Primi “botti” del dopo Hiroshima e del prima di Città del Capo.

Il Grande Gioco si fa duro… e i protagonisti iniziano ad assestarsi i primi colpi “bassi”.

Nella “zona grigia” su cui stanno lavorando quotidianamente Usa e Cina per accaparrarsi il consenso di nuovi alleati nel quadro delle geomappe internazionali in completo  movimento, è scoppiato il caso Brasile.

Cosa ha in testa Luiz Inàcio Lula da Silva? Si chiedono le cancellerie di mezzo mondo in queste ore post riunione del G7.

Il neo presidente del Brasile, rappresenta uno dei paesi fondatore dei Brics (ed è proprio la B maiuscola che costituisce la radice di questa denominazione!), il gruppo di Stati oggi antagonista del G7; un gruppo che si candida a rappresentare e promuovere la rivoluzione della governance internazionale in alternativa e opposizione alle democrazie occidentali.

Eppure … eppure Lula, dopo aver ripetutamente dichiarato il suo malessere per un mondo ancora “troppo” dominato dagli Stati Uniti e dai loro tradizionali alleati, ha accettato l’invito del Primo Ministro giapponese e ha partecipato ai lavori di Hiroshima.

Il suo gesto ha destato speranze tra i membri del G7 e preoccupazioni e irritazioni tra i Brics.

Con grande cinismo e opportunismo tattico, Lula si è comunque rifiutato di incontrare Zelensky e non ha fatto alcuna dichiarazione di smentita delle sue buone relazioni con Mosca.

La presenza al vertice giapponese del Presidente ucraino – ha scritto Bloomberg – che non era prevista di persona, ha messo a disagio la delegazione brasiliana e innervosito Lula che negli ultimi mesi ha più volte criticato Zelensky mentre ha abbracciato in pubblico Sergei Lavrov, libero di dire nella capitale verde-oro che sul conflitto ucraino Brasile e Russia hanno una visione unica”.

Nessuno ha smentito queste considerazioni.

Siamo di fronte al classico esempio, già visto nella storia recente della politica internazionale, di un capo di stato che ha grossi problemi interni nel suo paese e che quindi cerca di spostare l’attenzione dei suoi concittadini su qualche obiettivo-traguardo esterno?

E’ possibile: di certo Lula e non solo lui, in questo caotico 2023 sta alzando il prezzo nei confronti dei due schieramenti che si vanno delineando (democrazie occidentali vs Cina e i suoi alleati autoarchici) offrendosi al migliore offerente per possibili alleanze.

Disponibile a fare il “saltafossi” ma ad un prezzo molto alto!

Nel suo discorso tenuto a Hiroshima, il presidente brasiliano ha attaccato il neo-liberismo, ha chiesto per il suo paese un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha spinto per l’Africa nel G20 e ha citato la crisi in Argentina per criticare il Fondo Monetario Internazionale.

Ma al di là di questa serie di rivendicazioni molto mediatiche e anche velleitarie, cosa vuole realmente ottenere?

Fonti autorevoli americane riferiscono che vorrebbe una riforma della Banca Mondiale e del Fondo Monetario in primis, ribadendo la sua contrarietà alle privatizzazioni che servono, secondo lui, solo gli interessi dei paesi ricchi.

Intende rafforzare l’alleanza del Brasile con i Paesi del Sud globale e la Cina, appoggiare la multipolarità e cerca anche Mosca e fare del Brasile il perno dell’America Latina e della lotta contro il cambiamento climatico.

Tutto ciò… pensiamo noi … a meno che gli Stati Uniti e i membri del G7 non offrano al Brasile concrete proposte di investimenti per lo sviluppo dello stato carioca a condizioni vantaggiose per i brasiliani.

La politica del Brasile potrebbe rappresentare il paradigma di come nei prossimi mesi tutti gli stati appartenenti o allo schieramento dei Brics o alla cosiddetta “area grigia” decideranno il loro futuro dopo aver “messo all’asta” il loro consenso fra i due schieramenti che si stanno delineando all’orizzonte delle nuove geomappe del mondo.

La rappresaglia sui microchips

La Cina ha reagito molto male al comunicato finale del G7 di Hiroshima: ha espresso forte insoddisfazione e ferma opposizione alla diffamazione dichiarata dai  membri occidentali nei confronti della Cina medesima.

Ha immediatamente adottato strumenti di rappresaglia economica come lo stop a Micron, uno dei colossi americani dei microchip, che non potrà più essere considerato un fornitore dell’industria cinese.

Per la verità anche Washington aveva avviato una campagna di restrizioni tesa a tagliare fuori la Cina dalle tecnologie più avanzate.

A Hiroshima si è proprio discusso della necessità di una stretta cooperazione tra i colossi asiatici del settore, per tagliare fuori la Cina da questo fondamentale comparto per lo sviluppo delle nuove tecnologie.

Taiwan, il Giappone e la Corea del Sud sono fondamentali per riuscire a chiudere al mercato cinese l’accesso alle catene di fornitura dei microchip internazionali.

Il Giappone si è allineato immediatamente a questa strategia americana e sta concludendo delle partnership sui semiconduttori composti, fabbricati con materiali diversi dal silicio e più sostenibili, proprio con stati della “zona grigia”, al di fuori del controllo diretto cinese.

Di contro gli Stati Uniti, attraverso il gruppo  Micron (proprio quello entrato nella black list cinese!) hanno annunciato investimenti in Giappone per oltre 3 miliardi di dollari in questo settore.

Washington vuole sostenere il progetto di creazione di un grande hub in Giappone che presidi tutta la filiera produttiva dei semiconduttori in quell’area geografica.

A questo progetto si sta allineando anche il leader sudcoreano Yoon Suk-Yeol: la Samsung costruirà infatti un impianto di microchips a Yokohama.

Anche il summit del Quad con l’India e l’Australia primattori, si è concentrato su un progetto relativo alla costruzione di una piattaforma di sicurezza nell’Asia del Pacifico che darà vita ad un organismo pubblico-privato per investimenti congiunti su semiconduttori e minerali critici.

Anche nel Quad il grande punto interrogativo risiede proprio sul ruolo futuro dell’India nel conflitto Cina-Stati Uniti.

Siamo di fronte quindi ad uno scenario in cui la Cina da una parte e gli Stati Uniti dall’altra stanno adottando misure molto severe, come le rappresaglie nei confronti delle reciproche aziende, per rafforzarsi e comunque lanciare messaggi di guerre economiche … e speriamo solo economiche … nei prossimi mesi.

Con tutte le immaginabili conseguenze sui prezzi nei nostri mercati.

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