C’è una località geografica in Italia che “magicamente” è riuscita ad unire, almeno per una volta, i berlusconiani e gli anti-berlusconiani. In quella base dell’aeronautica militare italiana a Pratica di Mare, Silvio Berlusconi riuscì a realizzare un miracoloso evento che gli diede una notorietà e un consenso internazionale incredibile. Ancora oggi, in queste ore di “estremismo lessicale” nel ricordo delle sue gesta imprenditoriali e politiche, sia i “pro”, sia i “contro” le condotte del Cavaliere, si ritrovano concordi nel ritenere che quel giorno, quel 28 maggio 2002, Silvio Berlusconi dimostrò tutto il suo straordinario talento dando l’impressione a tutti gli abitanti del nostro pianeta, di aver favorito una stretta di mano tra i leader della Russia e degli Stati Uniti, prodromica ad una pace mondiale dopo tutti i rischi vissuti durante la Guerra Fredda.

Dopo 21 anni da quello storico incontro vale la pena chiedersi cosa sia successo quel giorno e soprattutto perché, dopo quella memorabile fotografia che raffigurava Vladimir Putin e George Bush stringersi la mano sotto l’egida di un sorriso compiaciuto di Silvio Berlusconi, tutto svanì improvvisamente, senza un’apparente ragione razionale. Proviamo, dunque, a ricostruire le ragioni, secondo alcuni osservatori assolutamente straordinarie, di quell’evento e, soprattutto, perché quell’occasione fu sprecata e anzi da quel momento si innescarono tutta una serie di eventi che portarono il mondo a risentire prima e a toccare con mano poi gli attuali “venti di guerra”.

Il contesto storico nel 2001-2002

La firma degli accordi di Pratica di Mare avvenne otto mesi dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle, alle icone della grandezza americana. Lo stupro subito da Manhattan fu un trauma per tutto il mondo e fu sicuramente una delle ragioni che spinsero i grandi della Terra a stringere una alleanza contro un terrorismo internazionale ormai in grado di violare anche i confini della super potenza americana. La Russia era arrivata a quell’appuntamento, all’inizio del terzo millennio, stremata. Nel 1996 il governo centrale aveva deciso di avviare una vera e propria guerra contro la Cecenia che si rivelò costosissima sia sul piano economico sia sul piano militare. La prima conseguenza di tale decisione fu che la Banca Centrale russa due anni dopo, nel 1998, dovette dichiarare di essere in default, cioè di non essere in condizione di poter rimborsare i propri creditori, sottoscrittori dei titoli di stato.

Quando Putin fu nominato Primo ministro, nell’agosto del 1999, l’obiettivo strategico russo era quello di impostare dei nuovi rapporti con l’Occidente in modo tale da trovare degli aiuti economici e finanziari che potessero salvare il paese da una disastrosa e umiliante bancarotta. Vladimir Putin fu  molto lucido e diligente, come è nella sua natura, nel perseguire questo obiettivo. Fin dall’anno successivo alla sua nomina, incominciò a non escludere la possibilità di una adesione della Russia alla Nato. Una ventina di giorni dopo il tragico 11 settembre 2001, tenne un famoso discorso al Parlamento tedesco confermando al mondo intero che la Guerra Fredda doveva essere considerata finita e che “il principale obiettivo della politica interna russa era soprattutto quello di garantire i diritti democratici e la libertà” e che la Russia avrebbe combattuto il terrorismo internazionale insieme alle potenze occidentali.

Quel messaggio fu colto molto positivamente da Washington e da tutte le cancellerie internazionali che, proprio in quei mesi, potevano constatare come il neo presidente russo stesse incoraggiando una politica economica che favoriva gli investimenti stranieri in Russia e che stimolava gli oligarchi russi ad investire in Occidente. In tal modo Putin riuscì ad aumentare le vendite di gas e di petrolio alle potenze occidentali, riassestando, in qualche modo, le disastrate casse della Banca di stato russa. Un riassestamento dell’economia che permise a Putin di costruire un potere intorno a sé che ancora oggi, vent’anni dopo, regge anche alle scosse del disastro della guerra in Ucraina. Gli accordi di Pratica di Mare nacquero proprio in quel momento storico e suggellarono la volontà di cooperazione della Nato e della Russia proprio nell’ambito della sicurezza internazionale.

Il contenuto dell’accordo del 28 maggio 2002

L’accordo prevedeva la nascita di una nuova governance dei rapporti tra la Nato e la Russia: si dava vita al Consiglio Nato-Russia e cioè un’assemblea permanente di funzionari delle varie nazioni coinvolte incentrata proprio sui temi della sicurezza e della cooperazione internazionale. Proprio a seguito degli accordi di Pratica di Mare, nel 2003 fu sottoscritto il Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security, un primo, formale impegno reciproco ad astenersi da minacce ed uso della forza militare. Un capitolo di tale trattato prevedeva proprio l’auspicio di costruire insieme una pace duratura ed inclusiva nell’area euro-atlantica “in base ai principi di democrazia e sicurezza cooperativa”.

Per Berlusconi fu un trionfo: era riuscito, valorizzando un contesto straordinario ed emergenziale (la crisi della Russia, da una parte, e la repressione del terrorismo internazionale, responsabile dell’attentato alle Torri gemelle di New York), a mettere fine ad un conflitto apparentemente irrisolvibile, quello tra le potenze occidentali e la Russia. Berlusconi poteva, in maniera probabilmente esagerata, affermare che in quei giorni, a Pratica di Mare, si era definitivamente conclusa la Guerra Fredda e che iniziava una nuova stagione di pace nelle relazioni internazionali.

Che cosa successe dopo?

Purtroppo le speranze che quell’evento rappresentasse davvero una svolta nel futuro del mondo, durarono lo spazio di pochi mesi. Putin, ritornato in patria, diede subito segnali precisi sulla sua strategia interna di repressione di qualsiasi forma di contestazione alla sua leadership. Iniziò ad arrestare gli oligarchi che non seguivano pedissequamente le sue istruzioni (nel 2003 il caso Khodorkovsky fu l’esempio più lampante del pugno di ferro adottato dal leader del Cremlino contro gli oligarchi insubordinati); impartì precise raccomandazioni ai propri generali di concludere con le maniere forti l’assedio della città di Grozny in Cecenia, dove ci furono migliaia di morti; soprattutto, nel 2004, si oppose all’annullamento delle elezioni presidenziali avvenute in Ucraina che avevano portato all’elezione del leader filo-russo Yanukovych, rimosso, poi, dalla carica da una sentenza della Corte Suprema ucraina per via degli accertati brogli intervenuti durante le operazioni di voto.

A fronte di queste condotte “non proprio in linea” con gli accordi di Pratica di Mare, dall’altra parte, gli americani non stettero, certo, “alla finestra”. Iniziarono una politica di moral suasion per convincere diversi paesi dell’Europa orientale, ex alleati di Mosca, a scegliere di aderire alla Nato: una condotta che ovviamente fu vissuta da Putin come una provocazione, non solo non in linea con le intese di Pratica di Mare, ma che violava manifestatamente quel principio, non negoziabile per i russi, che la Nato non dovesse avere nessun proprio membro ai confini del territorio russo.

Dal 2005 in avanti i toni concilianti di Pratica di Mare finirono… in soffitta. Sia la Russia sia gli Stati Uniti avevano dimenticato lo spirito dell’accordo del maggio 2002, avviandosi su un percorso che li avrebbe riportati ad uno scontro frontale quale quello che abbiamo anche oggi sotto gli occhi. Putin suggellò questo cambiamento di relazione con gli Stati Uniti e con la Nato nel 2007, quando, a Monaco di Baviera, denunciò l’esistenza, inaccettabile, di “unico padrone del mondo”, l’America, che accusò anche di “una forza eccessiva nelle proprie relazioni internazionali”. Da quel momento si innescò un effetto domino che partendo dalla Georgia e arrivando fino alla Crimea e poi all’Ucraina, segnò in modo irreversibile la fine del sogno berlusconiano di Pratica di Mare.

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