Facebook ti aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita”, è questo quello che si legge sulla homepage di Facebook al momento dell’accesso o dell’iscrizione, ma se si pensa all’evoluzione di questa piattaforma dall’anno della sua creazione, il 2004, non si può non notare che questa funzione ha ormai lasciato il posto ad altre con fini ben più estesi.

Facebook infatti non invita solo alla condivisione dei pensieri con la propria cerchia di amici, ma piuttosto con la generalità delle persone che compongono la sua comunità virtuale, un processo questo che ha cambiato il modo di interpretare il web e le sue potenzialità. Con il crescere e l’allargarsi del fenomeno infatti la “comunità” ha assunto un vero e proprio valore commerciale sul quale non si è esitato a puntare. Si sono create vere e proprie strategie comunicative e di marketing che puntano sui bisogni dell’utente basandosi sulle sue ricerche, ma anche sui dati, o se vogliamo “tracce”, che ciascuno di noi inevitabilmente lascia navigando in Internet.

Si è citato Facebook a titolo esemplificativo, ma negli anni molti altri social media, siti e piattaforme hanno fatto dell’utilizzo delle informazioni una vera e propria fonte di guadagno: infatti l’utente è oggi diventato una fonte di dati e informazioni dall’enorme valore, e di fatto è proprio con questi che si paga l’utilizzo di tali siti, a cui tutti hanno accesso “gratuitamente”. In particolare il controllo di questa dinamica web risulta nelle mani dei “potenti digitali”, i cosiddetti “Over The Top – OTT”, tra questi Google, Apple, Microsoft, e i siti come Facebook e Amazon.

Nel 2017 però è stato dato uno scossone a questa realtà, Pickett ha già avuto modo di analizzare i casi di Meltdown e Spectre, delle vere e proprie “falle nel sistema”, che hanno reso manifesta la “non sicurezza” dei dati e delle informazioni riservate degli utenti del web e per le quali si sta già correndo ai ripari per garantire una navigazione sicura, inoltre, anche a seguito di questi eventi, molti tra coloro che erano ai vertici dei grandi colossi del web hanno fatto un passo indietro. È il caso, tra gli altri, del cofondatore di Twitter Evan Williams, dell’ex presidente di Facebook Sean Parker, di Tristan Harris, ex design ethicist di Google, che hanno ammesso che i siti per i quali hanno lavorato con gli anni hanno perso la rotta superando più volte il confine dell’etica, e sfruttando la psicologia degli utenti. Il risultato è stato un vero e proprio cambiamento del modo di relazionarsi degli utenti nel web e anche all’infuori di questo.

Che la nostra vita sia condizionata dalla presenza dei social network è ormai assodato, si è creato un senso di assuefazione a questi ultimi che porta al costante bisogno di consultarli, di connettersi non appena se ne abbia il tempo, una vera e propria realtà virtuale che ha anche modificato il senso di percezione di sé. Come Roberto Sommella e Massimo Ammaniti rilevano nel Corriere della Sera, il proprio baricentro personale tende sempre più a spostarsi all’esterno, ma l’esterno non sono le altre persone in carne ed ossa bensì il mondo digitale, dove si riversano i propri desideri, le proprie ansie e più semplicemente i propri pensieri, cambiando così il modo di approcciarsi agli altri e “disimparando” a comunicare.

Mentre l’utente confondeva – e confonde – il web con una realtà parallela, diversa da quella vissuta quotidianamente fatta da lavoro, studio, famiglia e amici, la realtà diametralmente opposta non è mai sfuggita ai potenti del web, e cioè che non esiste più una realtà perfettamente scindibile da quella digitale, tutto è connesso ed è entrato a far parte delle nostre interazioni, perché il web oltre che da browser, codici e processori è formato soprattutto da persone.

L’accusa che si muove a queste grandi aziende è proprio quella infatti di aver non solo alimentato questa assuefazione dell’utente al mondo connesso, ma anche di averla sfruttata per arricchirsi proprio grazie alle informazioni, e dal momento che il controllo di queste è un monopolio nelle mani di pochi la loro veicolazione è sempre più frequente.

In effetti per prima Facebook è uscita allo scoperto ammettendo le proprie responsabilità soprattutto in occasione della campagna elettorale americana del 2017, terminata con l’elezione di Trump alla casa bianca. La società ha infatti ammesso che un’agenzia russa aveva acquistato spazio pubblicitario sulla piattaforma per 100.000 dollari per promuovere odio verso le minoranze e influenzando notevolmente la campagna elettorale. D’altronde sugli investimenti pubblicitari per le elezioni si era puntato ben 300 milioni di dollari, si può dire che sono state le prime elezioni ad essere vinte in grande parte grazie alle notizie mirate a diversi gruppi sociali – non dimentichiamoci che questi network sfruttano le informazioni dell’utente per far apparire notizie mirate alle sue ricerche nel suo account personale – ma anche grazie alle cosiddette “fake news”, le notizie false e ingannevoli che puntano a disinformale e a diffondere bufale facendo leva su sentimenti e trend del momento.

Il fenomeno delle fake news dilaga sul web in ogni contesto, dalla politica alla medicina, sempre di più infatti le vittime di fake news sanitarie, a sottolineare i pochi filtri di queste piattaforme rispetto al contenuto che viene postato. Un’assenza di filtri che però evidenzia una mancanza di controllo che a volte scuote il web: è il caso dello youtuber americano Logan Paul che ha postato un video del suo viaggio in Giappone nel quale, mentre si trovava nella famosa “foresta dei suicidi”, ha ripreso il cadavere di uomo scatenando moltissime polemiche, o ancora peggio il caso di Steve Stephen che ha ucciso in diretta Facebook un anziano.

Anche in questo caso si sta già correndo ai ripari, sempre Facebook ha dichiarato di voler modificare l’algoritmo grazie al quale gli utenti visualizzeranno meno i contenuti virali o di pagine pubbliche perché sarà dato più spazio alle condivisioni degli amici dell’utente, una sorta di ritorno alle origini insomma, ma l’innovazione difficilmente si accompagna a un tornare indietro. Come ha sottolineato Margrethe Verstager, commissaria per la concorrenza in Europa, quello che ci si dovrebbe aspettare dal mondo del web è infatti un’innovazione che non sottovaluti il proprio potere e la propria influenza, ma nemmeno che lo sfrutti in favore del grande guadagno.

Mentre per il futuro ci si auspica un maggiore controllo di contenuto e una dirigenza responsabile, non si può non ricordare che l’innovazione deve parlare di responsabilità sociale, di mercato equo e democrazia anche nel web.

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