Pickett se lo è sempre chiesto. Fin da piccolo. Non trovando risposte adeguate ha quasi completamente eliminato la parola dal suo vocabolario.

Il tema però lo ha sempre affascinato anche in mancanza di risposte convincenti.

Devo ammettere che mio padre, che tempestai di domande su questa questione specifica, mi rispose, un giorno in maniera netta e suggestiva: “l’intelligenza è un insieme di cose ma certamente tutte incentrate sulla curiosità, sulla voglia/passione virtuosa di andare a scoprire nei suoi dettagli questo straordinario dono che ci è stato fatto e che si chiama Vita”.

Da allora seguii il suo ragionamento e mi convinsi di investire in curiosità per cercare di arricchire il mio muscolo celebrale.

Oggi ci prova l’università di Cambridge a darci una mano, più scientifica, per capire meglio il contenuto di questo tema universale.

Sulla rivista Neuron, un team di professori universitari anglo-americani propone una tesi suggestiva e innovativa: l’intelligenza è come un’autostrada che ottimizza la connessione (il traffico) di tutti i neuroni che abbiamo nel cervello.

Da anni tutti i ricercatori del mondo sono alla ricerca di una definizione per la più sfuggente e complessa delle qualità umane. Le hanno tentate tutte: hanno provato a cercarla nel Dna o fra le pieghe della materia grigia facendo anche a pezzi, letteralmente, il cervello del grande Einstein proprio nel tentativo di individuare “i segni” del genio, del benchmark riconosciuto dell’intelligenza assoluta.

Ma tutto si è sempre rivelato inutile, relativo, mai convincente al 100%.

Il team di Cambridge propone una lettura nuova del fenomeno: “a determinare l’intelligenza di un individuo non sarebbe tanto il numero dei neuroni posseduti, quanto la ricchezza e velocità delle loro connessioni. Più le cellule si parlano, stringono legami, formano reti, più le varie aree del cervello sono rapide e veloci nel comunicare fra loro attraverso gli impulsi elettrici e più è alta la loro capacità di elaborare informazioni in modo intelligente”. Questo è il verdetto emerso dallo studio dell’università inglese.

Il professore inglese Jakob Seidlitz, in collaborazione con i colleghi americani del National Institutes of Health, ha scritto che “la ricchezza delle connessioni della corteccia celebrale influisce sul 40% della differenza di quoziente intellettivo tra un individuo e un altro”.

Il test è stato sviluppato sottoponendo ad una risonanza magnetica intensa oltre 400 giovani volontari e mettendo a confronto i risultati della mappatura del cervello con quelli dei quiz di intelligenza.

Le prime immagini fornite dagli scienziati anglo-americani sulla rivista Neuron sono spettacolari “fasci di filamenti che avvolgono il cervello come un gomitolo o come la rete autostradale di una città illuminata di notte”.

Il professore Seidlitz sottolinea come “abbiamo notato un chiaro legame fra quoziente intellettivo e ricchezza delle connessioni. Quello che ancora resta da capire è quale sia l’origine di questa diversità: se la genetica oppure l’educazione”.

I risultati della ricerca dell’università di Cambridge ci aiutano ad individuare e comprendere dunque almeno una parte della questione: che cosa attiva la velocità della connessione fra le varie aree cerebrali che poi elaborano le informazioni? Al di là del tema di sempre: il Dna o l’educazione ricevuta, forse proprio la nostra capacità di stimolare l’attivazione di tale connessione. Come? Semplice, come diceva mio padre: guardandoci intorno, cercando di essere interessati a tutte le straordinarie situazioni a cui ci troviamo di fronte ogni giorno della nostra vita. Più sappiamo cogliere i soggetti o gli oggetti che ci stanno intorno, più sappiamo scoprirli, analizzarli, amarli, più accelereremo la velocità di connessione fra le varie parti del nostro cervello.

Se il professor Seidlitz e il suo team hanno ragione, investire nella curiosità è la miglior attività che possiamo realizzare per valorizzare il nostro quoziente di intelligenza.

 

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