Eccoci di nuovo sul baratro. Su un balcone psicologico dal quale osservare non troppo da lontano le tragedie del Mediterraneo. La strage più o meno nascosta a pochi chilometri dalle nostre coste, dalle spiagge delle nostre vacanze.

Stiamo uscendo – speriamo davvero – dall’incubo della pandemia e abbiamo quasi una inerziale e non dolosa resistenza, quasi un freno, a farci coinvolgere di nuovo emotivamente da un’altra pandemia, questa volta non sanitaria. Sempre però vissuta da esseri umani deboli, abbandonati al loro destino dalla ferocia o dalla distrazione dei loro consimili.

L’Europa nicchia, fa resistenza passiva sui ricollocamenti.

Draghi si spende parecchio per una socializzazione dell’impegno a gestire l’immigrazione selvaggia con serietà, spirito umanitario e solidarietà. Molti paesi membri, però, fanno “orecchie da mercante”: l’alibi dell’accordo di Dublino costituisce sempre la prima scusa.

Siamo a luglio e gli sbarchi e i naufragi aumentano. La contabilità dei morti (almeno quelli accertati… Chissà quanti sono gli altri?) aumenta di giorno in giorno.

L’hub di Lampedusa è stracolmo.

Le condizioni di vita sono impossibili, bestiali.

Si offende ogni giorno la dignità umana.

Noi ci chiudiamo in noi stessi e rischiamo una indifferenza orribile. Non ci appartiene, ma siamo contaminati anche da un bombardamento di dati ed informazioni sul fenomeno degli sbarchi contraddittorio, di segno diverso a seconda della fonte partitica di provenienza.

L’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, ci aiuta almeno a tentare di fare chiarezza e ci propone un metodo per difendere la nostra ignoranza in materia, molto utile ed istruttivo: un fact-checking sulla situazione sbarchi nel 2021 con alcune riflessioni sui flussi irregolari, sulle presenze in Italia e sulle risposte politiche italiane ed europee di fronte a questo terribile fenomeno.

Ve le socializziamo per fornirvi “arnesi” utili ad orizzontarvi nell’ormai quotidiana polemica partitica e per aiutarvi a costruirvi una idea ed una opinione dei contorni di questa tragedia con cui dovremo confrontarci ancora per molti anni.

La conoscenza dei dati dovrebbe aiutarci a collaborare, ciascuno nei propri ambiti, a trovare delle soluzioni. A raccogliere il consenso delle nostre comunità non intorno a slogan di becero egoismo, ma all’interno di proposte e progetti mirati a gestire la questione non a subirla o a respingerla di principio. Il famoso tentativo di collegare virtuosamente sicurezza con accoglienza.


Sbarchi, è di nuovo emergenza? Dipende 

Non c’è dubbio che gli sbarchi in Italia siano aumentati rispetto ai minimi del 2019, e che dopo la prima ondata della pandemia questo aumento abbia conosciuto un’ulteriore accelerazione. Siamo passati dai circa 11.000 sbarchi l’anno della metà del 2019 a circa 45.000 persone sbarcate nel corso degli ultimi 12 mesi. Ma una prima domanda da porsi è se gli sbarchi siano ancora in aumento rispetto ai numeri attuali: al momento diversi indicatori fanno pensare, al contrario, che i numeri si stiano stabilizzando intorno ai 50.000 l’anno.  Una seconda domanda da porsi è: cosa significa che gli sbarchi si stiano avvicinando alla soglia delle 50.000 persone l’anno? Si tratta di qualcosa di inaudito? La risposta è no: già nel 2011, nel corso delle Primavere arabe e in particolare della Rivoluzione tunisina, circa 60.000 persone sbarcarono sulle coste italiane. E nel periodo 2014-2017 si registrarono tra i 110.000 e i 180.000 sbarchi l’anno. Insomma, malgrado la pandemia abbia aggravato le condizioni nei paesi di partenza e contribuito a un rapido aumento degli sbarchi, siamo ancora molto lontani dal periodo degli “alti sbarchi” in Italia. 

Il sistema di accoglienza italiano è sotto pressione? No 

A fine maggio, il sistema di accoglienza italiano ha fatto registrare il primo aumento nel numero di migranti presenti nelle sue strutture da quasi quattro anni a questa parte. Ma la situazione nelle strutture di accoglienza italiane è lontanissima dal numero massimo di migranti accolti, fatto registrare a ottobre 2017: allora erano 191.000, oggi sono 76.000 (- 60%).  C’è tuttavia da notare che, anche se il sistema di accoglienza italiano ha dimostrato di saper gestire numeri ampiamente più elevati di quelli odierni, ancora oggi circa due migranti su tre sono ospitati nei CAS, i centri di accoglienza straordinaria pensati più per far fronte all’arrivo di grandi numeri che per gestire l’accoglienza ordinaria. Il sistema dell’accoglienza diffusa, con piccoli numeri e progetti d’integrazione più mirati ai loro ospiti (e che nel tempo ha cambiato nome diverse volte, da SPRAR a SIPROIMI a SAI), accoglie solo circa 25.000 persone sulle 76.000 presenti.

L’aumento degli sbarchi c’entra con le attività delle Ong? No 

Negli anni si sono accumulate le evidenze in favore delle ipotesi che l’arrivo di imbarcazioni delle Ong di fronte alle coste libiche non incide in misura significativa sul numero di migranti che partono da quelle coste. A maggior ragione, dunque, le Ong non dovrebbero avere molto a che vedere con il numero di sbarchi in Italia, dal momento che a raggiungere l’Italia non è solo chi parte dalla Libia, ma anche chi si imbarca da Tunisia, Algeria, Egitto, e persino Grecia o Turchia.  A dimostrazione di ciò, si consideri quanto accaduto tra il 2018 e oggi, rappresentato nel grafico qui sopra. Nel periodo della “gestione Salvini” del Ministero dell’Interno sono sbarcati in media circa 1.000 migranti ogni mese. Nel periodo della “gestione Lamorgese” gli sbarchi mensili sono quasi triplicati, arrivando a 2.600. Eppure, il ruolo delle Ong ha continuato a rimanere molto marginale, inferiore al 15% del totale degli sbarchi. Significa che quasi 9 migranti su 10 raggiungono le coste italiane senza l’aiuto delle imbarcazioni delle Ong e che, quindi, anche senza Ong in mare queste persone sarebbero arrivate lo stesso in Italia. 

L’aumento degli sbarchi c’entra con il Covid-19? Sì 

La pandemia ha certamente contribuito all’aumento della pressione migratoria irregolare alle frontiere sud d’Europa: come mostra il grafico qui in alto, gli arrivi di migranti irregolari sono aumentati sia per la Spagna, sia per l’Italia. E in misura simile, malgrado i trend precedenti fossero nettamente diversi (in diminuzione da numeri più elevati per la Spagna; in leggero aumento da numeri molto bassi per l’Italia). 

Un secondo trend cui sembra aver contribuito la pandemia, ma che il grafico qui sopra non può rappresentare, è quello della regionalizzazione delle rotte irregolari. Significa che i migranti irregolari tendono a compiere tragitti più brevi rispetto a prima. Per l’Italia, infatti, l’aumento più consistente è stato quello dei migranti arrivati dalla Tunisia, e in particolare proprio di tunisini, passati dai 2.600 del 2019 a quasi 13.000 nel 2020. Anche gli sbarchi di chi proviene dalla Libia riguardano sempre più spesso persone che si trovano nel paese africano da molto tempo, spesso da anni, e non arrivi recenti.  Per quanto riguarda la Spagna, gli arrivi hanno riguardato soprattutto algerini e marocchini, (per la rotta che dal Marocco porta in Spagna o via mare, o attraverso le due exclavi di Ceuta e Melilla), oppure migranti dell’Africa occidentale (per la rotta che porta alle Canarie). La rotta delle Canarie, che da anni era considerata quasi “chiusa”, è tornata ad aprirsi con circa 26.000 persone giunte in pochi mesi – un numero quasi equivalente a quello delle persone sbarcate durante la cosiddetta “crisi delle piroghe” del 2006-2008.

Libia, le cose vanno meglio? No 

Malgrado l’arrivo del nuovo Governo di unità nazionale a marzo di quest’anno 2021, il numero dei migranti ospitati nei centri di detenzione ufficiale in Libia è tornato a crescere. Questo numero, che aveva conosciuto un crollo dalla seconda metà del 2019 (da oltre 6.000 a circa 1.000 persone) è tornato a impennarsi e, oggi, ha superato le 5.000 persone. Accanto alle cifre ufficiali, si stima che diverse altre migliaia di migranti siano trattenuti in centri di detenzione non ufficiali.  Insomma, malgrado costanti appelli della comunità internazionale, e in particolare quelli che provengono dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM) e dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR), la Libia continua a trattenere per periodi indefiniti i migranti irregolari. Facendolo, continua a esporre le persone a un ciclo di abusi e violenze che solo poche settimane fa ha incontrato la nuova condanna da parte dell’Alto commissario Onu per i diritti umani.

L’Italia è ancora lasciata sola dall’Europa? Sì 

L’Italia continua a essere “lasciata sola” dall’Europa. Malgrado la proposta della Commissione europea per un Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, la riforma delle regole Dublino è in alto mare. E, malgrado il Governo italiano abbia ottenuto che il tema delle migrazioni fosse inserito nell’agenda del Consiglio europeo del 24-25 giugno, dal vertice non sono uscite nuove proposte rispetto alla riattivazione degli accordi sui ricollocamenti. Né su quelli obbligatori che avevano suscitato cause legali e polemiche tra il 2015 e il 2018, né su quelli volontari dei migranti soccorsi in mare conosciuti come “accordi di Malta” attivati nel settembre 2019.  Resta da chiedersi se varrebbe davvero la pena riattivarli. Infatti, anche a seguito degli “accordi di Malta”, il peso dell’accoglienza sull’Italia è rimasto invariato: dei circa 53.000 migranti sbarcati tra ottobre 2019 e maggio 2021, solo circa 990 persone sono state ricollocate in altri paesi europei, meno del 2% del totale. Da un lato, il problema è che l’intesa di Malta prevede il ricollocamento solo per le persone soccorse in mare (meno di 8.000, il 15% del totale) e non per tutte quelle che sbarcano in maniera autonoma. Pur limitandoci a quel sottoinsieme di migranti, tuttavia, la proporzione dei ricollocati sul totale degli sbarcati salirebbe solo dal 2% al 13%. Significa che quasi 9 su 10 dei migranti soccorsi in mare rimane in Italia.

Il numero di stranieri in Italia continua a crescere? No 

Tra il 2014 e il 2021 in Italia sono sbarcati più di 700.000 migranti. Con tutta l’attenzione mediatica concentrata sugli sbarchi, è naturale pensare che negli stessi anni il numero di stranieri presenti in Italia sia aumentato in maniera significativa.  La realtà, invece, è molto diversa. Proprio dal 2014, infatti, il numero di stranieri regolarmente presenti in Italia (che nel decennio precedente era più che raddoppiato, passando da 1,9 a 4,9 milioni di persone) è rimasto praticamente stabile, crescendo solo del 2% (da 4,92 a 5,04 milioni di persone). Anche includendo gli stranieri irregolari, dal 2014 la presenza straniera in Italia è aumentata solo del 6% (da 5,27 a 5,56 milioni di persone). Ciò è dovuto sia al fatto che negli stessi anni circa 900.000 persone straniere hanno acquisito la cittadinanza italiana (4 su 10 sono persone nate in Italia da genitori stranieri), sia a quello che nello stesso periodo circa 320.000 persone straniere regolarmente residenti hanno lasciato il territorio italiano.

Asilo, proteggiamo come prima? No 

Da ottobre 2018, il c.d. “Decreto sicurezza” (poi convertito in legge il 1° dicembre 2018) ha di fatto abolito la protezione umanitaria, introducendo al suo posto una nuova “protezione speciale” tipizzata in maniera molto stretta e precisa. Per questa ragione, il numero di permessi per protezione umanitaria/speciale sono crollati da una media del 28% delle richieste d’asilo nel periodo 2015-2017 all’1% a seguito dell’adozione delle nuove misure. 

Questo ha fatto parallelamente aumentare i dinieghi di protezione internazionale: se prima l’Italia concedeva una protezione (tra asilo, protezione sussidiaria e umanitaria) a circa 4 richiedenti asilo su 10 (il 42% nel 2017), il tasso di protezione è sceso a circa 2 richiedenti asilo su 10 (il 21% nel 2019).  Nel tentativo di sanare questa situazione, che in due anni ha lasciato nell’irregolarità in Italia più di 40.000 stranieri che con il sistema precedente avrebbero probabilmente ottenuto la protezione umanitaria, a ottobre 2020 il Governo Conte II ha adottato il cosiddetto “Decreto immigrazione” (poi convertito in legge il 18 dicembre 2020) che, pur senza reintrodurre il permesso di soggiorno per motivi umanitari, è di fatto tornato ad allargare le maglie della protezione. Tuttavia, la situazione non è tornata allo stato di cose precedente: le protezioni permesse per ragioni “umanitarie” sono salite dall’1% a circa il 9%, ancora ben lontane dal 28% originario.

Integrare chi sbarca è difficile? Sì 

Secondo gli ultimi dati disponibili i “migranti economici” (le persone cittadine non-Ue che si sono spostate in maniera regolare in Ue alla ricerca di un lavoro) trovano un’occupazione entro i primi cinque anni dall’ingresso nel paese di destinazione l’80% dei casi. Il loro tasso di occupazione è probabilmente più alto nei primi due anni dall’ingresso, e tende a declinare leggermente nel tempo.  Al contrario, i rifugiati e le persone che si spostano per motivi di ricongiungimento famigliare saranno occupate soltanto nel 30% dei casi entro i primi cinque anni dal loro ingresso nel paese. Se è normale attendersi che ciò accada per chi si ricongiunge con un altro membro della propria famiglia, che probabilmente già lavora nel paese di arrivo, per i rifugiati la situazione testimonia la loro difficoltà di integrazione nel mercato del lavoro del paese di destinazione. Malgrado il tasso di occupazione dei rifugiati migliori nel tempo, dopo oltre dieci anni dal primo ingresso nel paese esso rimane solo di poco superiore al 50%, e raggiungerà il livello dei “migranti economici” solo dopo due decenni di permanenza sul territorio nazionale.

Ci sono sufficienti canali regolari? No 

È sempre difficile dare una definizione di “sufficienti”, ma di sicuro i canali regolari verso l’Unione europea nel corso dell’ultimo decennio anziché allargarsi si sono fortemente ristretti. Per esempio, l’Italia regola l’accesso nel paese da parte di cittadini non-Ue attraverso i cosiddetti “decreti flussi” annuali, che stabiliscono quote d’ingresso. Se si escludono dal computo le quote riservate ai lavoratori stagionali, che ogni anno possono fare il proprio ingresso in Italia per poi tornare nel proprio paese d’origine (di solito dopo circa sei mesi), i flussi di ingresso di maggiore permanenza sul territorio nazionale si sono notevolmente ridotti.  Nel 2011, infatti, le quote annue ammontavano a quasi 100.000 posti. Da quel momento in avanti, anche a seguito della recessione economica e delle polemiche sulle migrazioni via mare, i canali regolari sono crollati: dal 2012 la media delle quote annue si è attesta sui 15.000 posti, l’85% in meno rispetto alle quote del 2011. 

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