Quando un modello di business non tiene più economicamente, qualcuno pensa di cambiarlo.

Lo abbiamo visto centinaia di volte nel mondo dell’economia, della finanza e degli affari.

Nulla di strano Gente …. è la legge del mercato, direbbe qualcuno.

Questa volta la rivoluzione, o meglio la tentata e goffa rivoluzione, ha toccato il calcio.

Il mondo dello sport business dove i soloni, fino a qualche giorno fa, ci raccontava le meraviglie della loro abilità a far quadrare, nonostante le difficoltà del contesto, i conti economici e i risultati sportivi dei loro club.

In realtà non c’è modello di business che tenga quando la struttura dei costi è così pesante e in via di rialzo: non esiste politica di marketing che possa sorreggerla nel tempo con adeguati ricavi.

Questa è la legge degli affari nonchè l’esperienza maturata in qualsiasi settore dello sport o dell’industria o della finanza.

Le spese folli non sostenibili, prima o poi, creano dei buchi nei conti economici e allora si incomincia a pensare a soluzioni miracolistiche per uscire dal buco nero.

Qui entra in gioco la finanza con i suoi satanici strumenti per trasformare in profitti quelle che sono oggettivamente delle perdite accumulate e in via di aumento geometrico.

Quale è il problema?

Cartolarizziamo i ricavi prospettici, in altre parole scontiamo i futuri introiti prevedibili, facciamo cassa subito e poi …. vedremo!

Brillante idea: soluzione già vista e sperimentata a danno dei risparmiatori della borsa che, nel giro di qualche tempo, si sono visti polverizzati i loro soldi a causa di qualche “anomalia imprevista” che aveva fatto saltare il banco travolgendo i loro risparmi e non, invece, i responsabili del fallimento dell’operazione.

Nel mondo del calcio sta succedendo la stessa cosa.

Dopo anni di bagordi, la macchina si è inceppata.

La pandemia ha accellerato il processo di emersione delle perdite non più gestibili “sotto il tappeto”.

Gli stadi senza pubblico hanno portato a zero i ricavi da ticketing, ma soprattutto i giovani stanno abbandonando il calcio per altri sport o per altri divertimenti alternativi.

Le televisioni che gestiscono i diritti sportivi, strapagati ai club, fanno fatica a trovare il pareggio di bilancio. I ricavi da abbonamenti diminuiscono.

Un disastro che ha spinto i club più indebitati a tentare lo strappo. A cercare di far saltare il tavolo proponendo il progetto della Superlega che, con il supporto di una delle più grandi e famose banche d’affari americane, la J.P. Morgan, avrebbe consentito a 12 squadre, e soltanto a loro nella sostanza, di risolvere i loro problemi economici per sempre.

Come mai invece di saltare il tavolo è saltato … il progetto?

Perché i grandi geni della finanza e dello sport business non hanno calcolato, come stanno ammettendo tristemente in queste ore, la reazione dei tifosi.

Della Gente, di noi appassionati di calcio che, proprio per questo, andiamo a vedere le partite dal vivo o in televisione, paghiamo il biglietto o l’abbonamento televisivo, acquistiamo tutti i gadget della nostra squadra del cuore. Perché amiamo il calcio con le sue imprevedibilità, anche arbitrali.

Sappiamo che il pepe di questo sport non è rivedere 5 o 6 volte un Juventus-Real Madrid ogni anno, ma assistere ad un Juventus-Benevento in cui vince la squadra sulla carta più debole, come accaduto di recente.

Con tutte le alternanze umorali del caso, viviamo visceralmente i risultati delle nostre squadre del cuore.

Proprio questo ultimo termine non rientra però nel vocabolario dei nostri geni della rivoluzione della Superlega, che hanno fatto il blitz senza tenere in conto proprio il cuore e la passione dei propri tifosi, quelli che tengono in piedi il carrozzone del calcio.

Riccardo Cucchi, storico telecronista sportivo, ha scritto una brillante sintesi di quanto è accaduto: “Sono stati Florentino Perez e gli altri club fondatori ad alzare l’asticella, a spendere troppo e male, a far crescere vertiginosamente gli ingaggi e le commissioni a certi agenti. A creare insomma le premesse delle loro crisi finanziarie. E in qualche caso sportive”.

Aggiungiamo noi: cercando di risolvere i problemi causati al mondo del calcio con le loro sconsiderate spese, facendo pagare il prezzo della riforma agli altri. Ai club sani, a quelli che, con fatica, cercano di far quadrare i conti vendendo i pezzi migliori ogni anno e investendo sui giovani.

E adesso cosa succederà?

Il magazine tedesco Der Spiegel ha rivelato il contenuto del contratto firmato dalle 12 squadre aderenti alla Superlega: 167 pagine con una disciplina ferrea, articolate con clausole molto severe per le parti inadempienti.

Soprattutto, un contratto che prevede penali multimilionarie per chi fa il furbo e vuole recedere dal “patto di sangue” come lo ha definito Andrea Agnelli fino a qualche ora prima del fallimento del progetto.

Adesso il presidente della Juventus, il promotore con Florentino Perez dell’iniziativa carbonara, al di là della terrificante figuraccia fatta, si trova stretto in una morsa: da un lato rischia di vedersi richiedere i danni da tutti gli altri club italiani per aver boicottato la cessione dei diritti televisivi  (il progetto di una media company partecipata anche dalla Lega Calcio) con un mancato incasso di qualche miliardo di euro; dall’altro se, come sembra, intendesse uscire dal “patto di sangue”, rischierebbe di pagare delle penali salatissime ai superstiti del progetto.

La vicenda, secondo ricostruzioni attendibili, ha deteriorato anche i rapporti personali di Agnelli con i responsabili della Lega Calcio da un lato e con quelli della Uefa e Fifa dall’altro.

L’accusa unanime è di aver trattato per mesi su tavoli diversi la risoluzione dei problemi economici collettivi, badando, nella realtà, solo ai propri interessi e fregandosene degli altri.

Un bilancio pessimo sia dal punto di vista economico sia soprattutto etico.

Il cognome che porta avrebbe dovuto richiamarlo ad una maggiore responsabilità nella conduzione delle trattative e delle relazioni con i colleghi delle altre squadre, oltrechè con i vertici delle organizzazioni nazionali ed internazionali.

Ha fatto il furbo con arroganza e presunzione, finendo nell’angolo, dal quale adesso farà fatica ad uscire indenne.

Lo zio Gianni, soprattutto dal punto di vista dello stile, non sarebbe per nulla contento del nipote … nonostante i 9 scudetti recentemente conquistati.

Il giovane Andrea si è scordato evidentemente di una piccola e privata lezione di famiglia: “Remember you are an Agnelli” insegnavano, infatti, le fraulein ai giovani rampolli del Senatore fin dai primi anni di vita.

Comments (1)
  1. Riccardo Tosi (reply)

    5 Maggio 2021 at 0:12

    Bel pezzo Riccardo! L’arroganza del potere ha prevalso nel tentativo, per fortuna fallito, di partorire una creatura deforme! Si è perso il senso della misura e con esso lo stile che apparteneva ad altre generazioni e che per queste è un optional. La scellerata rincorsa ad ingaggi stratosferici e sconsiderati ha mostrato la corda e il rimedio a cui sono ricorsi si è rivelato un toccasana peggiore del male da curare! Non parliamo di cuore poi. Laddove prevalgono i Raiola non può esserci sentimento. Intendiamoci, loro esercitano un mestiere (fatico a definirla professione) che li autorizza ad essere asettici, sono i loro assistiti che dovrebbero far prevalere il cuore (vero Gigio?!) se davvero si sentissero indissolubilmente legati alla maglia che indossano. Al punto da baciarla! Infine lo spettacolo, per quanto attraente, non è tale da giustificare ingaggi plurimilionari come quelli che si conoscono. E’ bastata l’assenza di pubblico per far deragliare tutto, o quasi, il sistema calcio.

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