Il dubbio ti viene subito: poi ti subentra la preoccupazione. Il giustizialismo fa danni enormi, sia alle vittime sia alla cultura generale degli esseri umani. Costruisce su degli indizi dei “mostri” e li sbatte in prima pagina prima di qualsiasi accertamento giudiziario. L’opinione pubblica segue l’onda e l’imputato viene espulso dalla comunità, subendo una gogna mediatica basata su indizi, emozioni, dossieraggi e, a volte, vendette o estorsioni. Se e quando i tribunali dovessero accertare che in realtà il “mostro” non ha commesso i reati contestatigli, ormai la sua immagine sarà rovinata, la sua reputazione infangata: le sue prospettive professionali distrutte. I danni morali e patrimoniali enormi. Il giustizialismo lascia queste tragiche rovine dietro di sé, senza rifletterci troppo sopra; anzi, compromettendo probabilmente la credibilità degli stessi contenuti degli illeciti che hanno scatenato il processo mediatico a prescindere da quello poi avvenuto nelle aule dei tribunali.

Nel caso di Kevin Spacey, crediamo che il problema sia proprio questo: la sua assoluzione (che riguarda, non dimentichiamolo, la presunta violenza sessuale ai danni di quattro giovani maschi: ma la sostanza della questione non cambia, a nostro avviso) potrebbe far passare il messaggio che tutto il movimento collegato al Me Too sia basato su un teorema inventato, costruito sulle sabbie mobili, esagerando una violenza speculativa di natura sessuale degli uomini ai danni delle donne (ma non solo come nel caso della star di Hollywood), probabilmente anche esistente ma non certo nelle dimensioni denunciate dai promotori del movimento Me Too.

Dobbiamo anche tener presente, quando cerchiamo di ragionare su questa complessa tematica, che il movimento MeToo, in alcuni casi, è sembrato trasformarsi in uno strumento che invece di educare le comunità al rispetto della parte più debole, “legittima” interpretazioni soggettive esagerate di comportamenti naturali (un complimento non è sempre così violento o equiparabile alla violenza, anche se espresso in modo colorito o gergale) rischiando di rendere innaturali i comportamenti umani: se ogni condotta umana può assumere i contorni della violenza di genere, è ovvio che il timore di essere fraintesi (o peggio accusati) rende le relazioni interpersonali non spontanee. Con catastrofiche conseguenze proprio sulla qualità delle nostre vite di relazione.

Ci vorrebbero ragionevolezza e buon senso a maneggiare questi argomenti: due valori spesso archiviati o sospesi dagli opposti talebani del giustizialismo e/o delle esagerazioni dei promotori-attivisti del Me Too. Il punto centrale di questa delicata e spinosa questione risiede proprio qui: invece di occuparci dei processi alle celebrità, dovremmo impegnarci molto di più in un profondo cambiamento culturale, oltreché giuridico, affinché si crei una maggiore consapevolezza e rispetto intorno al tema del consenso in materia sessuale sia per le donne sia per gli uomini. La violenza di genere continua a crescere: forse anche perché le donne, vittime dei soprusi dei maschi, hanno incominciato a denunciarli maggiormente e quindi ad uscire dall’ombra del silenzio e dalla “non contabilizzazione” dei loro casi.

In Italia, secondo l’ultima relazione del ministero dell’Interno, la violenza contro le donne è aumentata del 33% nel 2022: aldilà quindi del caso di Kevin Spacey, la tragicità del contesto è manifesta. Deve essere smontato il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita: il giustizialismo semplifica l’analisi, accelera i verdetti, non si cura degli esseri umani coinvolti come pseudo carnefici o vittime di questo genere di reati. Lo scorso 12 luglio, il Parlamento europeo ha approvato una direttiva per combattere più efficacemente la violenza di genere all’interno dell’Unione Europea: il nocciolo del provvedimento risiede nel principio fondamentale ed ineludibile che il sesso senza consenso deve essere considerato stupro… Senza girarci intorno!

Il nostro codice penale all’articolo 609-bis prevede che il reato di stupro sia necessariamente collegato alla violenza e non al rapporto sessuale senza consenso. La recente direttiva comunitaria impone al nostro Parlamento di allinearsi alle norme internazionali e di considerare reato qualsiasi atto sessuale senza consenso. Cerchiamo dunque di non limitarci a prendere atto con soddisfazione della assoluzione di un probabile innocente, ma concentriamoci sulla necessità di una riforma legislativa che renda più pregnante la fattispecie dell’articolo 609-bis del codice penale e, soprattutto, sulla prudenza e sulla cautela che bisogna usare ogni volta che sui giornali si tende a criminalizzare un imputato in attesa di giudizio.

Ci abbiamo messo dei secoli per consolidare la cultura della presunzione di innocenza, non roviniamo tutto entusiasmandoci per un giustizialismo che, apparentemente, risolve in poco tempo le tragedie che gli esseri umani sono capaci di realizzare, ma che, in realtà, crea danni irreversibili ai soggetti coinvolti. In questo caso, l’assoluzione di Kevin Spacey non solo non avrà svuotato di contenuto gli ideali e gli obiettivi del movimento Me Too, ma li avrà semplicemente riportati in un perimetro di garantismo, assolutamente fondamentale, anche e soprattutto in questa delicatissima materia che ci riguarda tutti, noi esseri umani, maschi e femmine, abitanti di questo pianeta.

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