Il “bollettino meteorologico” sullo stato dei diritti civili nel mondo volge al peggio.

Le democrazie fanno passi indietro e le autarchie aumentano di numero e di dimensioni.

C’è un’aria di conservatorismo e di voglia di “ritornare indietro”!

Proprio dalla patria delle democrazie moderne, arrivano le ultime due brutte notizie: segnali di un’inversione di tendenza che dà forti picconate alle conquiste civili degli ultimi cinquant’anni.

La Corte Suprema americana (quella composta da membri nominati dall’amministrazione Trump!) ha assestato un terribile “1-2” al mento del Presidente Biden.

Da un lato la maggioranza … non quindi la totalità, dei giudici americani ha cassato il grande piano della Casa Bianca per condonare i prestiti che gli studenti americani avevano contratto per finanziare il loro percorso scolastico o universitario.

Negli stessi giorni, dall’altro lato, sempre e soltanto la maggioranza conservatrice dei giudici della Suprema Corte americana ha accolto il ricorso di una web designer cristiana che si era rifiutata di creare siti web per celebrare matrimoni omosessuali: la fattispecie risale al 2016 quando la web designer aveva impugnato una legge anti-discriminazione vigente in Colorado.

Le due sentenze smontano delle conquiste civili nate negli anni ’60 durante le amministrazioni guidate da Kennedy e poi da Johnson.

Nel primo caso, come vedremo, per ragioni tecniche e amministrative; nel secondo caso, invece, invocando il contenuto del Primo Emendamento della Costituzione americana che tutela la libertà di espressione di tutti i cittadini.

Ma vediamo nel dettaglio i due casi, tenendo conto che l’America è entrata nell’anno pre-elettorale e che, quindi, ogni decisione della Suprema Corte scatena reazioni non soltanto sul piano giuridico, ma anche sul piano politico.

Biden, nel 2022, aveva annunciato la firma di un decreto che prevedeva lo stanziamento di oltre 400 miliardi di dollari per sanare il debito accumulato negli anni dagli studenti americani per finanziare i loro percorsi formativi.

Il Presidente aveva giustificato il decreto sulla base di una legge del 2003 (L’Heroes Act, che consentiva al Segretario Generale del Ministero dell’Istruzione di concedere sgravi finanziari in caso di emergenza nazionale).

Biden si era proprio avvalso di quella norma, giustificando il suo intervento sull’emergenza nazionale causata dalla pandemia.

La Corte Suprema ha respinto tale motivazione: “Riteniamo oggi – ha deliberato, come dicevamo, la maggioranza dei membri della Corte – che la legge consenta al Segretario Generale all’Istruzione di “revocare o modificare” statuti o regolamenti esistenti applicabili ai programmi di assistenza finanziaria ai sensi dell’Education Act, non di riscrivere tale statuto da zero”.

Il richiamato Education Act è una legge voluta e immaginata da JFK e poi promulgata da Johnson nel 1965 relativa anche ai prestiti studenteschi.

Il Segretario Generale – ha continuato la Corte – non ha mai rivendicato in precedenza poteri di questa portata ai sensi dell’Heroes Act. Come abbiamo già notato, le passate deroghe e modifiche emesse ai sensi della legge sono state estremamente modeste e di portata limitata”.

Insomma, per la Corte, il Presidente degli Stati Uniti si è accreditato un potere che non gli competeva, aggirando indebitamente l’autorizzazione del Congresso.

Il risultato è che migliaia di studenti americani si vedono costretti ad onorare il rimborso di  mutui che avevano contratto anche sul presupposto di poter ottenere quegli sgravi finanziari previsti dalla legge.

E’ vero che la decisione della Suprema Corte riguarda una diversa valutazione dei poteri del Ministero dell’Istruzione con riguardo alle decisioni sugli sgravi finanziari.

Ed è quindi vero, come stanno sostenendo i responsabili della Casa Bianca, che il decreto verrà riformulato adottando nuove azioni più coerenti con la normativa ma sempre finalizzate a tutelare gli studenti mutuatari.

Dal punto di vista politico, ovviamente, la decisione della Suprema Corte incide molto sul consenso a Joe Biden che rischia di perdere il favore dei giovani elettori.

L’Affermative Action è un’idea nata nel 1961 proprio con l’amministrazione Kennedy che pensava di sostenere così i cittadini più svantaggiati per questione di razza, credo, colore o origine nazionale.

Sessantadue anni dopo la Corte Suprema, come ha scritto Beppe Severnini, ha ritenuto invece che la “discriminazione positiva” leda il principio di eguaglianza nell’accesso universitario.

La decisione impatta su un tema molto discusso in questi mesi in tutto il mondo: il destino delle misure di riequilibrio sociale che molti governi stanno adottando o pensano di adottare.

In Italia abbiamo vissuto le grandi polemiche originate dall’adozione della norma sulle “quote rosa” per favorire la parità di genere nei posti di lavoro.

Stesso discorso vale per tutte quelle norme destinate a sostenere una etnia rispetto alle altre: una gran parte degli elettori pensa che questi interventi legislativi siano una ingiustizia, una discriminazione attiva.

Questa tematica tocca uno dei temi centrali del dibattito all’interno dei progressisti di tutto il mondo: “La sinistra ha smarrito la capacità di entusiasmare la gente. Non capisce una cosa fondamentale: – ha scritto l’editorialista del Correre della Sera – l’egoismo esibito dalla destra è meno irritante dell’altruismo ipocrita della sinistra”.

E veniamo alla seconda decisione della Corte basata, come dicevamo, sul Primo emendamento della Costituzione americana: “Il Primo emendamento immagina gli USA come un luogo ricco e complesso in cui tutte le persone sono libere di pensare e parlare come desiderano, non come richiede il governo si legge nella motivazione della sentenza – il Primo emendamento vieta al Colorado di obbligare una web designer a creare progetti espressivi che veicolano messaggi con cui la web designer non è d’accordo”.

Immediata la reazione di Biden, fortemente irritato dalla decisione della Suprema Corte: “In America nessuna persona dovrebbe subire discriminazioni semplicemente a causa di chi è o di chi ama”.

Secondo alcuni giuristi americani la sentenza non consente alcuna discriminazione, in realtà, sostiene soltanto che una persona non può essere costretta ad agire in modo contrario alle sue convinzioni morali.

Anche questa decisione sta avendo importanti conseguenze politiche.

I democratici hanno manifestato tutto il loro disappunto mentre i repubblicani hanno esultato per questa inversione di tendenza della Suprema Corte.

Insomma, un quadro generale sulla tutela dei diritti civili nel mondo che non spinge all’ottimismo: proprio per questo dobbiamo continuare a tenere alta l’attenzione su questi temi.

Poi, ovviamente, sarà la maggioranza dei cittadini dei singoli stati a decidere le regole del gioco per una convivenza auspicabilmente pacifica.

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