“42”. Questa l’enigmatica risposta che un super computer, appositamente costruito, fornisce ai suoi creatori alla domanda “Qual è il senso della vita?” nel libro “guida intergalattica per autostoppisti” di Douglas Adams.

E se pensate che costruire una macchina estremamente potente per superare i limiti della mente umana sia roba da fantascienza allora non conoscete Jurgen Schmidhuber, definito il papà dell’intelligenza Artificiale, che lavora a una tecnologia che sia potenzialmente in grado di risolvere qualsiasi tipo di problema, dopo aver in passato elaborato algoritmi alla base del funzionamento di Siri o Google Translate.

Il professor Schmidhuber pronostica un futuro in cui le IA saranno tanto potenti da diventare indipendenti, tanto da arrivare a studiare l’uomo per capire cose come il funzionamento della vita e avviare una colonizzazione dello spazio data la povertà di risorse del nostro pianeta. Ma un Computer potrebbe davvero batterci e abbandonarci? Batterci probabilmente sì, abbandonarci forse no, dato che un IA, almeno a ragionare logicamente, dovrebbe rimanere uno strumento nelle mani degli uomini, e che difficilmente potrebbe sviluppare aspirazioni proprie dato che per arrivare a ciò un’IA dovrebbe imparare dall’uomo la necessità di riprodursi e crescere, entrambe cose che avrebbe poco senso insegnare a una macchina che dovrebbe essere pensata per fini pratici, esauriti i quali probabilmente semplicemente si arresterebbe.

Gli algoritmi sono usati oggi ad esempio per la comminazione di pene in alcuni tribunali degli Stati Uniti, questo non significa che questi algoritmi si interroghino sul senso della giustizia o in qualche maniera ricerchino informazioni diverse da quelle che gli sono state fornite.

Per raggiungere un risultato come quello prospettato da Schmidhuber, e avere quindi un IA che abbandona l’uomo per perseguire scopi personali, bisognerebbe crearne una a cui cercare di insegnare la consapevolezza di sé o la percezione (reale o meno) di un disegno divino, e aspettarsi che la risposta possa venire da un computer che ragiona pur sempre sulla base di schemi matematici, e che dovrebbe arrivare a operare nel campo della metafisica sulla base di dati empirici, a meno che non si voglia semplicemente immaginare un computer alimentato da una costante fame di energia che abbandoni la Terra alla ricerca di più potenza, nel qual caso bisognerebbe insegnare a un IA la paura della Morte, concetto che ha poco senso se riferito a un sistema informatico il quale non soffre e non muore.

Piuttosto si potrebbe temere un futuro in cui un’eccessiva fiducia nelle IA e una loro gestione poco assennata potrebbe portare a vivere in balia di scelte fatte da macchine che non siamo in grado di controllare.

Per evitare una situazione di questo tipo è auspicabile una presa di coscienza e una regolamentazione delle IA, in particolare di quelle a cui potrebbe essere affidata l’esecuzione di compiti non solo di mera routine ma anche di vere e proprie scelte politiche o gestionali che impattano e condizionano la vita delle persone.

Il futuro è incerto e per questo affascinante, non bisogna però certo abbandonarsi alle fantasie o rischiare di farsi travolgere da problemi affrontati con leggerezza.

Riccardo Apa

Comments (1)
  1. alberto (reply)

    19 Luglio 2018 at 15:18

    Alla fine una macchina è sempre una macchima. Potrà fare calcoli sempre più veloci, ma non potrà mai avere la coscienza di sè, al massimo ragionerà in base agli input che avrà ricevuto, che sono in realtà dei pre-giudizi che impostano e guidano le sue attività successive. Lo afferma Giulia Baccarin, la regina italiana degli algoritmi: “I pregiudizi sono sempre esistiti. Una macchina superveloce non farà che applicare in maniera superveloce il “pre-giudizio” con cui è stata impistata.

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