Sedetevi comodamente sulla vostra poltrona preferita.

Prendete un mappamondo o un atlante geografico o semplicemente il vostro device e aprite alla pagina “Oceano Pacifico-Far East”.

Adesso potete, analizzando le mappe sotto i vostri occhi, capire di cosa si sia parlato a Hiroshima nel vertice del G7, appena concluso, e di cosa si parlerà il prossimo 2-3 giugno, alla riunione dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) in programma a Città del Capo, in Sudafrica.

Il Grande Gioco continua e la “campagna acquisti” di Usa e Cina per aumentare il numero dei propri alleati è in piena evoluzione.

Proviamo a seguirne le… orme.

In Giappone, al vertice del G7, il Primo Ministro Fumio Kishida, oltre ai  membri di diritto (meglio ricordarli ancora una volta visto il continuo movimento e modifica delle alleanze: Usa, Canada, Italia, Germania, Francia, Giappone, Gran Bretagna, con l’Unione Europea invitata di diritto) ha esteso la partecipazione al summit, dimostrando una grande sensibilità e visione attraverso un’operazione di soft power, ad una serie di paesi “interessanti” da tenere per quanto possibile all’interno dell’alleanza delle democrazie occidentali: le Isole Cook (in rappresentanza del Pacific Forum of Nations) , l’India, l’Australia, l’Indonesia, il Vietnam, il Brasile, le isole Comore (in rappresentanza dell’Unione Africana) e la Corea del Sud. Oltre all’ospite principale, il Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, atterrato in Giappone sorprendendo tutti.

Proviamo, dunque, ad analizzare la fotografia delle alleanze che emerge dalla riunione giapponese e da quella in programma in Sudafrica la prossima settimana.

I membri del G7 sono ancora più forti a livello di PIL dei 5 membri attuali del Brics: 43.500 miliardi di dollari i primi, 26.000 miliardi di dollari i secondi.

Per darvi un’idea di come si sono modificati i rapporti di forza economica negli ultimi 40 anni, pensate che nel 1982, come ci ha ricordato Danilo Taino, i membri del G7, in termini di parità di potere di acquisto (e cioè calcolando cosa si possa comprare con la stessa somma in ogni paese) pesavano per il 50,42% del PIL mondiale; 40 anni dopo sono scesi al 30,39%.

I paesi aderenti al Brics sono passati dal 10,66% nel 1982 al 31,59% di oggi.

Questo quadro illustra come il trend tenda ad allineare la potenza economica delle democrazie occidentali con le autarchie più o meno illiberali dei Brics.

Bisogna tra l’altro considerare che questi ultimi hanno ricevuto negli ultimi mesi diverse richieste di partecipazione al “Club dei non allineati”: formalmente di 13 paesi, si sussurra addirittura di 19.

I 6 che hanno manifestato per iscritto la propria candidatura sono Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi, Egitto, Indonesia, Argentina… tutti paesi importanti non solo economicamente ma politicamente.

La sfida in corso è proprio quella di soppiantare a livello mondiale la supremazia dei membri del G7, sostituendola con una nuova leadership capeggiata dalla Cina.

A tal fine i Brics, come abbiamo già scritto nel recente passato, hanno creato istituzioni finanziarie identiche alla Banca mondiale e al Fondo Monetario Internazionale.

Hanno aperto anche un tavolo tecnico per studiare la possibilità di sostituire il dollaro come valuta dominante nel commercio internazionale e nelle riserve nazionali con lo yuan cinese.

Come giustamente rilevato da alcuni think tank internazionali, apparentemente la coesione dei membri del G7 appare molto più solida rispetto a quella dei Brics.

I membri di questo Club hanno un obiettivo comune: quello di contare di più nelle scelte mondiali e di essere meno subordinati ai paesi occidentali. Vogliono, in altre parole, la definizione di una nuova governance mondiale diversa da quella che ha dominato il mondo negli ultimi settant’anni del dopoguerra.

Al proprio interno i Brics hanno però visioni politiche spesso divergenti e istituzioni e governance molto diverse tra di loro.

I due stati principali, la Cina e l’India, ad esempio, hanno addirittura pendente uno scontro di natura militare sui propri confini.

Come valutare, in questo contesto, il risultato della riunione di Hiroshima?

Il centro studi diretto da Carlo Pelanda, Globis (Centro per gli Studi Globali), ha sintetizzato così il risultato del vertice giapponese: … si è formalizzato il coordinamento delle nazioni partecipanti per: (a) negare alla Cina l’accesso a tecnologie militari o comunque strategiche; (b) rilevare comportamenti economici che meritano sanzioni (avvio di una piattaforma di coordinamento contro la coercizione economica); (c) sostenere programmi infrastrutturali e di investimento internazionali che contrastino quelli della Via della Seta; (d) includere più nazioni emergenti, definite “Sud globale”, nell’area di influenza del G7, così sottraendole alla sinosfera; (e) aiutarsi nel reperimento di  materiali strategici entro il perimetro di influenza del G7 stesso”.

Nel comunicato stampa finale i leader delle democrazie occidentali hanno avvertito “chiunque” che qualsiasi tentativo di “coercizione economica” avrà “conseguenze”!

Come ha reagito la Cina?

In modo assolutamente simmetrico.

Pechino ha accusato il G7 di “adottare una diplomazia intimidatoria, creando piccoli gruppi chiusi ed esclusivi”.

La preoccupazione dei membri del G7 risiede proprio nel fatto che la Cina stia cercando di conquistare l’Asia centrale consolidando le posizioni ottenute nel passato nelle aree del Pacifico, Africa e Sud America.

Si stanno creando, insomma, le premesse per la formazione di due mercati politicamente regolati da due poteri contrapposti: da un lato il commercio globale di prodotti e servizi non strategici e non direttamente o indirettamente militari appare salvo; dall’altro lato, nel settore di tutto ciò che è strategico, i confini e la competizione tra la Cina e Brics da una parte e il G7 dall’altra, si sono fatti molto rigidi e a rischio anche di conflitto.

La competizione riguarderà chi conquista nel breve termine il consenso di più nazioni ancora non del tutto schierate e che attualmente vivono nella cosiddetta “area grigia”che esiste fra i due blocchi e che consente loro di alzare la posta in palio mettendosi all’asta fra i due schieramenti.

Stiamo parlando di paesi nei quali vivono 5 miliardi di persone!

Questo quadro, secondo i più autorevoli centri di studi strategici mondiali, al momento dovrebbe evitare uno scontro militare frontale ma invece dovrebbe vedere un incremento di un confronto economico importante con qualche conflitto militare proprio nell’”area grigia”.

E’ importante a questo punto verificare le scelte e le condotte del presidente cinese Xi Jinping che, proprio mentre i membri del G7 si riunivano in Giappone, ha voluto dare un segnale forte ai propri avversari ospitando il primo vertice dei leader di cinque ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e Turkmenistan) la regione storicamente sotto l’influenza russa e sotto pressione dopo lo scoppio della guerra ucraina.

L’iniziativa vuole ovviamente consolidare l’influenza di Pechino e inaugurare una “nuova era di cooperazione” tra la Cina e l’Asia centrale.

La prossima settimana, a Città del Capo, i leader dei Brics si incontreranno e decideranno se ammettere al loro tavolo anche tutti i 13 o forse 19 paesi che hanno manifestato la loro volontà di entrare in questo gruppo.

Il summit sud africano potrebbe diventare una sorta di “G20 del Sud globale” “cristallizzando le sempre più ampie divisioni tra il “West” e il “Rest”. Non che questo Rest sia poi così unito. Ma governare un mondo frammentato si sta facendo, purtroppo, sempre più difficile” ha scritto Di Matteo Villa, dell’ISPI.

Nel prossimo contributo analizzeremo il ruolo e le condotte del Brasile del presidente Lula, formalmente membro del Brics ma presente anche a Hiroshima e cosa stia succedendo nel mondo della produzione e fornitura dei microchips, oggi in mano al monopolio taiwanese e domani… chissà!

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