Un ticket Draghi-Dimon: due banchieri al comando in Europa e in America.

La battuta provocatoria inizia, in realtà, a circolare sempre di più nei palazzi della politica di Bruxelles e di Washington.

Come nasce questa sorprendente ma suggestiva ipotesi? Inoltre, mentre non abbiamo bisogno di spiegazioni su chi sia Mario Draghi (nel bene e nel male), la stragrande maggioranza della gente, soprattutto in Europa, non conosce né ha mai sentito parlare di Jamie Dimon, l’attuale Ceo di JPMorgan Chase.

Non cascate immediatamente dalle sedie, non strappatevi i capelli: sappiamo bene quanto sia vissuto male un progetto che preveda al vertice politico di importanti Nazioni del mondo due banchieri, i protagonisti della ormai famosa barzelletta che recita: “Un paziente sta aspettando un trapianto di cuore e può scegliere tra quello di un giovane di 25 anni, in splendida condizione fisica e quello di un banchiere di 86 anni. Sceglie immediatamente il secondo, lasciando stupiti medici e famigliari. Ma come? Gli chiedono tutti: hai preferito il cuore di un vecchio a quello di un giovane sportivo. La risposta arriva come una picconata: “Certo, perché il cuore, il banchiere, non lo ha mai usato!”.

Da cosa si origina questo suggestivo ma fantascientifico progetto?

Da una constatazione di fatto: lo scenario economico a breve-medio dell’intero Villaggio Globale dovrà essere concentrato sulla gestione e risoluzione dell’enorme debito accumulato e sulla necessaria, concorrente, crescita.

Sono questi i due temi che le classi dirigenti mondiali dovranno, dolenti o nolenti, risolvere, al di là del fatto che i vari populismi di destra e di sinistra identificano nella figura del banchiere, il responsabile di tutte le fallimentari esperienze economico-finanziarie di questi ultimi anni e quindi il nemico numero 1 per un mondo che vuole davvero svoltare.

Il Global Debt Monitor, il report annuale realizzato dall’Institute of International Finance (IIF), ci fornisce la fotografia del colossale problema che abbiamo sotto i nostri occhi, e forse facciamo finta di ignorare: l’ammontare complessivo dell’esposizione finanziaria di Stati, imprese, banche e famiglie.

A livello mondiale, nel primo trimestre del 2023, il debito pubblico globale è aumentato di ulteriori 8.300 miliardi di dollari.

Si è tornati quindi a superare la soglia dei 300.000 miliardi di dollari, il record “drammatico” raggiunto 12 mesi prima.

La notizia, che costituisce una novità, è che sono stati i Paesi emergenti a dare un’accelerazione al fenomeno, sfondando quota 100.000 miliardi.

Si è stabilizzato, invece, il rapporto del debito complessivo sul PIL mondiale intorno al 335%.

In sintesi, il mondo, se lo considerassimo un’unica grande impresa, produce ogni anno molto meno di quanto gli sarebbe necessario per ripagare il debito accumulato.

Una situazione tecnicamente fallimentare che quindi impone alle leadership politiche di tutti i paesi di dover adottare manovre economiche fondate sulla ristrutturazione del debito che però, nello stesso tempo, non scatenino la recessione.

Abbiamo bisogno di crescere  e non di politiche di austerity che ci porterebbero a sicure recessioni.

Chi può essere in grado di gestire questo tipo di complessità che ovviamente va anche coniugata con le crisi militari, sanitarie e ambientali che sono sotto ai nostri occhi?

Ecco il perché si è incominciato a ragionare su profili professionali che avessero i requisiti di esperienza e competenza per gestire al meglio la ricerca di un bilanciamento tra l’obiettivo di riduzione del debito e il mantenimento di un livello di crescita positivo.

Se Mario Draghi è attualmente “in panchina”, Jamie Dimon è in piena attività.

Ma chi è l’amministratore delegato di una delle più grandi istituzioni finanziarie private del mondo?

E’ nato a New York quasi 70 anni fa e viene da una famiglia di “immigrati” greci (da Papademetriou, il papà, aveva mutato il cognome in Dimon).

Dopo un’infanzia faticosa e di studi forsennati, Dimon si è laureato in psicologia ed economia (un binomio di grande attualità) venendo poi immediatamente assunto dall’American Express.

Intanto Jamie si era sposato con Judith e aveva avuto tre figlie.

A trent’anni diventò il direttore finanziario della Commercial Credit che dopo una serie di fusioni costruì la grande City Group.

Nel 2000 divenne amministratore delegato di BankOne con il compito di ristrutturare la banca, reduce da alcuni sconquassi.

Dopo una dura ristrutturazione, l’istituto tornò in utile e fu acquistato da quella JPMorgan che sarebbe diventata la nuova “casa” di Jamie Dimon.

Infatti, dopo l’acquisizione e la fusione dei due istituti, Dimon divenne direttore generale e poi amministratore delegato della nuova realtà.

La crisi finanziaria del 2008 gli offrì l’occasione di dimostrare ancora una volta le sue capacità di “ristrutturatore” del sistema bancario.

Intervenne in diverse situazioni critiche diventando l’uomo di fiducia dell’ex Presidente Barack Obama in tutte le grandi operazioni di salvataggio del sistema finanziario americano.

Negli Stati Uniti, soprattutto la stampa repubblicana, lo considera un “tifoso” del partito democratico.

Come giustamente sottolineato da Edoardo De Biasi sul Corriere della Sera, il Wall Street Journal gli ha contestato di aver acquistato, recentemente, la First Republic, a rischio di fallimento, per risolvere un problema al Presidente americano Joe Biden.

Nonostante Dimon continui a smentire l’ipotesi di una sua “discesa in campo”, nei salotti della politica di Washington si incomincia davvero a puntare su di lui per il dopo Biden.

Quelli che lo conoscono ne sottolineano una curiosa contraddizione che però si risolve in una sintesi perfetta: Dimon ha il cuore democratico ma il cervello repubblicano.

Dimon ha sempre sostenuto che le controversie sulla sicurezze internazionale e sul commercio sono risolvibili: “Ma non sarà possibile risolverle se rimarremo, noi e la Cina, seduti dall’altra parte del Pacifico a urlarci contro. Spero quindi che si arrivi ad un reciproco impegno con Pechino per stabilizzare i rapporti politici ed economici”.

Al di là dei pregiudizi, a volte assolutamente giustificati, che tutti abbiamo nei confronti dei cinici e “senza cuore” banchieri, è indubbio che anche in Europa, alla vigilia delle elezioni politiche e quindi del cambio della Presidente della Commissione europea, un profilo come quello di Mario Draghi metterebbe sul tavolo gli stessi skill di Dimon: esperienza, grande competenza, un’autorevolezza riconosciutagli da tutti a livello internazionale.

Se dobbiamo, tutti noi cittadini del mondo, affrontare una navigazione complessa ma molto sfidante in un mare tempestoso di scenari militari, politici ed economici che cambiano ogni sei mesi e quindi con la difficoltà di individuare una rotta sicura per raggiungere l’auspicato porto di destinazione, chi meglio di due fuoriclasse come Draghi e Dimon possono garantirci una “tenuta della barra del timone a dritta”?

Sarà un sogno od un incubo, però i razionali a monte di questa eventuale opzione non sono così folli.

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