Credo che tutti noi ci siamo prima stupiti, poi compiaciuti, poi, strizzandoci gli occhi, resi consapevoli di una specie di miracolo.
I nostri figli e nipoti, grazie alla innovazione tecnologica e alla disponibilità, attenzione e proattività professionale dei maestri e dei professori, tutti chiusi in casa per il lockdown, hanno potuto partecipare alle lezioni scolastiche, tenendo in movimento il cervello e valorizzando in tal modo una clausura obbligata che avrebbe potuto essere esiziale per il loro apprendimento.
Il prof. Alberto Asor Rosa, 87 anni splendidamente portati, con un dna da formatore impressogli fin dai primi anni della sua vita, ci ha lanciato però un messaggio preciso nei giorni scorsi: non illudiamoci, è stato un bell’esperimento che non può diventare un paradigma di riferimento abituale. La fisicità della partecipazione in aula di studenti e professori, il vivere insieme, in una classe eterogenea ma compatta nell’obiettivo di fondo, non è sostituibile da nessuna innovazione tecnologica, con una gestione dell’insegnamento in remoto.
Leggete cosa ha scritto il grande intellettuale italiano che ha insegnato, nella sua vita, dalle elementari all’università e ha poi continuato il suo servizio pubblico occupandosi di politica nel Partito Comunista Italiano.
Io non credo che esista strumento pedagogico più straordinario – ha scritto il prof. Asor Rosa su La Repubblica – sia dalla parte dello studente sia dalla parte dell’insegnante della classe.
La classe!
L’insegnamento è un gettito di notizie, informazioni, suggerimenti, suggestioni, indicazioni, comportamenti, esempi (sì, anche di esempi), che scende (almeno parzialmente) dall’alto sullo studioso-studente che cerca di recepirne la maggior parte possibile e, se ne è in grado (e sempre più nel corso degli anni dovrebbe esserlo), la fa propria, l’assume e la rielabora, fino a realizzare un punto di vista proprio sempre più maturo ed autonomo.
Parlerei di una vera e propria nebulizzazione del sapere, che scende da tutte le parti sullo studioso-studente e lo aiuta in tutti i modi a “sapere” e cioè a “crescere”.
Ebbene, dove avviene tutto questo?
Avviene in un’aula scolastica: e cioè, secondo me, in quella che per la tradizione è anche nel linguaggio comune si chiama ed è “la classe”.
Cos’è una classe?
E’ un insieme più o meno discreto di individui giovani, generalmente coetanei, che seguono l’insegnamento di un gruppo di docenti, diversi per conoscenze e formazione, ma fortemente assimilati tra loro dal compito che di volta in volta sono chiamati a svolgere.
Sarebbe possibile raggiungere gli stessi risultati, rinunciando a questo sistema di rapporti? Io non credo”.
Asor Rosa approfondisce ancora meglio l’importanza, il ruolo e la decisività per la nostra formazione del luogo fisico dell’aula.
La classe è un luogo fisico – ripeto: fisico – di rapporti, nel quale, l’intersezione dei molteplici rapporti, cui ho fatto riferimento in precedenza, si verifica e vive.
Vive: perché se si riducessero l’insegnamento e l’apprendimento ai loro valori puramente intellettuali, invece di crescere gli studenti sarebbero condannati ad una identità para-biologica estremamente elementare.
In una classe scolastica persino la pedatina che lo studente appioppa al suo compagno sotto l’ala protettiva del proprio banco, persino l’occhiata dell’insegnante che la percorre da cima a fondo per trasmettere una avvertimento, un suggerimento, un ammonimento, rappresentano materia costitutiva del sapere scolastico, mentre si forma, quando si forma, per la possibilità concreta di essere e diventare un sapere.
Insomma: la “comunità fisica” è un coefficiente indispensabile di una “comunità intellettuale” funzionante”.
Asor Rosa ha poi voluto precisare che, con questo suo “Elogio della classe”, non ha assolutamente inteso criticare gli sforzi che sono stati compiuti a livello istituzionale per far fronte all’emergenza coronavirus.
Anzi, ha voluto sottolineare: “Non vedo come si possa sottacere l’impegno eroico che docenti di ogni ordine e grado hanno compiuto e stanno compiendo per tenere in piedi il sistema formativo italiano con video lezioni, video conferenze, telefonate individuali”.
Il suo pensiero finale su questo tema è il seguente: “Ma le architravi del sistema non possono essere dimenticate nei momenti di difficoltà. Altrimenti le difficoltà prevarrebbero definitivamente sulle architravi del sistema; e questo sarebbe l’effetto peggiore tra quelli da esse prodotti”.
Vi confesso che leggendo questa riflessione di Asor Rosa ho sentito, per la prima volta, la consapevolezza della meravigliosa esperienza fatta proprio nelle aule di scuola durante tutto il mio percorso formativo.
Ho dovuto dargli ragione assalito da un sentimento di nostalgia per un periodo indimenticabile della mia vita ma credo di tutte le vostre vite che, sul momento, abbiamo vissuto con fatica, svogliatezza e a volte ostilità, ma che poi abbiamo rimpianto quando siamo entrati nel mondo del lavoro.
Lì ci siamo formati non solo dal punto di vista culturale ed intellettuale, ma anche dal punto di vista caratteriale grazie proprio ai maestri, ai professori, ai bidelli e poi, certo, ai nostri compagni di classe per quanto fossero nostri amici o meno.
Grazie professore perché mi hai permesso di apprezzare fino in fondo la prima stagione della nostra vita, quella dell’apprendimento che è avvenuta proprio in aula, in classe, nel fantastico frullatore che ci ha permesso di entrare in relazione con gli altri esseri umani, docenti o coetanei.

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