A volte, per la verità sempre più spesso, mi sembra di vivere in un mondo strambo, che faccio fatica a capire. Un mondo in cui avvengono dei fatti che sembrano cozzare contro il più elementare buon senso: quel valore tanto snobbato di cui dovremmo invece avere tutti una grande nostalgia.

Perché questo disagio? Perché oggi?

La risposta è sotto i nostri occhi e ce la offrono due decisioni giudiziarie/ politiche di segno opposto, apparentemente sorprendenti e incomprensibili.

Mi riferisco, ovviamente, ai casi di Julian Assange e a quello degli ex terroristi italiani, che nelle ultime settimane hanno evidenziato come uno strumento legale, come l’estradizione, immaginato per favorire  le relazioni internazionali fra gli stati democratici in materia di repressione dei crimini, pur sempre nel rispetto più assoluto dei diritti degli individui e anche degli imputati, possa essere utilizzato o negato in modo diametralmente diverso.

In più, proprio tra due  paesi democratici, regolati da principi di diritto condivisi e da Costituzioni scritte, moderne e di alto valore civico e liberale.

Riassumiamo brevemente i fatti.

Il 14 marzo di quest’anno la Corte Suprema del Regno Unito ha respinto il ricorso dei legali di Assange, confermando la decisione dell’Alta Corte di Londra a favore della estradizione negli Stati Uniti del giornalista australiano, lasciando l’ultima parola alla Ministra degli Interni inglese Priti Patel che, a metà giugno, ha firmato l’ordine di estradizione Assange.

Di contro, proprio in queste ore, la Chambre d’Istruction di Parigi ha dato parere negativo in ordine all’estradizione di 10 ex terroristi italiani condannati con sentenze passate ingiudicato nel nostro Paese per reati di sangue.

Fin qui, apparentemente, nulla di straordinario, anzi, sempre apparentemente, una conferma che i giudici, nelle vere ed autentiche democrazie moderne, basate sul principio della separazione dei poteri, sono autonomi e indipendenti dal potere politico.

Entrambe i provvedimenti sono impugnabili e vedremo nei prossimi giorni lo sviluppo della situazione processuale.

Dunque tutto bene? Tutto regolare? Siamo, come spesso accade, nel campo della possibile, diversa, interpretazione di due Alte Corti che esprimono verdetti diversi su casi specifici aventi una loro dinamica peculiare?

Entrando nel merito delle due decisioni, qualche dubbio o, perlomeno, qualche preoccupazione, spunta.

Provo ad entrare nel metodo/merito di questi due casi.

La premessa tecnica è che il provvedimento di concessione della estradizione è un atto politico che il ministro competente assume dopo un “parere” degli organi giurisdizionali competenti in materia.

Nel caso Assange ci troviamo di fronte ad un cittadino non americano (il dato è importante in quanto non può essere imputato di tradimento verso la nazione americana) a cui viene imputato il reato gravissimo di spionaggio avendo egli promosso, nel 2010, attraverso il suo sito (ricordate? Wikileaks) la pubblicazione dei cable segreti della diplomazia americana sui reati commessi dai militari americani in Iraq prima e poi in Afghanistan.

Assange, che ha 51 anni e da 12 vive o in galera oppure segregato in sedi diplomatiche di paesi terzi, rischia una condanna fino a 175 anni! Ha sempre sostenuto, durante questi ultimi 12 anni di processi e controprocessi, di aver deciso di pubblicare quei documenti “per un dovere verso la storia e i cittadini di quel paese” che dovevano essere informati di come i vertici militari si erano comportati nelle carceri irachene ed afgane nei confronti di detenuti inermi.

Nel caso dei 10 ex terroristi italiani, che da oltre trent’anni hanno scelto, non a caso, di condurre le loro esistenze in Francia, i giudici francesi hanno espresso un “parere” negativo alla concessione dell’estradizione richiesta dal governo italiano, per una serie di asserite violazioni commesse dallo Stato italiano rispetto a due articoli della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: nello specifico, gli articoli n. 6 e n. 8 che fissano i principi del “giusto processo” e del “limite che la pretesa punitiva di uno Stato incontra di fronte all’inalienabile diritto dell’individuo alla cosiddetta sfera e radicamento esistenziali”.

Dunque, al di là della simpatia (o meglio, dell’antipatia) della vittima (Assange rappresenta uno dei pochissimi casi nell’epoca moderna  in cui la vittima di una vera e propria “caccia alle streghe” posta in essere dai vertici politici della più grande potenza del mondo occidentale, è riuscita lo stesso ad inimicarsi il consenso e la simpatia di una fetta importante dell’opinione pubblica internazionale) al di là dunque, dicevamo, della sgradevolezza del personaggio, un giornalista che pubblica, nel Paese considerato  la culla della libertà di stampa e di opinione, notizie riservate su fatti realmente accaduti e che implicano delle responsabilità politiche e giudiziarie non banali per i protagonisti, viene estradato proprio in quel Paese  dove al potere ci sono ancora oggi i responsabili di quei misfatti da lui denunciati.

Invece, i 10 ex terroristi italiani, che non si sono mai pentiti e che sono stati condannati per diversi e numerosi assassini dai giudici italiani con sentenze passate in giudicato, possono continuare a beneficiare della loro libertà individuale soltanto perché hanno lucidamente scelto di vivere in un paese come la Francia che nega l’estradizione all’Italia in quanto, sostanzialmente, ritiene che la giustizia italiana non abbia garantito e non garantirebbe a questi soggetti una giustizia vera ed equa.

Qual è la lezione che possiamo trarre da questa apparente contraddizione tra i due casi?

Proviamo ad articolare un ragionamento che tenga conto di quanto avvenuto anche se non siamo ovviamente in condizione di conoscere nel dettaglio la motivazione dei due provvedimenti.

Il Diritto, con la D maiuscola, è, per definizione, interpretabile e quindi discrezionalmente applicato di volta in volta.

Caso per caso, i magistrati chiamati ad esprimersi su una fattispecie concreta, alla luce delle prove raccolte e “della personale convinzione che si sono fatti della vicenda sottoposta al loro esame”, decidono secondo scienza e coscienza.

Detto ciò, a mio avviso, ci sono dei casi in cui i verdetti, pur assumendo resi in buona fede e nel rispetto dei principi normativi, cozzano con il sentire comune, con l’essenza stessa del concetto e del valore di una Giustizia giusta.

Si può anche diventare ex terroristi ma non si diventa mai ex assassini” ha scritto Giancarlo Caselli richiamando un adagio di un vecchio e saggio magistrato italiano.

 Chi commette delitti contro la civile e pacifica convivenza democratica non può fruire di franchigie ed evitare di scontare una pena basandosi su alchimie, cavilli  giuridici o peggio ragioni politiche.

Credo profondamente nel valore e nel significato della parola  garantismo e penso che sia un principio fondante della nostra comunità: penso però che abbia ragione Caselli, con cui sono spesso in disaccordo su vari temi connessi alla macchina della giustizia, quando condanna il garantismo “peloso e selettivo” di certi ambienti “benpensanti”: quando “l’applicazione delle regole viene diversificata a seconda dello status e in particolare delle tendenze politiche di questo o di quello….il contrario del garantismo vero, classico” ha scritto l’ex magistrato torinese su La Stampa.

Qualcuno, di fronte a quanto accaduto, costruisce della dietrologia politica: nel caso di Assange, il desiderio di Boris Johnson di assecondare le volontà americane in un momento estremamente importante dell’alleanza tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti; nel caso francese, un forte messaggio della magistratura parigina alla politica (Macron aveva appena concluso un accordo con Draghi per porre finalmente fine all’applicazione della teoria Mitterrand a favore dei rifugiati politici italiani in Francia) con la enfatizzazione di una volontà di indipendenza ed autonomia rispetto ai desiderata dell’Eliseo.

In questi casi, tendenzialmente, preferisco pensare che siano supposizioni prive di riscontri reali che non aiutano a capire veramente i razionali di certe condotte.

Dopodiché, in queste ore, mi sono posto un interrogativo provocatorio: cosa avrebbe deciso quel giudice virtuale e tecnologico, protagonista nel mondo dell’intelligenza artificiale e quindi della giustizia denominata predittiva, in base alla giurisprudenza maturata sulle due fattispecie accadute a Londra e a Parigi?

Temo, o forse spero, che avrebbe negato l’estradizione per Assange e avrebbe dato parere favorevole all’estradizione dei 10 ex terroristi italiani!

Più saggio il giudice-robot del giudice in carne e ossa?

Non voglio neanche pensarlo….un secondo!

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