C’è una frase suggestiva di Beppe Grillo che merita qualche riflessione in più. Incontrando l’ex presidente dell’Uruguay, José Pepe Mujica, a Roma, nelle settimane scorse, il fondatore del Movimento 5 Stelle gli ha parlato della Povertà Intelligente, rievocando contesti agricoli di comunità in cui gli esseri umani forse avevano di meno in termini di ricchezza materiale ma certamente di più in termini di tempo a disposizione, felicità, voglia di stare insieme.

Con un po’ di nostalgia mista a provocazione, Grillo ha voluto buttare un sasso nello stagno di un grande tema che sta occupando le classi dirigenti di tutto il mondo: quale sia il modello economico più idoneo a ridurre le disuguaglianze esistenti e a migliorare una coesione sociale a rischio di distruzione violenta.

Bisogna dare atto a Grillo che nella sua, a volte irritante e sconcertante narrazione, su questo tema è stato lucidamente preciso e, come dicevamo, provocatorio.

Cosa significa Povertà Intelligente, come se esistesse una Povertà Idiota?

Forse un fenomeno che si avvicina alla Decrescita Felice, il mantra del movimento nato proprio dalle devastazioni del capitalismo speculativo e finanziario?

Proviamo a ragionarci sopra insieme anche alla luce di un altro dato storico rilevante: il giovane e anti conformista grillino Alessandro Di Battista, proprio in coincidenza con lo strepitoso e inaspettato successo del Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni politiche, invece di seguire banalmente le sirene del potere (un posto da ministro non glielo avrebbe potuto negare nessuno!) ha preferito fare una scelta diversa. Privata e famigliare a suo dire. Si è preso un anno sabatico per intraprendere un viaggio in Centro e Sud America, sulle orme dell’epopea di Che Guevara, ha detto qualcuno sarcasticamente. Un viaggio che lo portasse nel cuore dei problemi di sopravvivenza di quelle popolazioni che stanno pagando un prezzo altissimo rispetto alla rivoluzione della globalizzazione.

Ogni settimana, al di là di intervenire via Skype in alcuni talk show di prima serata quasi a voler comunicare agli italiani che non è scomparso ma è vivo e vegeto e studia sul serio, sul campo, le disuguaglianze, per tornare poi in Italia preparato e progettuale, Di Battista redige una specie di diario di bordo che viene pubblicato sul Fatto Quotidiano.

Il leader grillino affronta tematiche legate ai modelli di vita, alle insopportabili disuguaglianze esistenti, agli incontri con personaggi che ci possono, con il loro esempio, istillare dubbi o speranze sul nostro prossimo futuro.

Nel suo ultimo reportage, dal Guatemala, Di Battista parla di miseria dignitosa, quasi di un ossimoro, quindi.

Racconta di villaggi di contadini dove la rivoluzione non si fa più con le armi ma attraverso il lavoro collettivo: la solidarietà, il darsi una mano l’uno con l’altro, il condividere quel poco che c’è a disposizione. Insomma un contesto dove molti hanno molto meno e tanti lo stesso livello di vita molto modesto.

C’è una frase che colpisce nel suo racconto e che si collega (volontariamente o involontariamente?) alla riflessione di Grillo sulla Povertà Intelligente.

Di Battista guarda i bambini del borgo guatemalteco di La Felicidad (nomen … omen?) “poveri ma belli”. “Felici anche se non ci sono le fogne” che “giocano a pallone per la strada per ore ed ore invece di stare incollati agli smartphone a giocare con le playstation”.

La miseria – scrive il neo Che Guevara – fa di queste belle sorprese: meno video giochi che costano troppo e più sana aria aperta che non costa nulla”.

Pickett ha letto molti commenti negativi, sarcastici, snobbistici di chi accusa Di Battista e il movimento grillino di facile pauperismo mischiato a propaganda e velleitarismo.

È facile e, per alcuni, pericoloso, buttarla sulla polemica della Decrescita Felice. Meno sprechi, meno vizi e uno stile di vita più sobrio, meno esagerato, meno connesso impudentemente ai tre simboli della presunta felicità: successo, denaro, potere. Più collegato al vero modo di essere felici: quello di avere una buona relazione qualitativa con il nostro prossimo.

Pickett ha già affrontato questo tema di recente.

Pur non condividendo molte delle battaglie grilline, bisogna però evitare il rischio di buttare via il bambino con l’acqua sporca.

Il successo del Movimento, nato su una geniale intuizione di Beppe Grillo è dovuto senz’altro alla speranza di un mutamento delle regole economiche della nostra società. Il modello capitalistico ha finanziarizzato l’economia industriale rompendo la vecchia e fondamentale equazione per cui soltanto il lavoro genera denaro e sostituendola con quella per cui il denaro genera denaro. Questo strappo ha causato una serie di conseguenze drammatiche sulla coesione sociale: speculazioni, disuguaglianze, disoccupazione, insicurezza.

Proprio in questi giorni è in Italia per una serie di convegni organizzati dall’Istituto di Studi Avanzati Carlo Azeglio Ciampi l’economista americano James Kenneth Galbraith, docente alla Lyndon B.Johnson School of Public Affairs e al dipartimento di politica all’Università di Austin in Texas. Galbraith è il figlio del famoso economista e diplomatico John Kenneth Galbraith uno dei più importanti ed ascoltati consiglieri del Presidente Kennedy.

Galbraith junior è uno studioso della crisi del capitalismo e, sulle colonne del Corriere della Sera, ha sintetizzato la sua opinione in merito sia alle origini delle attuali disuguaglianze sia ai rimedi per cercare di risolverle.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti –ha dichiarato Galbraith cercando di rispondere alla domanda di quando si originò l’attuale disastro – il punto di svolta risale alla fine degli anni ’70 e poi all’arrivo di Reagan alla Casa Bianca (1981-1989). È anche il periodo in cui Margaret Tatcher diventa Primo Ministro in Gran Bretagna (1979-1990). Più o meno in quel momento e per circa 25 anni la ricchezza economica è stata sostanzialmente confiscata da una oligarchia. E avere la ricchezza, come diceva Thomas Hobbes significa detenere il potere… in America le istituzioni che avrebbero dovuto garantire un certo equilibrio e una redistribuzione delle risorse sono state occupate e dominate da pochi gruppi, molto facoltosi. Sono vicende ben note. Mi riferisco alla tumultuosa ascesa di Wall Street e della finanza, con l’appoggio delle grandi società multinazionali e poi alla nascita del polo tecnologico della Silicon Valley. Oggi vediamo quanto potere sia concentrato nelle mani di pochi soggetti. È un fenomeno non solo americano accaduto anche in Russia, in Ucraina e nel Far East. Sta minando il corretto funzionamento della democrazia. Oggi ci rendiamo conto quali siano gli effetti politici delle ineguaglianze economiche”.

Galbraith ha una sua ricetta per intervenire in questo contesto disastroso che mette in pericolo i nostri sistemi democratici.

Guardo alla realtà americana, che conosco meglio. Innanzitutto bisogna aumentare il salario minimo, come ha fatto di recente Amazon, portandolo a 15 dollari l’ora. E questa è una buona notizia. Poi bisogna estendere la copertura delle assicurazioni sanitarie e sociali. Frantumare le grandi banche in modo da creare entità più piccole, più competitive e sottoposte a controlli più efficaci. Ancora: riformare le tasse sull’eredità, in modo che non sia possibile trasferire oltre un certo limite le ricchezze. I fondi in eccesso andrebbero redistribuiti alle istituzioni che si occupano di salute, di istruzione. In questo modo verrebbero meno le dinastie famigliari che dominano l’economia. Infine, vanno tassati nello stesso modo i redditi da lavoro e le rendite da capitale”.

Galbraith completa il suo pensiero con una constatazione sulla quale ci siamo già soffermati in altre occasioni in questo blog: “Tuttavia l’amministrazione Trump, pur continuando a non fare nulla di tutto quanto ho auspicato, mette in campo continuamente provvedimenti di politica economica che favoriscono la crescita. E quindi è possibile che con una crescita più forte, e nonostante le reali intenzioni dei repubblicani, anche la condizione della working class, ad un certo punto possa migliorare”.

E torniamo al solito punto che diventa centrale nel nostro ragionamento: di fronte alla crescita e quindi alla creazione di valore anche se molto differenziato nella sua redistribuzione, probabilmente il malessere delle classi medie e meno agiate sarebbe inferiore.

Pickett vi ha socializzato il pensiero di Galbraith junior perché costituisce la prova provata di come gli economisti che studiano e lavorano all’interno del modello capitalistico, provino a trovare dei rimedi all’interno di tale modello e ricorrendo a strumenti più o meno tradizionali e più o meno già conosciuti e utilizzati.

Invece il mondo di riferimento di molti dei cosiddetti movimenti populisti sta immaginando di cambiare i fattori fondamentali del nostro modello di coesistenza. Ci potrà piacere o meno quanto proposto da tali gruppi politici ma è indubbio che rappresentano un pensiero nuovo forse anche velleitario ma che, ad avviso di Pickett, va almeno letto, studiato e approfondito proprio per smontarne il contenuto. Ma anche, forse, no!

Dobbiamo quindi giustamente criticare tutti gli eccessi della propaganda grillina, ma non possiamo sottostimare che molte classi sociali, in primis i giovani poi i pensionati poi i disoccupati o mai occupati pretendono risposte adeguate ai loro legittimi problemi quotidiani di sopravvivenza e di prospettive per il futuro. Pretendono, in altre parole, che le classi dirigenti si facciano carico di intervenire sul serio sulle distorsioni del sistema dando vita ad un modello di coesistenza adatto anche alle sfide rivoluzionarie nel settore del lavoro della Intelligenza Artificiale.

La cultura del reddito di cittadinanza, spogliata degli eccessi propagandistici, nasce proprio dalla voglia e ambizione di garantire a tutti e soprattutto ai meno fortunati di noi, condizioni di vita possibili. Dignitose. Sospendendo, almeno transitoriamente, gli effetti della possibile mancanza di un posto di lavoro.

Il contenuto del progetto grillino prevede proprio una destinazione selezionata di quel denaro oggetto del reddito di cittadinanza. Deve servire ai bisogni primari non a quelli effimeri o voluttuari. Deve consentire una, almeno transitoriamente, Povertà Intelligente.

Ed eccoci tornati alla parola magica evocata da Grillo proprio con quell’ex presidente dell’Uruguay che si fece tanto amare non solo dal suo popolo ma anche in tutto il mondo per la sua sobrietà, per la sua sensibilità sociale, per il suo senso delle istituzioni sempre collegato al non dimenticarsi dei bisognosi, dei meno fortunati.

Di Battista segue evidentemente questo percorso ideologico e se leggerete in futuro i suoi reportage ritroverete pezzi di questa visione del mondo.

Pickett non crede che le cosiddette élite debbano sminuire queste istanze che vengono dal basso. La vera sfida è quella di cogliere, senza sprofondare nelle derive qualunquiste degli slogan sulla Decrescita Felice (slogan facili da gridare nelle piazze ma impossibili da mettere in pratica per dei viziati come ormai siamo diventati noi cittadini del terzo millennio egoisti, pieni di diritti e privi di un qualsiasi senso del dovere: etico e solidale) questo malessere per trasformarlo in uno stimolo a intervenire radicalmente sul modello capitalistico rivoluzionandolo in quei fattori, tipo la finanziarizzazione dell’economia, che ne hanno stravolto in senso negativo tutto quanto di positivo invece contiene nelle sue regole del gioco. Perché, ma questa è una opinione strettamente personale, probabilmente il capitalismo, con delle regole del gioco rivisitate e basate su rigidi controlli del pubblico sul privato, sulla meritocrazia e su un senso profondo di solidarietà dei ricchi verso i poveri, è ancora il modello che meglio si coniuga con le caratteristiche, non sempre solo positive, di quell’animale che si chiama…essere umano.

 

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