Il Governo sta facendo i conti per predisporre una finanziaria… senza risorse! Si immaginano quindi tagli, sacrifici, rinunce. A farne le spese ci sarà pertanto anche la “Sicurezza” e cioè il sistema di ordine pubblico destinato a proteggere l’incolumità di noi cittadini. In un recente articolo proprio sul tema della necessità di aumentare le risorse per la lotta contro il crimine, ci eravamo posti due criticità/traguardi da risolvere/raggiungere: (i) risorse maggiori alle forze dell’ordine per attivare una prevenzione, soprattutto dei reati contro i soggetti deboli (donne, minori, disabili, ecc.), concreta, visibile ed efficiente; (ii) un maggior supporto della magistratura in termini di rigorosità nell’accertamento e condanna di tutti questi gravissimi tipi di reato. Di fronte ad una catastrofica contabilità sempre più in aumento di femminicidi, di violenze sessuali, di maltrattamenti, siamo tutti bravi a gridare sui media e sui social il nostro disgusto, la nostra angoscia, la nostra pretesa di cambiamento. Ma poi non succede nulla!

La politica apparentemente sembra disposta a rispondere a queste fondamentali esigenze degli italiani in modo pronto ed efficiente… sui giornali. Nella realtà poi riduce le dotazioni finanziarie al Ministero degli Interni. Alcuni magistrati, con interventi pubblici anche sui giornali, sottolineano da parte loro la necessità di decisioni giudiziali che, sempre nel rigoroso rispetto della normativa vigente, siano però severe nell’applicazione di pene, poi veramente scontate dai condannati. Il Paese ha bisogno di risposte lucide, precise, coerenti con una situazione generale che sta assumendo dimensioni preoccupanti. Due recentissimi esempi ci fanno capire, purtroppo, che siamo ben lontani dalla risoluzione di questi problemi.

Il caso della Procura di Brescia

La notizia è apparsa su tutti i media: un Pubblico Ministero di Brescia, in un caso di reiterate violenze e maltrattamenti nei confronti della moglie, ha chiesto l’assoluzione del marito per ragioni culturali. Sì, ha usato esattamente questo vocabolo, quasi potesse rappresentare un esimente contro uno dei reati più odiosi che esistano e che vengono raramente denunciati: le violenze domestiche tra i coniugi. Vediamo il caso concreto. Nel 2019 una giovane di 27 anni originaria del Bangladesh ed emigrato poi nel nostro Paese, denunciava il marito per reiterati maltrattamenti e violenze. Nella denuncia, la donna dichiarava di essere stata costretta a sposarsi con un matrimonio combinato nel suo paese tra la sua famiglia e quella del promesso sposo. Fin da subito la giovane veniva praticamente segregata in casa subendo ogni tipo di umiliazione e di violenza fisica e psicologica. In questo quadro, esposto analiticamente nella denuncia, nei giorni scorsi, un Pubblico Ministero di Brescia ha chiesto, come dicevamo, l’assoluzione del marito perché “I contegni di compressione delle libertà morali e materiali ci sono stati, ma sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua (n.d.a.: del marito) coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima”.

Dunque tutte le violenze subite dalla giovane mamma di due bambini in casa, in Italia, a Brescia, rientrerebbero, secondo il Magistrato, nel campo dei reati culturalmente orientati, per cui di conseguenza l’uomo dovrebbe essere assolto: “La disparità tra l’uomo e la donna – si legge nel provvedimento del PM bresciano – è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine”. Come se non bastasse, quando in sede dibattimentale i fatti denunciati sembravano essere stati provati adeguatamente, il PM aggiunse: “Si tratterebbe di condotte episodiche maturate in un contesto culturale che, inizialmente accettato dalla parte offesa, si è rivelato per costei nei fatti intollerabile, proprio perché cresciuta in Italia”. Dunque, la colpa della donna sarebbe quella di aver vissuto in una società laica e civilizzata, con delle regole che impongono il rigoroso rispetto tra i generi.

Il provvedimento del PM ha scatenato ovviamente polemiche e commenti negativi. Rimane però un dato acquisito: anche nella magistratura esistono correnti di pensiero (il caso che citavamo nell’altro contributo del giudice di Firenze che ha assolto degli stupratori per mancanza della volontà di violentare la vittima!) che tendono a proteggere i protagonisti di violenze psicologiche o fisiche assolutamente… indifendibili! L’uomo del Bangladesh, marito della sua concittadina, nel momento in cui sceglie di lasciare il suo paese di origine e quindi di lasciare il quadro culturale e normativo del suo paese natale, venendo in Italia, non può pensare di mettere in atto condotte che nel nostro Paese sono rigorosamente vietate. Il principio dell’accoglienza, sacrosanto e da difendere anche contro le derive populiste, si fonda però su un principio non negoziabile: tutti coloro che vivono in Italia devono rispettare la legge perché in caso contrario diventano responsabili di reati che comportano la galera.

“Tagli” alla sicurezza

Il Ministro Piantedosi lo ha detto chiaramente a Cernobbio, al Forum Ambrosetti: “I fattori di legalità non devono far parte della contrazione della spesa”. Lo avevamo già scritto e riscritto nei precedenti interventi su questo tema: la prevenzione dei reati si realizza con una presenza fisica dello Stato, attraverso le sue forze di polizia, sul territorio. Le vittime di una violenza devono avere la certezza che in caso di denuncia saranno poi protette nei confronti delle vendette dei loro violentatori o assassini. Questo non sta accadendo e questo impone allo Stato di aumentare e non diminuire le risorse finanziarie destinate al rafforzamento delle forze di ordine pubblico sul territorio. Il grido d’allarme di Piantedosi riguarda una situazione incredibile: quest’anno mancano all’appello almeno 11.000 carabinieri, quasi il 10% della forza prevista.

La polizia è carente di circa 20.000 agenti

Nei mesi scorsi, in Parlamento, il comandante generale dell’arma, il generale Teo Luzi, ha dichiarato: “Il saldo negativo pesa molto sulla struttura organizzativa, condizionando in particolar modo l’operatività e le unità minori: le stazioni e le tenenze”. Proprio quei punti di riferimento fisici per le vittime di una violenza che dovrebbero garantire loro la sicurezza e che invece chiudendo o avendo personale o orari operativi ridotti, lasciano, abbandonandole al loro destino, le vittime senza una reale tutela preventiva. “Diciamola tutta – ha dichiarato recentemente il segretario del sindacato di polizia Felice Romano – il controllo del territorio come era una volta ormai ce lo sogniamo. Poco personale significa avere poche volanti”.

Scriviamo questo articolo quando in Parlamento le Commissioni stanno discutendo  la nuova legge finanziaria: speriamo che non siano così distratte da prevedere tagli orizzontali alle spese in tutti i ministeri e tali quindi da rendere ancora più critica l’organizzazione delle forze dell’ordine. E’ inutile raccontarci sui giornali o nei salotti che la repressione della violenza di genere o comunque della violenza sessuale è una priorità assoluta nel nostro Paese… se poi, quando c’è da decidere l’allocazione delle risorse, si finisce col parlare di tagli e non di incrementi.

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