Sono passati 42 anni!
Abbiamo assistito a 42 commemorazioni della figura di Aldo Moro.
Abbiamo letto, sentito, visto almeno 42 volte la ricostruzione del suo sequestro, della sua prigionia, del suo assassinio, del suo ritrovamento in via Caetani, esattamente a metà strada tra le Botteghe Oscure e Piazza del Gesù, tra la sede dell’allora PCI e quella della DC.
Eppure … eppure siamo ancora qui a chiederci, dopo quasi mezzo secolo, le ragioni di quella tragedia umana, di quel drammatico terremoto politico, di quella disumana fine che fece uno dei leader più importanti della storia del nostro paese nel secondo dopoguerra.
Come si fa a non essere d’accordo con il figlio dello statista, Giovanni Moro, che, in questi lunghi 42 anni, ha sempre voluto, con educazione e sobrietà, evidenziare le macroscopiche incongruità che ancora esistono nella ricostruzione di quell’evento.
Posso dire – ha scritto ripetutamente Giovanni Moro – di non aver ancora capito bene (al di là delle sedute spiritiche e delle spiegazioni idrauliche) che cosa successe precisamente intorno al covo di Via Gradoli; di non essere affatto convinto che i terroristi ci abbiano detto tutto (semmai tutto e il suo contrario), e di non accettare che siano loro a decidere che quanto non è noto riguardi solo “particolari irrilevanti”; di essere curioso di conoscere quale ruolo abbiano avuto nel sequestro soggetti rimasti sullo sfondo come il brigatista Senzani o ancora i vari latitanti all’estero; di non essere affatto convinto che i nostri servizi di informazione dell’epoca – per comodità di solito descritti come una specie di Club di Topolino – non siano stati in grado di svolgere una sufficiente attività di intelligence prima, dopo e soprattutto durante il sequestro”.
Cinque domande, cinque dubbi che pretendono ancora risposte chiare, complete, senza zone grigie o peggio oscure.
Molti dei protagonisti di quella vicenda sono ancora vivi e potrebbero aiutarci a chiudere finalmente una brutta storia che non fa onore alle nostre istituzioni.
Il Presidente Sergio Mattarella, ancora una volta, nel giorno della memoria, il 9 maggio scorso, ha voluto sottolineare come “La verità resta un diritto, oltre che un dovere per le istituzioni. Terrorismo ed eversione sono stati battuti con gli strumenti della democrazia e della Costituzione: la ricerca della verità, dunque, deve continuare laddove persistono lacune e punti oscuri… Nel tempo sono state accertate responsabilità dirette ed indirette; gli autori dei delitti sono stati sottoposti a processi e condanne, ma non ovunque è stata fatta piena luce… abbiamo il diritto di conoscere la verità anche su complicità e deviazioni”.
Ma allora cosa si aspetta?
Che tutti i protagonisti ci lascino per sempre?
Verrebbe voglia di rispondere … “forse sì!”.

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