La magistratura continua ad essere la protagonista del dibattito politico e mediatico del nostro Paese. Nel suo ultimo saggio “Le strutture del potere” (Laterza) il prof. Sabino Cassese evidenzia come in un Paese moderno e democratico, la magistratura non debba fare opera di supplenza al potere esecutivo: “se no si creano delle rilevanti criticità per il sistema”. Il Ministro della Difesa Guido Crosetto versa ulteriore benzina sul fuoco: “E’ l’opposizione giudiziaria l’unico pericolo per il Governo: a me raccontano di riunioni di una corrente della magistratura in cui si parla di come fare a fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni. Siccome ne abbiamo visto fare di tutti i colori in passato, se conosco bene questo Paese mi aspetto che si apra presto questa stagione, prima delle Europee”. Un brutto clima, insomma, che evoca le stagioni più grigie del berlusconismo.

Intanto, in questo contesto, il Ministro della Giustizia Nordio ha ufficializzato che la tanto conclamata riforma della giustizia è rinviata sine die! Sicuramente a dopo l’approvazione della nuova legge sul premierato. Dunque, che non se ne riparlerà più per almeno qualche anno. “La riforma del processo civile e del processo penale è stata addirittura anticipata – ha sottolineato il Segretario dell’Associazione Forense, Gianpaolo Di Marco – e il resto e cioè la riforma dell’ordinamento giudiziario è finito sul binario del “vedremo”. Dopo l’annuncio di Nordio, semplicemente non se ne vuole o non se ne può ancora parlare… Evidentemente manca una visione condivisa delle aree su cui intervenire. Il Ministero doveva, ad esempio, fare un nuovo concorso per i giovani da immettere negli uffici giudiziari: dopo i primi 8250 assunti, non se ne è saputo più nulla.

In più, molti ragazzi che avevano partecipato a più concorsi, preso atto che la macchina burocratica non ha più dato riscontri, si dimettono e rinunciano. In servizio non ce ne sono più di 5500. Ciò accade – conclude Di Marco – in un ministero dove la pianta organica prevede 43.000 dipendenti amministrativi e ce ne sono al massimo 32.000. Ci dicano chiaramente quanta giurisdizione vogliono lasciare in piedi”. Personalmente, siamo stati educati a principi basati sulla autonomia e indipendenza della magistratura. Bisogna rispettare l’autonomia dei tre poteri principali di uno Stato: il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario. Il giudice deve essere libero di giudicare in base alla convinzione che si è fatto dopo l’istruttoria: le sue sentenze devono soltanto essere basate sulla legge. Ebbene, questi principi di riferimento, se sfogliamo i giornali soltanto delle ultime due settimane, scricchiolano, fanno acqua, lasciano i cittadini o sgomenti, o sorpresi, o dubbiosi della professionalità e competenza dei magistrati, o almeno di alcuni di essi.

Le indagini di mercato confermano che la magistratura negli ultimi anni ha perso molta della fiducia dei cittadini e oggi ha un tasso di consenso di circa il 30% soltanto degli intervistati. Abbiamo provato a stilare un semplice elenco di decisioni della magistratura che hanno caratterizzato la cronaca giudiziaria degli ultimi giorni: un quadro preoccupante che fa pensare ad una magistratura formata da alcuni “marziani” o, peggio, da alcuni giudici che antepongono il loro pensiero politico al loro dovere di giudicare indipendentemente dalle loro opinioni personali.

Vediamo questa inquietante lista di decisioni: Il Tar del Lazio ha annullato il provvedimento del Governo che imponeva ai distributori di carburante di esporre il prezzo medio di vendita di quel giorno nella rete nazionale per provare a calmierare rincari eccessivi. E’ immaginabile la conseguenza amministrativa ed economica di tale decisione! Il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, è stato assolto per non aver commesso il fatto nel processo che lo vedeva imputato per truffa elettorale. L’apertura del procedimento ha rischiato, a suo tempo, di compromettere la sua carriera politica. Un giudice ha ritenuto illegali le intercettazioni fatte dai PM fiorentini a Matteo Renzi e Maria Elena Boschi: indubbiamente la pubblicazione di tali intercettazioni ha condizionato il posizionamento politico e il loro consenso elettorale dell’epoca. Un altro giudice ha ordinato la scarcerazione di un giovane, condannato a 30 anni per l’uccisione della fidanzata, perché obeso e iperfumatore.

La decisione più inquietante, proprio in relazione all’articolazione del ragionamento svolto dalla Cassazione nella motivazione, è stata quella della Suprema Corte sulla presunta trattativa Stato-mafia. Un’assoluzione che ha posto fine ad un processo durato oltre 30 anni. La Cassazione, si legge nella motivazione, non si limita ad assolvere definitivamente i carabinieri del Ros, l’ex Senatore Marcello Dell’Utri e persino un paio di boss di Cosa Nostra, ma condanna invece i colleghi che a quel processo hanno dedicato sentenze colossali in cui invece che delle prove – assenti o solo ipotizzate – si occupavano di scrivere a modo loro la storia d’Italia, come ha voluto sottolineare provocatoriamente ma lucidamente Luca Fazzo.

Il passaggio fondamentale della motivazione recita: “Le sentenze hanno optato per un modello di ricostruzione del fatto penalmente rilevante condotto secondo un approccio metodologico di stampo storiografico… Il giudice deve (n.d.a.: invece) limitarsi all’accertamento dei fatti oggetto dell’imputazione… i giudici hanno finito per smarrire la centralità dell’imputazione nella trama del processo penale profondendo sforzi imponenti nell’accertare fatti spesso poco o per nulla rilevanti nell’economia del giudizio”. Insomma, secondo i magistrati della Cassazione, i giudici siciliani si sono dimenticati che la colpevolezza va dimostrata “al di là di ogni ragionevole dubbio”: “Le motivazioni delle sentenze – scrivono i magistrati – hanno assunto, sia in primo che in secondo grado, una mole imponente (5.237 pagine in primo e 2.971 pagine in secondo grado), tale da offuscare le ragioni della decisione per rendere le linee argomentative di difficile identificazione e interpretazione”.

La Sesta Sezione penale della Cassazione ha preso dunque una decisione rara e molto dura nei confronti della magistratura: è andata oltre il galateo che esiste tra i magistrati e che prevede in genere di non infierire sui colleghi. Un esempio questo che fa riflettere su quanto sottolineato da Sabino Cassese nel suo ultimo saggio e su quanto temuto dal Ministro Crosetto quando pubblicamente denuncia una volontà di una parte della magistratura di contaminare il confronto politico nel Paese. Come abbiamo scritto in altre occasioni siamo convinti che la stragrande maggioranza dei magistrati non partecipi a questo “gioco” al massacro: si limiti a fare il proprio mestiere con impegno, professionalità ed efficienza, nonostante lo Stato, al di là della propaganda, non metta in condizione gli uffici giudiziari in tutto il nostro Paese, a poter svolgere il proprio compito con risorse finanziarie e organizzative adeguate

Basta leggere, a questo proposito, le dichiarazioni dei giudici che si occupano dell’ormai tragicamente famosa procedura del “Codice Rosso”: la “scorciatoia” giudiziaria per poter rispondere in modo efficiente ed efficace alle denunce, soprattutto di donne, minacciate di violenza fisicapsicologica ed economica. Sulla carta la procedura è stata approvata e dovrebbe quindi funzionare in tutti i tribunali d’Italia. Il problema è che… non è vero, perché non ci sono le risorse: i magistrati delegati a questo fondamentale strumento di prevenzione del femminicidio, denunciano da tempo la loro impossibilità a seguire con la dovuta velocità ed efficienza le varie grida di aiuto e dolore che provengono dal mondo delle vittime più deboli.

L’elenco dei casi sopra citati ci fornisce un quadro di una magistratura che svolge con fatica il suo ruolo: nel cui ambito ci sono evidentemente e per fortuna in minoranza, magistrati che sembra che non vivano il drammatico contesto che ci circonda ma abitino “sulla luna”. Siamo arrivati ad un punto in cui i magistrati che svolgono il loro mestiere con impegno, passione e coraggio, lo ripetiamo la maggioranza, devono far sentire maggiormente la loro voce, responsabilizzandosi nelle associazioni di categoria, studiando e proponendo soluzioni che, fermo restando i principi dell’autonomia ed indipendenza del potere giudiziario, evitino, a tutti i costi, che si diffonda una cultura per cui in Italia la giustizia è … ingiusta. E non solo per la lunghezza dei processi, un’anomalia che deve essere risolta, ma anche per la contraddittorietà di decisioni manifestatamente contrarie ad ogni principio di ragionevolezza.

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