisti” che ci supportano a “nettizzare” le esagerazioni emotive dell’emisfero destro, della “pancia” a vantaggio della razionale lucidità del “fratellino” dell’emisfero sinistro.

Concludendovi il percorso dei suoi dubbi, dei suoi interrogativi e delle sue perplessità in materia, Pickett, pur essendo diventato, sulla base di una conoscenza più specifica del suo pensiero, un grande estimatore di Richard Thaler, si chiede, ovviamente in modo provocatorio: ma ci voleva il premio Nobel a Thaler per confermarci che il valore del famoso e tanto rimpianto “buon senso comune”, insegnatoci dai nostri nonni, è fondamentale per la qualità delle nostre esistenze? Ci voleva una roboante, dal punto di vista del marketing sicuramente straordinaria, definizione come quella dell’ Economia Comportamentale, per insegnarci che quando decidiamo come gestire e cercare di valorizzare i nostri risparmi dobbiamo fare attenzione alle spinte emozionali o suggestive e combinarle con quelle più razionali derivanti dalla nostra conoscenza, esperienza e professionalità?

Al di là dei private bankers, sicuramente entusiasti, per ragioni di bottega assolutamente legittime della teoria di Thaler, noi ne avevamo davvero bisogno? Non ne eravamo già consapevoli? O sbaglio?

A voi la risposta.

Buone riflessioni.

Comments (1)
  1. Giovanni (reply)

    4 Novembre 2017 at 9:00

    Sono da sempre un appassionato di economia comportamentale e quindi ho letto con interesse l’articolo …. Mi viene spontaneo dire che il buon senso non è altro che un tentativo di avvicinare parte razionale e parte emotiva…. L’economia comportamentale ha avuto indiscusso merito di ri affermare che la vita non è un equazione …..

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