Pickett si concede una intemerata su un tema di drammatica attualità: il Debito dell’Italia.

Un macigno, come lo ha provocatoriamente nominato Carlo Cottarelli nel suo ultimo libro sullo stato dell’economia italiana, che condiziona il nostro sistema, la nostra politica, la nostra coesione sociale. Periodicamente “qualcuno” grida alla lesione della nostra sovranità, della nostra indipendenza. Lamenta, con una efficace comunicazione propagandista, che i nostri governi dipendano da Berlino e da Bruxelles o comunque dai “Poteri Forti” della finanza internazionale.

Pickett vorrebbe sviluppare alcune considerazioni in merito.

Il termine debito non è di per sé negativo. Anzi, può essere considerato uno strumento finanziario fondamentale per la crescita di un paese. Basta che non sia al servizio della spesa corrente, dei consumi. Basta che sia contratto al fine di fare investimenti con marginalità prospettica ragionevolmente possibile. Il mutuo per la casa una famiglia lo contrae sul presupposto di poter, nel tempo, ripagarlo con gli interessi. I ricavi futuri del gruppo famigliare (stipendi, ecc.) serviranno in parte a rimborsare il mutuo, fondamentale per l’acquisto della casa, e in parte per risparmiare i soldi dell’affitto. Se addirittura contrarre un debito in un momento storico in cui i tassi di interesse (come oggi) sono bassissimi, si può anche rischiare di avere un guadagno economico-finanziario tra l’affitto risparmiato e gli interessi pagati ma molto poco.

Non dimentichiamoci ancora, soprattutto quando ci lamentiamo che le nostre decisioni politiche ed economiche non sono assunte a Roma ma a Berlino o a Bruxelles, che anche il nostro Codice Civile prevede il diritto dei creditori pignoratizi di quote o azioni di una società, di esercitare il diritto di voto, sostituendosi al debitore. Rientra quindi nei principi giuridici degli ordinamenti occidentali che la gestione del patrimonio di un debitore moroso possa essere svolta, ovviamente nel suo interesse, dai creditori legittimamente riconosciuti come tali.

Detto ciò, se un grande paese europeo, tra i fondatori dell’Unione Europea si ritrova un debito sulle spalle accumulato negli anni, spesso per stipendi e interessi finanziari, il tema diventa grave, spinoso, da risolvere perché pericoloso per tutti, per il debitore e per gli stessi creditori.

La nazione Grecia ci dovrebbe aver insegnato qualcosa. Ma non deve stupire, allarmare o far pensare ad una congiura internazionale ai nostri danni, se i nostri creditori evidenziano preoccupazioni per il rimborso dei loro soldi. O, peggio, per la sottoscrizione di nuovi titoli di stato in scadenza del nostro debito.

E’ il debitore che deve tranquillizzare i propri creditori innescando politiche mirate al rimborso del debito o comunque alla sua riduzione in un arco di tempo concordato.

E’ il debitore che ha l’obbligo giuridico e l’onere etico di assumere decisioni che possano ridurre il macigno e ricondurlo ad una magnitudo compatibile con gli altri indici del suo sistema economico.

L’Italia questo non lo ha fatto pur promettendolo più volte dal punto di vista politico

Ma c’è di più! Veniamo da un decennio, come si diceva, di tassi bassissimi, quasi a zero, proprio per riattivare il motore dell’economia mondiale inceppatosi con la crisi del 2008.

Ebbene nonostante questa fortunata coincidenza, non siamo riusciti a diminuire l’ammontare del nostro debito. Anzi, lo abbiamo aumentato!

Teniamo conto che i 60 miliardi di euro che paghiamo ogni anno ai nostri creditori, come oneri finanziari al servizio del debito, sono tutti denari sottratti agli interventi di politica economica attiva a favore dei più deboli. Proprio di quei “forgotten” che si sono stufati e si sono messi nelle mani dei nuovi populisti.

Adesso toccherà a loro sbrogliare la matassa e mettere le mani, e soprattutto la testa, per gestire questo problema che è diventato il Problema della ripresa del nostro paese.

Dobbiamo quindi farcene carico e non cercare scuse per aggirare di nuovo, per l’ennesima volta, il nodo cruciale del nostro sviluppo futuro.

Detto ciò, pubblichiamo volentieri un contributo che ci ha mandato l’amico Mario Colombatto proprio su questo spinoso argomento.

Un’analisi storico-economica scritta da Riccardo Barlaam, un esperto del Sole 24 Ore che ha recentemente ripreso alcuni dei concetti posti a fondamento del libro “L’Europa sta fallendo?” (Kiepenheuer & Witsch Editori), scritto tre anni orsono dall’ex Ministro degli Esteri tedesco, il verde Joschka Fischer, sui temi connessi all’Unione Europa, all’euro, alla difficoltà di tenere insieme nazioni con culture, storie, modelli economici molto diversi.

Fischer però non si è schierato nel coro dei tedeschi-formiche critici nei confronti degli italiani-cicale. Ha recuperato, con precisione, alcuni episodi della nostra storia europea per evidenziare quanto sia importante un rapporto collaborativo, non smemorato e fondamentalista, tra creditori e debitori istituzionali. Fischer, insomma, ha ricordato soprattutto ai suoi connazionali ma anche a tutti gli altri europei, da che storia veniamo per impostarne una virtuosa anche per il futuro.

Fischer parte proprio dall’oblio, dalla distrazione dei tedeschi e li richiama alla realtà, agli esempi clamorosi del loro recente passato, ma leggiamo il contributo di Riccardo Barlaam.

E’ «sorprendente» che la Germania abbia dimenticato la storica Conferenza di Londra del 1953, quando l’Europa le cancellò buona parte dei debiti di guerra. «Senza quel regalo – scrive l’ex ministro tedesco nel suo libro – non avremmo riconquistato la credibilità e l’accesso ai mercati. La Germania non si sarebbe ripresa e non avremmo avuto il miracolo economico».

La cura di austerità imposta dalla coppia Merkel-Schaeuble, secondo l’ex ministro tedesco, è stata «devastante» perché ha imposto ai Paesi del Sud Europa «una deflazione dei salari e dei prezzi» impossibile da superare con il peso del rigore; «alla trappola della spirale dei debiti», che condanna questi Paesi a non uscire dalla crisi con il pretesto del risanamento dei conti.

Fischer, in definitiva, accusa la Germania della signora Merkel e della sua grande coalizione di «euroegoismo» e di avere la memoria troppo corta. «Se la Bce non avesse seguito le decisioni di Draghi ma le obiezioni dei tedeschi a quest’ora l’euro non esisterebbe più. Il più grande pericolo per l’Europa – conclude il politico tedesco -attualmente è la Germania».

Ma cosa si decise alla Conferenza di Londra del 1953? La prima della classe Germania è andata in default due volte durante il Novecento (nel 1923 e, di fatto, nel secondo dopoguerra). In quella conferenza internazionale le sono stati condonati i debiti di due guerre mondiali per darle la possibilità di ripartire. Tra i Paesi che decisero allora di non esigere il conto c’era l’ITALIA di De Gasperi, padre fondatore dell’Europa, e anche la povera e malandata GRECIA, che pure subì enormi danni durante la seconda guerra mondiale da parte delle truppe tedeschi alle sue infrastrutture stradali, portuali e ai suoi impianti produttivi.

L’ammontare del debito di guerra tedesco dopo il 1945 aveva raggiunto i 23 miliardi di dollari (di allora). Una cifra colossale che era pari al 100% del Pil tedesco. La Germania non avrebbe mai potuto pagare i debiti accumulati in due guerre. Guerre da essa stessa provocate.

Il 24 agosto 1953 ventuno Paesi (Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia), con un trattato firmato a Londra, le consentirono di dimezzare il debito del 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari, dilazionato in 30 anni.

L’altro 50% avrebbe dovuto essere rimborsato dopo l’eventuale riunificazione delle due Germanie. Ma nel 1990 l’allora cancelliere Helmut Kohl si oppose alla rinegoziazione dell’accordo che avrebbe procurato un terzo default alla Germania. Anche questa volta ITALIA e GRECIA acconsentirono di non esigere il dovuto. Nell’ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato del 1953 con il pagamento dell’ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro. Senza l’accordo di Londra, la Germania avrebbe dovuto rimborsare debiti per altri 50 anni.

Pickett si permette di aggiungere anche un altro recente episodio fondamentale per la storia della Germania.

L’idea di accelerare il processo di riunificazione tra l’est e l’ovest venne al Cancelliere Kohl  subito dopo la caduta del muro di Berlino, a fine ’89.

Adesso o mai più!” pare abbia pensato il visionario premier tedesco. Kohl riuscì nell’impresa incredibile, solo alcuni mesi prima, grazie alla circostanza che il costo di tale operazione (politicamente ineccepibile!) lo sopportammo tutti noi europei, agganciati alla Germania da vincoli monetari, economici e politici. Anche questo passaggio sarebbe opportuno che i tedeschi non se lo scordassero.

Detto ciò mettiamoci a lavorare sul serio alla riduzione del nostro debito per i creditori, certo, ma soprattutto per noi e per il futuro dei nostri figli e nipoti.

P.S. Pickett sta leggendo su questo tema un interessante libro di Sergio Romano “Guerre, Debiti e Democrazia” (Economica La Terza) che può offrirci spunti interessanti per capire meglio il perimetro delle questioni inerenti il “Macigno” e della sua rilevanza nella politica dell’Europa negli ultimi 200 anni.

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