Anche se ormai la tematica é quasi tutti i giorni ripresa ed approfondita su tutti i media italiani, nessuno ci “mette la testa davvero”!

Il tema sembra quasi lontano, non prioritario… che toccherà le future generazioni, non noi!

Addirittura esiste un filone di pensiero portato avanti anche a livello di autorevoli professori universitari che sostiene che la denatalità, come in altre stagioni della vita degli esseri umani sulla Terra, avrebbe conseguenze globalmente positive: infatti al ritmo attuale di aumento degli abitanti della Terra, si prevede che nel prossimo ventennio non ci saranno più le risorse per alimentare tutti i cittadini del pianeta.

In questo contesto allarmato ma anche confuso e contraddittorio si sentono di rado dei contributi di esperti che ci aiutino a capire come si potrebbe invertire il trend e riattivare meccanismi che portino ad una maggiore natalità, compatibile però e connessa con la sostenibilità e cioè con la possibilità che sul nostro pianeta si possano trovare le risorse necessarie per una dignitosa sopravvivenza di tutti.

Stiamo parlando di un diritto fondamentale di tutti i cittadini del pianeta di sapere a quale destino stiamo andando incontro.

Il prof. Massimo Livi Bacci, già ordinario di Demografia all’università di Firenze, ha recentemente sviluppato in un convegno tenutosi su questo tema, una serie di tesi interessanti su come bisognerebbe pianificare degli interventi per risolvere o comunque cercare di risolvere questa spinosa questione.

Abbiamo stralciato dalla sua relazione alcuni passaggi che vi riportiamo per fornirvi elementi utili a farvi una opinione corretta su questo dossier molto discusso, poco praticato, molto sottostimato e dai contorni confusi e controversi.

Non c’è un colpo di bacchetta magica per invertire il declino – ha sostenuto il prof. Livi Bacci – Dirottare dal bilancio pubblico mille euro al mese per figlio non basterebbe necessariamente a mutare la psicologia delle persone. Solo un insieme di cambiamenti può sostenere la natalità. Ad una condizione: che raccolgano abbastanza consenso da durare nel tempo. La Francia e i paesi scandinavi hanno successo grazie a politiche persistenti da oltre mezzo secolo”.

Il problema non è solo italiano.

L’Italia non è l’unico paese che soffre di questo drammatico declino. La Corea del Sud che è uno dei paesi protagonisti dell’economia globale, registra meno di un figlio per donna. Spagna e Giappone non sono in situazioni molto diverse dalla nostra”.

Il prof. Livi Bacci concentra la sua attenzione su alcune misure che bisognerebbe immediatamente adottare: “Ecco tre aspetti sui quali bisogna investire subito e con attenzione selettiva: (i) autonomia dei giovani che faranno sempre meno figli se si rendono indipendenti economicamente solo a 35 o 40 anni; (ii) lavoro femminile, perché i Paesi a più alta natalità sono quelli a maggior occupazione delle donne; (iii) parità di genere, per alleviare il peso dell’allevamento dei figli ancora sulle spalle delle donne… Purtroppo l’aumento nel breve termine del numero medio di figli per donna rischia di non essere sufficiente: attenuerebbe solo il declino. Anche perché il figlio in più se dovesse nascere l’anno prossimo entrerebbe nelle forze di lavoro tra vent’anni o più. I guadagni sono lontani nel tempo per l’economia”.

Il prof. Livi Bacci tocca poi la spinosa tematica del rapporto fra declino demografico e necessità di una maggior immigrazione.

Nel lunghissimo periodo una perdita di qualche milione di abitanti non è una tragedia, purché poi si raggiunga un equilibrio. E’ l’alterazione della struttura per età che pesa, l’eccesso di anziani rispetto ai giovani. Per questo credo che non ci sia alternativa ad una immigrazione consistente: un saldo positivo, al netto della emigrazione, dell’ordine di quello del primo decennio di questo secolo: circa di 300.000 persone all’anno”.

Proprio quello che è successo in Germania che ha investito con successo nell’integrazione, selezionando e formando gli immigrati.

Il prof. Livi Bacci, in conclusione del suo intervento, ha sottolineato la necessità di una scelta che il nostro Paese deve fare: “Dobbiamo decidere quale Paese vogliamo essere: se chiuso in sé come l’Ungheria di Victor Orban, o aperto come la Germania. E’ una scelta non più rinviabile”.

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