Siamo davvero a rischio che qualcuno decida di usare la bomba atomica contro il nemico?
Quasi ogni giorno da Mosca arrivano le minacce di Dimitrij Medvedev, il pupillo-avatar di Putin, usato ed eterodiretto per la propaganda incendiaria contro l’Europa e gli Stati Uniti.
“Colpire i nostri obiettivi – è stato uno degli ultimi slogan di Medvedev – da parte di americani o europei significherebbe iniziare una guerra mondiale, dovreste averlo capito!”
Aggiungendo poi “Sul nucleare nessun bluff: siamo pronti. L’Ucraina per noi è una questione di vita o di morte”.
Provocazioni o minacce velleitarie?
Il dilemma è angosciante per tutte le cancellerie occidentali.
Proviamo ad entrare in questo complicato tema per capirne meglio confini e contenuti.
Una premessa storica, innanzitutto.
Gli americani sono stati il primo paese al mondo ad effettuare un test nucleare (“Trinity”, alle 5.30 del mattino del 16 luglio 1945).
Vale la pena andare a vedere o a rivedere il recente film “Oppenheimer” che racconta la travagliata, difficile, angosciante, soprattutto dal punto di vista etico, vigilia di quell’evento che avrebbe cambiato per sempre la storia dell’umanità.
Gli Stati Uniti sono stati il primo paese … e anche l’ultimo, ad utilizzare una bomba atomica contro un nemico in guerra, distruggendo le città di Hiroshima e Nagasaki agli inizi dell’agosto 1945.
Una devastazione che costrinse il Giappone ad arrendersi e a porre finalmente la parola fine alla Seconda Guerra mondiale.
La Russia si dotò della stessa tecnologia quattro anni dopo, nell’agosto del 1949, in piena Guerra Fredda, lanciando, nei fatti, la corsa agli armamenti che avrebbe trascinato anche gli americani a costruire 70.000 testate, più di tutte quelle prodotte da tutti gli altri stati messi insieme.
Come riportato nella rivista specializzata Nuclear Notebook della Federazione degli Scienziati Americani (FAS), gli Usa sono stati poi, nel 1952, i primi a testare una bomba all’idrogeno.
Proprio quella bomba invocata dal comandante supremo americano nella Corea del Sud, Mc Arthur, e che, fortunatamente, l’allora Presidente Truman rifiutò di utilizzare, licenziando su due piedi il suo comandante sul campo.
Negli arsenali americani esistono oggi (la fonte è sempre quella citata) 4.500 testate, delle quali almeno 1/3 è in attesa di dismissione.
Le testate pronte al lancio sono invece circa 2.300 e alcune di queste sono schierate nelle basi militari americane in paesi stranieri, come l’Italia.
Rispetto al picco del 1966, oltre 31.000 testate nucleari pronte all’uso, oggi il numero di ordigni pronti per il lancio è nettamente inferiore.
I russi, da parte loro, hanno realizzato un test nucleare facendo detonare l’ordigno più devastante della storia: la cosiddetta “Tsar Bomba” fatta esplodere nel 1955 ad una potenza di 50 megatoni.
L’Unione Sovietica ha costruito in totale, sempre secondo la rivista Nuclear Notebook, 55.000 testate dall’inizio del suo programma nel 1949 mantenendone un massimo di 45.000 nel 1986.
Al momento gli arsenali russi sono i più forniti del mondo, con 7.300 testate: 2.800 pronte al lancio, 4.500 a magazzino, con 1.790 ordigni in attesa di dismissione.
Il Regno Unito è stato il terzo paese al mondo a dotarsi di armi nucleari.
Londra aveva collaborato con il team di Oppenheimer al “Progetto Manhattan” che diede vita al primo ordigno nucleare.
Nel primo dopoguerra gli inglesi svilupparono un programma lanciato nel 1952 con il primo test, a cui avrebbe fatto seguito nel 1957 la detonazione della prima bomba all’idrogeno, all’interno dell’operazione denominata “Grapple”.
Anche la Francia, del Generale de Gaulle, entrò nel “Club nucleare” nel 1960 con il primo test denominato “Gerboise Bleue”.
Il Presidente della Repubblica francese, eroe della guerra contro il nazi-fascismo, voleva assolutamente che la Francia mantenesse un rango di potenza mondiale nonostante la sconfitta in Vietnam e il drastico ridimensionamento geo-politico sancito dalla crisi di Suez nel 1956.
Ci ricordiamo tutti, credo, le polemiche non solo degli ambientalisti, per i 179 esperimenti nucleari decisi dall’Eliseo dal 1966 al 1996, nello splendido atollo polinesiano di Moruroa.
Il Presidente francese Chirac appena insediato nel 1995 deliberò il riavvio dei test nucleari dopo la moratoria imposta dal suo predecessore François Mitterand.
Oggi la Francia con 300 testate nucleari pronte all’uso (“La force de frappe”) è diventata la terza potenza al mondo come armamento.
Parigi ha comunque firmato il trattato di non proliferazione del 1992. Oggi il Presidente Macron rilancia il ruolo della Francia come leader della difesa europea contro il rischio russo, basandosi proprio sul suo arsenale atomico.
La rivista specializzata americana registra invece una carenza di informazioni sull’arsenale nucleare cinese.
La Cina è stato l’ultimo dei paesi membri permanenti dell’Onu a dotarsi della bomba nucleare, nel 1964.
Non ci sono notizie certe riguardo all’ammontare dell’arsenale a oggi esistente che viene stimato intorno ai 260 ordigni
Come la Francia anche Pechino decise di sottoscrivere il trattato di non proliferazione soltanto nel 1992.
Dopo questo breve excursus storico, proviamo a fotografare la situazione attuale.
Nove sono le Nazioni che posseggono la bomba atomica e che hanno complessivamente nei loro magazzini almeno 15.000 testate.
Stati Uniti e Russia fanno la parte del leone con il 93% del totale.
Secondo l’ultimo aggiornamento del Nuclear Notebook della FAS attualmente ci sono 1.800 testate nucleari pronte ad essere lanciate con un brevissimo preavviso.
Non dobbiamo scordarci che il numero esatto delle bombe nucleari in possesso di ogni nazione resta un segreto di stato e così anche i report pubblicati periodicamente dagli scienziati del FAS sono necessariamente basati soltanto sulle informazioni disponibili al pubblico.
Il primo trattato di non proliferazione fu sottoscritto il 1° luglio 1968 e ha permesso una riduzione progressiva degli arsenali atomici: soltanto Francia e Israele pare mantengano riserve stabili.
Le maggiori preoccupazioni degli esperti del FAS riguardano però Cina, Pakistan, India e Nord Corea, quattro paesi che continuano ad accrescere il loro potenziale distruttivo.
Tre di loro, Pakistan, India e Nord Corea, appunto, non hanno mai voluto firmare il trattato internazionale sulla non proliferazione dell’armamento atomico.
In base a questa analisi, proviamo a sintetizzare il contenuto di due filoni di pensiero che attualmente circolano sia a livello giornalistico sia a livello diplomatico e politico nel mondo: i pessimisti che registrano un rischio reale di uno scoppio di una guerra globale con l’uso di armi nucleari e gli ottimisti, che considerano l’Armageddon come una “non opzione”.
Iniziamo dai pessimisti che sviluppano la loro tesi proprio alla luce delle ultime esternazioni di Putin e di Medvedev che abbiamo ricordato all’inizio di questo articolo.
La dottrina nucleare russa varata nel 2012 e aggiornata nel 2020 disciplina proprio l’eventuale uso delle armi nucleari: in particolare ne autorizza il lancio in caso “di aggressione con armi convenzionali quando l’esistenza dello stato (n.d.a.: la Russia) sia minacciata”.
Recentemente il New York Times ha pubblicato l’estratto di 29 documenti segreti del Cremlino scritti tra il 2008 e il 2015.
In base a tali documenti la risposta russa in termini nucleari diventa inevitabile a fronte di “Perdite che non consentono di arrestare una aggressione” e determinano “Una situazione critica per la sicurezza della Russia”.
Nel 2020 Putin firmò l’Ordine Esecutivo denominato “Fondamenta della politica di deterrenza nucleare” in cui si giustifica l’uso della bomba atomica anche quando vi sia la necessità di respingere attacchi caratterizzati da una “superiorità delle armi convenzionali del nemico”.
Per questa corrente di pensiero, la decisione dei paesi occidentali di concedere all’Ucraina l’uso delle armi Nato per colpire i territori russi concretizza una delle condizioni specificatamente individuate da Putin nel suo citato Ordine Esecutivo del 2020.
Le condizioni formali per il passaggio della Russia allo scontro nucleare insomma già ci sono, ha scritto Gian Micalessin su il Giornale.
Per evitare dunque l’atomica, dobbiamo sperare che l’utilizzo delle armi Nato non costringa Putin ad affrontare una questione “di vita o di morte” perché in quel caso il Presidente russo avrebbe ben poche esitazioni.
Ovviamente opposto il parere degli scettici, di coloro che ritengono che le minacce dei vertici di Mosca siano solo parte di una propaganda che tende ad indebolire la tenuta dello schieramento avversario sul piano sociale, politico e, da ultimo, militare.
Per questo filone di pensiero, il vero bersaglio della propaganda di Putin e dei suoi accoliti è quello di stressare l’opinione pubblica occidentale.
Agitando lo spettro della catastrofe nucleare, Mosca auspica che saranno le piazze europee ed americane ad indurre i loro governi a scegliere la pace e a ridurre, se non azzerare, il loro sostegno ai nemici della Russia, come l’Ucraina.
Siamo dunque di fronte ad un bluff gestito con grande cinismo dal punto di vista mediatico.
Ci sono tre sostanziali ragioni che dimostrano, secondo gli scettici, che l’Armageddon non è un’opzione reale ma solo una minaccia velleitaria.
La prima è che esiste la Nato che ha salvaguardato la pace in Europa per oltre 75 anni sulla base dell’equilibrio del terrore e cioè della teoria della “distruzione reciproca assicurata”, nel caso che una parte usasse l’atomica.
L’altra parte avrebbe infatti il tempo e il modo di rispondere con una potenza devastante equivalente, se non superiore.
Insomma non solo nessuno può vincere una guerra nucleare, ma nessuno può inoltre illudersi di avviarne una limitata secondo i suoi disegni.
La seconda ragione si chiama Cina.
Pechino non può permettersi di diventare complice di una nazione che compia un’aggressione atomica. Ed è per questo che Putin non può permettersi di violare questo patto di sangue stipulato con Xi Jinping.
La terza e ultima ragione è relativa all’organizzazione della catena di comando intorno a Putin
Esiste infatti una procedura scritta per arrivare a “pigiare” il bottone per il lancio di una bomba atomica.
La procedura prevede una filiera decisionale in cui nessun leader, da solo, possa assumere tale decisione.
La catena di comando militare russa è sufficientemente complessa per farci sperare che il buon senso prevalga: come ha scritto Roberto Fabbri recentemente, i generali sono i primi a sapere cosa accadrebbe alla Russia se innescasse un conflitto nucleare.
Questo è dunque il quadro della situazione.
Un quadro sicuramente complesso, preoccupante, da non sottovalutare.
Le ultime dichiarazioni pubbliche di Putin rilasciate al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, la Davos russa, ci portano a mantenere un filo di speranza.
Le parole di Putin sono state ragionevolmente e preventivamente concordate con Pechino e tendono a ridurre se non azzerare il rischio nucleare: “Non abbiamo bisogno di armi atomiche per la vittoria finale – ha detto Putin – facendo ricorso al nucleare la vittoria arriverebbe più velocemente ma la salute dell’esercito russo è più importante di ogni altra cosa”.
Insomma, la situazione apparentemente è sotto controllo ma sarebbe da folli sottovalutarla.