Ho letto recentemente un articolo apparso su D di Repubblica che parla di un robot umanoide chiamato Sophia, realizzato a Hong Kong dalla Hanson Robotics nelle persone di David Hanson e Ben Goetzel.

Sophia è l’essere digitale che più avvicina gli umani ai replicanti ed ha caratteristiche straordinarie: parla un buon inglese, risponde alle domande e addirittura ne fa, ricorda e memorizza persone e situazioni, interagisce con una certa autonomia, canta, rilascia interviste, partecipa ai talk, medita, ha il senso dell’umorismo, medita. In altre parole “vive”.

Sophia è dunque un caso evidente del contrasto esistente tra progresso scientifico ed etica; il progresso scientifico può e deve procedere liberamente o deve avere un freno nell’etica?

In linea teorica la risposta può apparire piuttosto semplice: il progresso scientifico deve avere come unico obiettivo il bene ed il progresso dell’umanità, ma nel concreto la risposta appare tutt’altro che semplice.

Esempio emblematico è la ricerca nucleare, un sicuro progresso scientifico, visto all’inizio come un valore positivo per l’umanità che, proprio in queste ore, mette a rischio l’esistenza della stessa.

È nota al riguardo la grave crisi di coscienza che sconvolse la vita degli scienziati di Los Alamos e di via Panisperna a Roma (ricordo la scomparsa di Maiorana) quando si resero conto degli sviluppi militari della loro scoperta.

L’intelligenza artificiale è anch’essa un progresso per l’umanità o cela, come nel caso della ricerca nucleare, un rischio per la stessa?

Non credo sia questa la sede per affrontare un tema di così ampia portata, né per esaminare i problemi etico-giuridici che l’evoluzione dei robot umanoidi comporta.

Fanno riflettere però le parole di alcuni illustri pensatori della nostra epoca:

Stephen Hawking: L’intelligenza artificiale potrebbe distruggere la nostra civiltà;

Nick Bostrom: L’automa potrebbe trasformare l’essere umano da suo creatore a suo sottoposto;

Elon Musk: Saranno i robot a causare la terza guerra mondiale (con buona pace di Trump e del dittatore coreano!).

Nel leggere la storia di Sophia mi è tornato alla mente il film 2001 Odissea nello spazio diretto da Stanley di Kubrik ed uscito nelle sale nel lontano 1968.

Per i pochi che non l’avessero visto ricordo, in estrema sintesi, che si narra di una spedizione spaziale in cui il computer di bordo, Hal 9.000, controlla il funzionamento della astronave ed addirittura dialoga con l’equipaggio.

Ad un certo punto HAL si ribella, per cui gli astronauti decidono di disattivarlo ma, con grande sorpresa e turbamento dello spettatore, la disattivazione provoca una vera e propria agonia di Hal che manifesta chiaramente di avere paura di “morire”.

Ed allora la domanda che mi pongo è: un giorno anche Sophia avrà paura di “morire”?

 

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