L’ennesima tragedia carceraria accaduta a Santa Maria Capua Vetere sembra imporre finalmente una diversa attenzione del governo al tema del nostro sistema repressivo.

La stessa decisione di Draghi di accompagnare personalmente la ministra Cartabia nel sopralluogo sul carcere della “mattanza”, ci dà un segnale di un cambiamento di paradigma. Il presidente del Consiglio ha deciso di metterci la faccia ed è andato personalmente in un carcere dove è avvenuto un evento incompatibile con le regole di una democrazia moderna e rispettosa anche dei diritti dei carcerati.

Sarà che, per la prima volta in modo diretto e impressionante, le telecamere di sorveglianza ci hanno sbattuto di fronte ad una realtà incontrovertibile, ma l’impressione è stata tanta e tale da lasciare, permetteteci di dire finalmente, tracce “pesanti” nei responsabili del Ministero di Grazia e Giustizia.

Non si tratta soltanto dell’ennesimo, tragico racconto, più o meno strumentalizzato dalle parti in causa, detenuti o secondini, che abbiamo già sentito decine e decine di volte negli ultimi anni su quanto accaduto e perché; si tratta invece di un video che ci trasferisce, senza filtri, una mattanza caratterizzata da violenza fisica e psicologica, cattiveria, efferatezza, sadismo: il tutto ingiustificabile e inimmaginabile. Un evento che ci dovrebbe indurre a porre il tema delle carceri tra le priorità del nostro programma di governo.

Abbiamo di fronte una bomba ad orologeria chiamata “sovraffollamento”: ma non vogliamo guardarla, approfondirla, farla detonare. Teniamo presente che nella versione finale del Pnrr è scomparso ogni accenno alle carceri: si parla genericamente di una spesa di 133 milioni di euro da qui al 2026 (sic!).

Serviranno ad aumentare la capacità delle nostre carceri al massimo di 960 posti, circa l’1,5% della capacità attuale. Insomma, il nulla.

In Italia, viviamo una peculiare anomalia. Mandiamo a processo una frazione doppia dei nostri concittadini rispetto alla media europea; ne condanniamo però soltanto la metà. Di conseguenza il nostro Paese ha uno dei più bassi rapporti fra detenuti e popolazione: 89 ogni 100 mila abitanti contro una media europea di 105. Nonostante questo l’Italia vanta uno tra i più alti tassi di affollamento delle carceri: il 106% dei posti disponibili, ben sopra il 93% della media europea, come hanno calcolato recentemente in un loro studio Tito Boeri e Roberto Perotti.

Senza i numerosi provvedimenti denominati “svuota carceri” il tasso di affollamento sarebbe molto maggiore: nel 2010 era tra il 130% e il 150%, con il record in tutta Europa. È manifesto quindi il cronico sovraffollamento del sistema: non è tanto una questione di mancanza di personale. In Italia ci sono 65 agenti penitenziari ogni 100 detenuti contro una media europea di 40.

Insomma, il problema è costituito sostanzialmente da un numero troppo esiguo di istituti di pena.

Secondo i due economisti citati, ci sono due soluzioni a questo problema (al di là del limitarsi ad una periodica lamentela senza poi fare nulla): (i) costruire più carceri oppure (ii) svuotare quelle esistenti.

Ci sarebbe una terza ipotesi: l’Italia ha uno dei più alti rapporti di detenuti in carcerazione preventiva rispetto al totale dei carcerati. Il 30% contro una media europea del 23%. Basterebbe ridurre i tempi della giustizia o utilizzare con maggior prudenza la carcerazione preventiva, per incominciare a far diminuire la criticità del sovraffollamento.

Ma torniamo alle due soluzioni immaginate.

Costruire nuove carceri in Italia sembra quasi un tabù: non porta voti e quindi non piace alla politica. Probabilmente risiede anche in questa triste constatazione il fatto che nel Pnrr ci siano soltanto briciole dedicate alla costruzione di nuove carceri. La seconda soluzione è stata utilizzata da numerosi governi anche di diverso colore politico.

Abbiamo visto scorrere davanti ai nostri occhi negli ultimi trent’anni numerosi indulti, depenalizzazioni e amnistie. Ma questa non è una soluzione al problema, è tentare di nasconderlo con un intervento, transitorio, di sanatoria.

L’indulto del 2006, ad esempio, fece diminuire la popolazione carceraria per meno di due anni e al prezzo di un inevitabile aumento di reati, in assoluta controtendenza con le promesse dell’allora ministro della Giustizia, Mastella, che sosteneva che le recidive erano addirittura scese.

Boeri e Perotti, da parte loro, ritengono che anche la depenalizzazione sia una specie di “foglia di fico”. La gente non capisce e pensa che i provvedimenti che mirano alla depenalizzazione puntino ad eliminare il rischio di andare in carcere per la “casta” e cioè per i politici e per i colletti bianchi. Si sono scritti volumi sulla necessità /opportunità di un maggior ricorso alle pene alternative alla detenzione, senza grandi risultati.

In ogni caso l’impatto sul sovraffollamento sarebbe limitato poiché i detenuti interessati alle pene alternative, una parte del tempo la dovrebbero comunque passare in prigione.

È interessante l’esempio del carcere modello di Bollate dove i detenuti passano soltanto la notte mentre tutta la giornata sono impegnati all’esterno in attività lavorative o di pubblica utilità.

In questo contesto dunque, anche se la decisione non piace troppo alla politica perché non porta voti, l’unica strada da intraprendere per evitare il ripetersi di quanto accaduto, troppo spesso, in molte carceri italiane, è di costruirne di nuove, moderne, tali da diminuire la concentrazione di detenuti in certi istituti con tutte le conseguenze che abbiamo avuto sotto gli occhi a Santa Maria Capua Vetere.

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