Cibo per i pensieri”. Questa brillante ed efficace sintesi recuperata recentemente da Beppe Severgnini sulle colonne del settimanale 7, mi è venuta in mente rileggendo alcuni capitoli di una delle opere fondamentali del grande pensatore “del e sul” ‘900 Karl Popper “La società aperta e i suoi nemici”. Oltre sett’anni orsono (precisamente nel 1944 quando Popper scrisse il saggio) il filosofo austriaco naturalizzato inglese discettava già sui pericoli e sui rischi di una società che stava aprendosi “ai diversi”.

Perché Popper, perché oggi, nel nostro confuso e preoccupante contesto sociale e politico non solo italiano? Perché l’attualità del suo pensiero è incredibile. Popper sembra un nostro contemporaneo e invece ha scritto il suo saggio in piena guerra mondiale, vivendo un mondo molto diverso da quello che noi viviamo oggi. Popper è considerato uno dei massimi filosofi nel campo dello studio e della difesa della democrazia e dell’ideale di libertà: profondo nemico di ogni forma di totalitarismo.

Antonio Polito, sul Corriere della Sera, ha provato ad esercitarsi su una rilettura della “Società Aperta e dei suoi nemici” attualizzata al dopo elezioni dello scorso 4 marzo. Ne è venuta fuori una fotografia interessante e stimolante che ci obbliga a riflettere, a provare a fermarci un attimo, a non distrarci sempre con i vari device, insomma “a pensare!”. Peccando di autoreferenzialità Pickett ha preso atto che anche Polito, come molti altri attenti cronisti, lettori della nostra quotidianità, è partito, nei suoi ragionamenti, dalla triste e drammatica fotografia della platea dell’ultima direzione del PD. Quella che ci ha lasciato quella terribile e deludente immagine di tutti i presenti incollati al proprio cellulare mentre il “reggente” segretario Martina sta narrando la sua relazione. “La foto che ritrae l’intera direzione del PD –  ha scritto Polito – che invece di ascoltare la relazione di Martina sta china sullo smartphone e la giustificazione addotta dall’onorevole Fiano, “siamo multitasking”, dicono più di ogni altra cosa quanto il PD abbia incarnato agli occhi del popolo la modernità depersonalizzata, fondata sull’individualismo e sulla retorica delle opportunità che agli esclusi suona come una provocazione”. Di qui nasce la volontà della maggioranza degli italiani (questo è stato l’esito elettorale) di “buttar via” quello che c’è pur non sapendo bene quello che succederà dopo. “Basta cambiare poi vedremo” Sembra essere lo slogan di più del 51% degli italiani votanti. Questo è l’effetto – scriveva Popper nel 1944 – stressante della civiltà; è una conseguenza del collasso della società chiusa. E’ lo spavento della dissoluzione del mondo naturale in cui le norme e le convenzioni sociali apparivano in accordo con la natura e con l’origine della comunità”.

Popper analizza poi le categorie di “Società Chiusa” e “Società Aperta” entrando nel merito delle differenze per spiegarci meglio dove ci siamo cacciati. “La Società Chiusa può essere paragonata – sostiene Popper – a un organismo, è una unità semi-organica i cui membri sono tenuti insieme da vincoli semi-biologici: parentela, vita in comune, pericoli comuni. Nella Società Chiusa si sapeva chi siamo noi e chi sono loro e noi non eravamo costretti a fare troppe scelte razionali ed indipendenti (niente è più stressante – continua Popper – che esercitare la libertà di scelta personale o essere costretti alla competizione con chi non è unito a noi dagli stessi vincoli spirituali, biologici e fisici)”.

Una volta c’erano “Altri” che sceglievano per noi evitandoci le ansie e le angoscie di dover prendere delle decisioni: il datore di lavoro dove, ad esempio, iniziavamo a vivere la nostra vita lavorativa a 18 anni e la terminavamo, con la pensione, a 60. Il sindacato che proteggeva i nostri diritti. Il “nostro” parlamentare che ci rappresentava a Roma nelle scelte politiche. La televisione e la radio che ci informavano di quanto necessario. Tutti eravamo sostanzialmente uguale nei bisogni e nelle soluzioni.

Il “Paradiso” della Società Chiusa però evapora e si dissolve: “Forse la causa più potente della dissoluzione della Società Chiusa fu lo sviluppo delle comunicazioni marittime e del commercio”. A tal proposito Popper prendeva esempio da Atene dove ebbe origine la Società Aperta e con essa l’individualismo e la democrazia. Una parte di quella comunità considerava il “commercialismo monetario” e la “politica navale” della città come il peggior nemico esistente.

Ed eccoci al punto centrale dell’attualità-modernità del pensiero del filosofo austro-inglese. Di nuovo oggi il pericolo arriva via mare, con le merci e gli immigrati “che rubano lavoro agli italiani”. Di nuovo oggi chi teme la Società Aperta propone protezionismo e chiusura dei confini per preservare ciò che resta delle rassicurazioni e dei conforti di una Società Chiusa.

La Società Aperta, per Popper, pur amandola e preferendola a quella Chiusa, apre scenari delicati, complessi, difficili da gestire pacificamente e senza traumi sociali: “Una Società Aperta può diventare – scrive Popper – gradualmente quella che amo definire una società astratta o depersonalizzata, una società nella quale gli uomini non si incontrano mai faccia a faccia, nella quale tutte le attività sono svolte da individui completamente isolati che comunicano tra loro per mezzo di lettere dattiloscritte e di telegrammi e che vanno in giro in automobili chiuse”. Pur non conoscendo, ovviamente, la rivoluzione digitale, le novità di internet e il nuovo mondo del web, Popper, lo ripetiamo oltre sett’anni orsono, riesce ad individuare il rischio del nostro nuovo ed innovativo modo di stare insieme in una Società Aperta: il rimanere sempre più soli, chiusi e distratti nella nostra egoistica ed egoriferita realtà individuale. La fotografia delle direzione del PD ne è una spietata conferma. E allora? Come non sprofondare nel pessimismo della ragione, arrendendoci a questa irreversibile deriva? Popper ci offre uno stimolo per la speranza: “Anche la Società Aperta richiede una fede, seppur razionale, su cui fondarsi. Ha bisogno della retorica di un Pericle che, nella sua celebre orazione, si sforzava di legare “l’individualismo con l’altruismo” perché ci è stato insegnato di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere gli umili”.

Le cosiddette elite, quelle che i movimenti populisti vogliono spazzare via, hanno probabilmente dimenticato il monito di Pericle, limitandosi a ribadire la loro legittimazione a governare nonostante il malessere diffuso, in quanto basata sulla loro competenza. Opponendola quindi alla ignoranza dal verbo ignorare dei “nuovi barbari”. In democrazia però questi vuoti di memoria si pagano perdendo giustamente le elezioni: “Bisogna insomma – chiosa Polito – che i fautori della Società Aperta diventino più consapevoli della tensione che essa crea, dovuta al fatto che tutti noi diventiamo sempre più dolorosamente consapevoli delle gravi imperfezioni della nostra vita sia personale che istituzionale, della sofferenza evitabile… della necessità di portare la croce di essere umano”.

Aggiungiamo noi: la Società Aperta è sicuramente preferibile ma impone una visione, una responsabilità e una frequentazione “delle periferie” in senso lato, da parte della classe dirigente molto più pesante, complessa e difficile da realizzare. In ogni caso rileggiamoci tutti Popper … non potrà che aiutare i nostri pensieri confusi.

Food for thought!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.