Se non mettiamo davvero le mani “nel fango” delle origini del malessere e della protesta, Pickett ha la sensazione che non ne verremo mai fuori.

Inutile lamentarci o, peggio, sorprenderci, sul successo dei populisti-sovranisti, nonostante i disastri che stanno combinando, se poi continuiamo imperterriti a distrarci e ad evitare di intervenire dove si potrebbe e dovrebbe farlo.

Pickett ha di recente pubblicato una sintesi del pensiero dell’economista americano Paul Krugman, nel quale l’autore evidenzia come la politica fiscale sia l’unico vero strumento per ottenere risultati concreti in termini di riduzione delle disuguaglianze. La vera fonte originaria della rottura dello storico patto intercorso tra le cosiddette élite e il popolo dei penalizzati dalla globalizzazione.

Non sono i “pannicelli caldi” di una norma, tra l’altro mal scritta, come il Reddito di Cittadinanza a risolvere il problema di far diminuire la forbice esistente tra i sempre più ricchi e i sempre più poveri.

Ci vuole ben altro!

Sicuramente nulla che, come la flat tax, riduce, sostanzialmente annullandolo, l’effetto della progressività delle aliquote fiscali, peggiorando ancora di più il peso delle tassazione a carico di chi produce meno reddito.

Nei giorni scorsi, su La Stampa è intervenuto su questo tema il professor Guido Alfani della Bocconi, ribadendo tesi che Pickett sta trattando da mesi su questo blog.

Sotto il titolo “Solo il fisco riduce il GAP ricchi-poveri” (la stessa tesi di Krugman, secondo cui bisogna tassare i più ricchi sino ad aliquote intorno all’80) l’autore parte da un dato statistico: “Il 10% più ricco degli italiani di oggi possiede circa il 56% della ricchezza complessiva”.

Questa quota, udite-udite, è analoga a quella stimata per il Piemonte e la Toscana intorno al 1300, in pieno Medioevo insomma. “Dunque – afferma provocatoriamente il prof. Alfani – la nostra società non è dunque più egalitaria di quella del Medioevo, almeno da questo punto di vista. Un secolo e mezzo dopo troviamo una diseguaglianza anche superiore a quella odierna: intorno al 1450, infatti, il 10% più ricco possedeva il 46% della ricchezza in Piemonte e il 51% in Toscana. Nel 1910 la quota del 10% più ricco degli italiani era pari al 78% della ricchezza globale, molto superiore a quella attuale. In Italia, come nel resto d’Europa, la disuguaglianza si darebbe poi ridotta decisamente nei decenni successivi a causa degli effetti delle due guerre mondiali”.

Dobbiamo quindi accettare un destino ineluttabile di disuguaglianza sempre crescente? “Fortunatamente no – ha sostenuto Alfani – la disuguaglianza infatti continuò a declinare una volta terminata la II Guerra Mondiale per effetto delle politiche redistributive e di welfare allora assai popolari in occidente. Questo è un primo indizio del fatto che la distribuzione della ricchezza e del reddito almeno in parte è sotto il nostro controllo”.

Secondo il professore della Bocconi: “La storia ci insegna che i sistemi fiscali sono la vera chiave di volta di ogni politica seria che ambisca a ridurre le disuguaglianze e la povertà. Pertanto, se ci poniamo l’obiettivo di costruire una società più uguale e più inclusiva – e quasi certamente più stabile e anche, forse, più felice di quella attuale – dobbiamo riflettere con attenzione sulle riforme future. Dobbiamo evitare, infatti, di ridurre il carattere di progressività del nostro sistema fiscale”.

Invece di ridursi a lotte interne al partito oppure allo sbandierare manifesti o programmi velleitari e difficilmente attuabili, non sarebbe auspicabile che coloro che si dichiarano (o sono) contrari alle politiche dei populisti-sovranisti, si mettessero al lavoro per stendere un programma politico che, a breve termine, tenendo conto dei disastrosi numeri della nostra attuale finanza pubblica, inserisca al primo posto delle priorità da affrontare e risolvere l’ormai insopportabile disuguaglianza esistente? Come? Con l’adozione di una nuova politica fiscale basata su una reale, efficiente e possibile lotta all’evasione e su una rivisitazione delle aliquote esistenti con un peso maggiore a carico delle fasce alte.

Il riappropriarsi di un adeguato potere di acquisto da parte delle classi medio-basse, quelle maggiormente falcidiate dalla crisi dell’ultimo decennio, scatenerebbe, ad avviso di Pickett, un meccanismo emulativo virtuoso che potrebbe rompere il trend attuale, purtroppo in fase di consolidamento, prodromico di una nuova recessione prolungata. Recessione che sarebbe esiziale per il nostro paese ma anche per l’Europa.

Stiamo a vedere.

 

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