La partita prosegue, senza soste, con nuove puntate importanti e da seguire con attenzione.

Gli Stati Uniti e gli alleati occidentali, da una parte, e la Cina, con alleati a geometria variabile, dall’altra.

Segnali significativi arrivano dai due fronti.

Il G7 e la riunione straordinaria della Nato a Madrid e il Business Forum Brics, il summit tenuto, anche in remoto, a Pechino tra i rappresentanti di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, sono stati caratterizzati dalla nuova, possibile fisionomia della Guerra Fredda del Terzo millennio.

Al di là delle reciproche, e più o meno violente, accuse di voler destabilizzare la pace nel mondo approfittando della crisi ucraina, i due schieramenti hanno ribadito quello che avevamo già scritto nelle due precedenti puntate del Grande Gioco: America e Cina stanno muovendo una serie di pedine sulla scacchiera mondiale per (i) gli Stati Uniti rinforzare l’alleanza europea nella Nato più che a Bruxelles, conservando una leadership indiscussa; arginando invece nel Pacifico l’onda rossa cinese, con una attenzione nuova e sospetta per l’Africa, dimenticata da quasi tutti dall’era del Presidente Trump; (ii) la Cina modificare le sfere di influenza nel mondo limitando lo strapotere americano e, da un lato, gestendo l’alleanza con la Russia putiniana con un andamento oscillante tra il dichiarato appoggio pieno e “per sempre” alle sue politiche e qualche richiamo alla ragionevolezza soprattutto in termini di “chiusura” della guerra in Ucraina; e, contemporaneamente, “comprando” il consenso di tanti e medio piccoli staterelli, garantendo finanziamenti , investimenti infrastrutturali, sicurezza e tutela , anche militare ad ogni governo interessato.

E’ evidente, dunque, come il grande assente al tavolo del Grande Gioco sia l’Europa, pigramente appiattita sulla posizione americana.

Ma su questo tema ci ritorneremo tra poco.

Proviamo a sintetizzare gli esiti dei tre summit (due tra occidentali e uno tra la Cina e i suoi alleati) appena conclusi.

Per la Nato una data storica

Questo è il messaggio che è stato volutamente veicolato nel post-Madrid. Dopo, neanche un anno dalla vergognosa fuga da Kabul, la Nato, a guida americana, si è rilanciata attraverso un nuovo Concetto Strategico: una sfida totale, economica e se necessario anche militare alle ambizioni cinesi che vogliono non solo sviluppare i loro interessi ma anche mettere in dubbio i nostri valori democratici.

L’aumento delle “forze di reazione rapida” della Nato da 40.000 a 300.000 uomini, il rafforzamento della presenza militare americana in Europa, la decisione di costituire contingenti nazionali per eventuali missioni congiunte, costituiscono gli strumenti del pacchetto di decisioni approvate dai 30 paesi aderenti alla Nato.

In sintesi, una America padrona di casa che dà le direttive agli altri membri; una Turchia che con sottile abilità diplomatica esce dal summit come la vera vincitrice prospettica, una Unione Europea quasi silente che è adesiva alla strategia americana per bisogno (necessità di dimostrare a Mosca di possedere una forza militare di pronto intervento), opportunità (ricompattarsi nei confronti della Russia),  mancanza di pensiero autonomo (necessità di individuare una linea  e una visione comune del futuro, attualmente inesistente).

Il summit dei Brics a Pechino

Xi Jinping ha invitato nella capitale cinese non solo l’alleato russo (Putin era collegato in video conferenza), ma tutti quei paesi non solo aderenti al Brics ma che stanno tenendo una posizione “grigia” in ordine alle condotte, anche sanzionatorie, nei confronti della Russia; paesi che stanno trattando (come molti degli stati di tutto l’arcipelago del Pacifico) condizioni economiche e di sicurezza militare sia con la Cina sia con gli Stati Uniti, per ottimizzare la loro posizione in termini di risultati ottenibili.

Proprio per rispondere in maniera competitiva alle richieste dei nuovi alleati nel mondo, Pechino ha annunciato una importante ricapitalizzazione della New Development Bank che dovrebbe diventare una BCE dei Brics e dei loro alleati per finanziare lo sviluppo dei vari paesi.

Insomma, Pechino continua la sua “campagna acquisti” ottenendo consensi almeno in linea di principio, sia in America Latina sia in Africa.

La nuova Nato del Medioriente

Come risposta ai rischi collegati al nuovo espansionismo cinese, zitti zitti, gli Stati Uniti fin dallo scorso mese di marzo, sono riusciti a mettere intorno ad un tavolo, per ora a livello di stati maggiori militari, tutti i maggiori paesi dell’area medio-orientale.

All’incontro di Sharm-El-Sheikh ospitato dall’Egitto e coordinato dagli americani, hanno partecipato … incredibile a dirsi, Israele, Arabia Saudita,Qatar, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Bahrain.

Il progetto strategico è quello di costruire una collaborazione tra le difese aeree di tutti questi paesi allo scopo di difenderli dalle crescenti  minacce poste dall’Iran.

Insomma, un sistema comune di monitoraggio degli attacchi, per avvisarsi a vicenda quando dovessero manifestarsi.

Ecco un’altra pedina del Grande Gioco imprevista e imprevedibile soltanto fino a pochi mesi fa. 

Il suggerimento di un grande maestro

Il quasi centenario ma sempre “evergreen” Henry Kissinger, ha voluto recentemente richiamare i paesi occidentali ad una maggior visione strategica sulla situazione in essere nel mondo. Soprattutto Kissinger ha voluto sottolineare, a proposito della crisi in Ucraina, l’obbiettivo di porre fine all’invasione non di cercare di porre fine “alla Russia come stato e come entità storica… Quando le armi tacceranno, la questione del rapporti tra Russia ed Europa andrà presa molto seriamente”.

Per Kissinger, la Russia è stata una importante protagonista per oltre 500 anni della storia europea ed è sempre stata coinvolta in tutte le grandi crisi e in tutti i grandi trionfi di quella storia europea.

Di conseguenza: “Dovrebbe essere questa la missione della diplomazia occidentale e di quella russa : tornare al corso storico per cui la Russia è parte del sistema europeo e deve svolgere un ruolo importante”.

La Russia deve diventare o ritornare ad essere – ha sottolineato Kissinger – una estensione dell’Europa non una estensione dell’Asia ai margini dell’Europa”.

Ed è proprio sulla base di questo pensiero visionario originato dalla competenza, esperienza e saggezza del quasi centenario Kissinger, che le leadership di Bruxelles dovrebbero immaginare e poi implementare una politica estera comune degli alleati europei, certo coordinata con Washington, ma non in una posizione di sudditanza inaccettabile.

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