Abbiamo tirato un sospiro di sollievo, liberatorio ma quasi distratto.

Sì, certo, molto meglio che i nostri soldati tornino a casa evitando di rischiare la vita per una guerra non capita, persa sul campo, durata troppo.

Sono passati giusto vent’anni da quando il Presidente americano George Bush, sull’onda emotiva della tragedia dell’11 settembre alle Torri Gemelle, ordinò ai suoi marines l’occupazione dell’Afghanistan, con l’obiettivo di debellare il terrorismo islamico e di uccidere colui che aveva progettato, finanziato e fatto realizzare il più grande e grave atto terroristico della storia dell’umanità, Bin Laden.

Il Presidente Biden ha deciso, in questi giorni, di anticipare il ritiro del suo contingente “L’obiettivo primario è stato raggiunto – ha detto – questa è una guerra che non si può vincere”: meglio girare pagina e occuparsi d’altro.

Questione risolta?

Tutt’altro!

Recuperiamo i nostri soldati ma ci ritroviamo a gestire un’ondata migratoria dai contorni numerici spaventosi.

Proprio in questi giorni appaiono sui nostri giornali le notizie di profughi afgani scoperti nella loro clandestinità in un container o in camion provenienti dalle zone di guerra.

Esseri umani che in condizioni di sopravvivenza impossibili, pur di abbandonare il paese che sta tornando in mano ai Talebani, hanno deciso di intraprendere il viaggio della speranza verso i paesi del Nord Europa.

In Afghanistan, infatti, milioni di disperati, terrorizzati dall’avanzata integralista, sono già pronti a mettersi in cammino verso i confini europei.

Dall’inizio di quest’anno il numero degli sfollati interni è aumentato di 200 mila unità aggiungendosi agli oltre 380 mila del 2020 e portando a oltre 6 milioni la massa di disperati pronti a tutto pur di non incrociare l’avanzata dei Talebani.

Questi 6 milioni di profughi, in movimento all’interno dell’Afghanistan, rappresentano però soltanto la punta di un fenomeno molto più vasto e preoccupante.

In Iran, vivono già oggi, secondo la relazione dell’ONU, oltre 780 mila rifugiati afgani registrati.

Calcolando anche i clandestini, le statistiche dell’ONU parlano di oltre 2 milioni.

Vista la situazione iraniana, sono tutti candidati a lasciare il paese e a muoversi verso l’Occidente attraverso la rotta balcanica.

Quelli già entrati in Turchia e registrati ufficialmente sono 116 mila ma le stime reali di Ankara, parlano di oltre mezzo milione di afgani già all’interno di campi profughi esistenti.

Un sondaggio reso pubblico dalle agenzie umanitarie conferma che più della metà di tali individui sogna di raggiungere l’Italia, l’Austria e soprattutto la Germania.

Se mettiamo in fila i 6 milioni di profughi in movimento all’interno dell’Afghanistan, i 2 milioni attualmente in Iran e i 500 mila che vivono ai confini della Turchia, siamo di fronte ad un fenomeno quantitativamente spaventoso e difficilmente gestibile.

Non dobbiamo dimenticarci infatti, che gli Afgani sfuggono da guerre ed orrori autentici davanti ai quali sarà molto difficile negare loro il diritto di asilo, secondo le regole del diritto internazionale.

Prepariamoci dunque a dover gestire questa massa di disperati sicuramente nel pieno diritto di vedersi riconoscere l’accoglienza e l’asilo.

Erdogan, è facile immaginarlo, valorizzerà al massimo il suo ruolo di “prima frontiera invasa” chiedendo altri milioni di euro a Bruxelles.

L’Italia, da parte sua, dovrà gestire l’arrivo di migliaia di profughi provenienti dalla rotta balcanica e, come detto, intenzionati a raggiungere la Germania e i paesi scandinavi come molti altri loro connazionali in questi ultimi anni.

Avremo un compito difficile e delicato da svolgere dunque.

Con il rischio di rimanere di nuovo soli di fronte all’emergenza umanitaria.

Sarebbe opportuno attrezzarci in tempo coinvolgendo fin da ora i partner europei, invece di limitarci a giudizi accademici di geopolitica internazionale o, peggio, a considerare il tema afgano lontano e distante da noi e dai nostri confini.

Sarebbe prudente attivarci subito e in modo autorevole per un’organizzazione razionale, collettiva e virtuosa di quello che sarà drammaticamente un esodo epocale certo.

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