Ci sono segnali forti di voglia di cambiamento.

Si sentono tra la gente, nei talk show, alla radio, nelle comunità anche in regime di semi-lockdown.

Si leggono nei libri dei sociologi, degli economisti, dei filosofi.

Li sentiamo, dentro di noi… ma forse non capita a tutti!

Una voglia di una vita migliore, di qualità umana e relazionale superiore, diversa dal malessere covato negli ultimi dieci anni e ancora aumentato dalla tragedia pandemica.

Si auspica una società più giusta, più equa, con meno disuguaglianze e più solidarietà.

Con più meritocrazia e meno burocrazia.

Andrea Rapaccini, su queste colonne, ha lanciato un sasso.

Un lampo di fiducia e di speranza che il mondo stia davvero cambiando perché la maggior parte dei suoi cittadini vuole cambiare il modello economico esistente.

Quello di un capitalismo finanziario e speculativo che ha traumaticamente reso più ricchi i sempre più ricchi e più poveri i sempre più poveri.

La povertà, ci ricorda l’ISTAT, ha raggiunto livelli esplosivi, anche a causa della pandemia.

Gli italiani che vivono in uno stato di indigenza totale sono ormai oltre i cinque milioni e mezzo. Un milione in più di quanti fossero nel marzo scorso.

Vuol dire che oggi quasi un italiano su dieci (il 9,4%) non riesce a far fronte ai bisogni essenziali come mangiare, curarsi, coprirsi dal freddo.

C’è una frase di Ermanno Olmi – scrive Carlo Verdelli sul Corriere della Sera – più facile da ricordare di una cifra “Bisognerebbe andare a scuola di povertà per contenere il disastro che la ricchezza sta producendo”. Sommare alla ricchezza, intesa come bulimia di guadagno sterile, che cioè non produce né valore né frutti, i guasti profondi che sta scavando la pandemia, dà un’idea dell’emergenza che le stime dell’ISTAT hanno radiografato. Un’infezione sociale che sta interessando e affollando troppi italiani. L’agenda delle priorità in vista dei fondi sperabilmente in arrivo dall’Europa, dovrebbe includere un capitolo che ancora non c’è: “progetto dignità: per non abbandonare una parte del paese alla deriva”.

Nel 1945 Ernesto Rossi, uno dei più brillanti intellettuali dell’antifascismo, scrisse un famoso saggio intitolato “Abolire la miseriaimmaginando un programma di interventi per garantire a tutti i cittadini una vita decorosa.

Servì quasi come un indice di cose da fare per quella classe dirigente che gestì la rinascita del Paese.

Il 28 settembre 2018, 73 anni più tardi, alcuni festanti ministri del governo Conte 1 si affacciarono al balcone di Palazzo Chigi gridando “Abbiamo abolito la miseria”.

Uno slogan politico che era abbinato all’approvazione della legge sul reddito di cittadinanza.

Un’idea in astratto giusta che si sta rivelando però assolutamente velleitaria e di scarso impatto sugli italiani che ne avrebbero davvero bisogno.

Ci vuole un nuovo paradigma economico – ha sottolineato Rapaccini – che non punti solo e soltanto alla massimizzazione del profitto”. Che, al primo accenno di una crisi, non preveda soltanto licenziamenti in massa senza proporre la riqualificazione dei licenziati.

I consumatori iniziano a premiare le aziende produttrici di beni e servizi che si pongono obiettivi di sostenibilità sociale e ambientale.

Selezionano e abbandonano quelle indifferenti a queste priorità.

La politica – sostiene Rapaccini – deve darsi un ruolo e un compito diverso. Non da operatore di mercato, ma da arbitro severo che le regole siano rispettate”.

Anche dal mondo della finanza arrivano segnali di cambiamento, di nuove sensibilità.

Si accetta un guadagno “più lento” purché ci sia un impatto sociale, un’attenzione particolare a chi è rimasto indietro e alla salute del pianeta.

Forse siamo davvero ad una svolta.

Da una economia cinicamente soltanto Estrattiva stiamo avviandoci verso un modello Rigenerativo?

Abbiamo trovato alcuni riscontri, proprio in questi giorni, su tale “rivoluzione in atto” e abbiamo pensato di socializzarveli per aprire nuovi confronti, avviare le discussioni, collaborare a questo nuovo trend mirato a modificare il “totem” del profitto ad ogni costo, riconvertendolo in un tentativo di coniugare sostenibilità con responsabilità sociale dell’impresa, crescita e sviluppo con minori disuguaglianze, gestione dei beni comuni nel rispetto della proprietà privata.

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