Nulla di fatto! A Bruxelles si vivono giorni di frustrazione: tutti i principali dossier sono bloccati da veti reciproci.

Price Cap del Gas e dell’Oil, flussi migratori, sono alcuni dei temi più importanti che vedono lo scontro tra i vari stati membri, uno scontro che porta ad un permanente stallo con una sequela di continui rinvii e scontri mediatici.

La chiusura del microfono, auspicabilmente momentanea, tra Berlino e Parigi non aiuta certo a sbloccare la situazione… anzi!

La convivenza tra Ursula von der Leyen e Charles Michel ha raggiunto un livello bassissimo dal punto di vista relazionale.

I due leader dell’Unione Europea (Commissione e Consiglio Europeo) sembrano una coppia di separati in casa.

Non si sono mai amati troppo (ci ricordiamo tutti l’imbarazzante fotografia della visita istituzionale dell’Unione Europea ad Ankara quando Erdogan si “dimenticò” di offrire una poltrona alla von der Leyen e Michel si accomodò sulla sua senza “colpo ferire” e senza difendere la dignità di Ursula!) ma le buone relazioni tra Macron e la Merkel prima e Scholz dopo avevano in qualche modo obbligato i due massimi esponenti della governance dell’Unione Europea ad avere almeno apparentemente una collaborazione virtuosa.

Oggi la situazione è ben diversa e tutti i dossier sono cristallizzati senza intravvedere soluzioni a breve termine.

Le questioni della politica energetica e della politica dei flussi migratori sono rilevanti, per non dire decisive, per una partnership virtuosa tra i paesi membri.

Da affrontare e risolvere in un’ottica comune e non individuale.

Se davvero il progetto europeo è ancora una priorità nell’agenda del futuro del nostro continente, è necessario che i leader dei vari governi si facciano carico di superare gli egoismi nazionali e di ritrovare il bandolo di una matassa che sembra sempre più complicata e aggrovigliata.

Tutto ciò tenendo conto che il rischio di un risveglio dei partiti populisti e nazionalisti è sempre molto alto e che proprio a Bruxelles sta circolando una teoria, anche originata da ambienti italiani, secondo cui, preso atto del sostanziale fallimento delle politiche comuni su energia e migranti, sarebbe meglio programmare un piano B: trovare soluzioni nazionali che in qualche modo possano attutire le conseguenze economiche e sociali di due temi rilevanti come l’aumento della bolletta energetica e il rilevante flusso dei migranti verso l’Europa dai paesi in guerra o da quelli che soffrono di carestie alimentari.

Se Bruxelles non risolve e offre soluzioni efficaci, ognuno andrà per la sua strada.

E’ inutile per noi italiani – si incomincia a sentire – illuderci che gli altri stati europei ci diano una mano sia sul gas sia sui migranti.

E’ stata considerata quasi una beffa la proposta della Commissione di un tetto al prezzo del gas a 270 euro!

Una presa in giro tardiva ed inefficace che infatti è stata respinta al mittente.

Stesso discorso vale per l’impegno, seppur su base volontaria, del riparto tra i vari stati dei migranti extra europei.

Anche qui i numeri dimostrano che si è trattato di un accordo rimasto tristemente …sulla carta.

Che fare?

Alcuni ipotizzano l’avvio di un piano B, per il nostro Paese, sulla scia di cosa aveva incominciato a fare il governo Draghi sul fronte della politica energetica.

Accordi bilaterali, con paesi africani produttori di gas, che possono offrire all’Italia l’opportunità di diventare un hub energetico per l’Unione Europea senza, in tal modo, essere sempre sotto ricatto da parte di altri stati membri.

La soluzione del tetto ai prezzi non ci sarà per mancanza di consenso all’interno dell’UE.

Il nostro Paese però, sin dalla scorsa primavera, ha dimostrato, grazie all’Eni, una notevole capacità di sottoscrivere accordi che assicurino nei prossimi anni un sufficiente flusso di fornitura di gas via tubo e via nave.

Questo indirizzo di pensiero non mira a scardinare l’Unione Europea ma punta ad evitare che il nostro Paese rimanga “con il cerino in mano”, senza il supporto dei propri partner, in una materia così importante come quella energetica.

Non si tratta di “buttare a mare” il progetto europeo, di abbandonare il programma strategico di una “euro convergenza”, ma semplicemente di tutelare gli interessi primari del nostro Paese se Bruxelles non è in grado di dare risposte adeguate.

Analogo approccio esiste anche per il tema relativo all’immigrazione.

Dobbiamo convincerci che ci serve capitale umano di buona qualità per compensare un declino demografico ormai irreversibile: c’è una stretta relazione tra PIL, costo delle pensioni e numero degli addetti impiegati nel mondo del lavoro.

Per questo motivo, nel piano B, si ipotizza una strategia fondata su tre punti:

  1. Blindare i confini attraverso un controllo rigoroso di coloro che cercano di entrare nel nostro Paese in modo clandestino;
  2. selezionare capitale umano (sia per gli immigrati illegali sia per i legali, sia anche per gli emigrati italiani all’estero da stimolare per un loro ritorno in patria): solo così potremo in qualche modo imitare la Germania che negli ultimi 10 anni, come dimostrano le statistiche, ha accolto decine di migliaia di immigrati “di qualità”, inserendoli nel proprio tessuto economico e non chiedendo mai alcuna redistribuzione;
  3. costruire un sistema di formazione degli immigrati selezionati per inserirli velocemente nel mercato, in quei mestieri dove c’è parecchia domanda ma non c’è offerta.

Qualsiasi nazione europea che riuscisse, nel prossimo futuro a controllare i flussi migratori nel proprio paese, selezionandoli e formandoli per attività bisognose di nuova manodopera, acquisirà un valore competitivo enorme rispetto agli altri partner.

Per poter pensare di costruire un progetto del genere, bisogna però creare una nuova cultura basata sul considerare il migrante come un’opportunità non come un problema.

Su di lui bisogna investire in formazione perché sarà proprio la sua attività lavorativa a produrre quel valore che rimetterà auspicabilmente in equilibrio il nostro PIL, il pagamento delle nostre pensioni, il numero degli addetti che pagano i contributi della previdenza.

Come ha scritto recentemente Carlo Pelanda potrebbe apparire un approccio troppo utilitarista: “l’utilitarismo però potrebbe avere più efficacia umanitaria del moralismo”.

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