Il primo dubbio affiorato riguarda il tema della conoscenza: quanti hanno davvero letto il testo del disegno di legge Zan, dal nome del suo primo firmatario Alessandro Zan, deputato del Pd, composto da 10 articoli che stanno occupando pagine e pagine dei nostri media nazionali?

Il secondo è relativo a quanti italiani siano davvero interessati da questa tematica: da un rapido e, per carità, superficiale, sondaggio personale, la maggior parte degli individui non ne sa nulla, ha sentito forse il nome, alla meglio, ritiene che si parli di questioni di parità di genere.

Il terzo alla stesura di un testo di legge che necessita di una rivisitazione, pur condividendone obiettivi da raggiungere e valori da tutelare e salvaguardare.

In ogni caso, bisogna dire un grazie ai promotori dell’iniziativa parlamentare perché ci hanno permesso di aprire un dibattito culturale ed educativo importante; ringraziando, nel contempo, anche gli avversari della proposta di legge che ci hanno consentito una miglior valutazione e conoscenza dei vari temi connessi al testo di legge con i relativi pro e contro da bilanciare.

Ognuno di noi facendo i conti con la propria coscienza, la propria educazione e la propria visione sulla società in cui vorrebbe vivere e vorrebbe far vivere i propri figli e nipoti.

Il confronto è la linfa della democrazia: non scordiamocelo mai.

Purché tale confronto non sia caratterizzato da una “polarizzazione binaria” che divide e non aiuta né la conoscenza né la condivisione.

Purtroppo viviamo un contesto storico e politico in cui sono sempre più tollerate solo e unicamente due posizioni: favorevoli o contrari ma soprattutto se non condividi anche integralmente una certa opinione, diventi immediatamente e automaticamente assimilato all’altra parte, allo stereotipo dello schieramento avverso.

Proprio sul ddl Zan, nelle ultime settimane, si sono evidenziati alcuni interventi mirati non a contestare la legittimità e opportunità di tale modifica legislativa, ma semplicemente di apportare delle modifiche formali, lessicali e giuridiche.

Immediatamente tali proponenti critici sono stati bollati come leghisti, salviniani, retrogradi rappresentanti di una destra becera.

Dovremmo convincerci che la “polarizzazione binaria” serve soltanto a tenere in piedi una classe dirigente che lavora per slogan, senza approfondimenti e con il solo intento di salvaguardare sé stessa.

Come ha giustamente sottolineato Marco Bentivogli: “Un paese sempre diviso da Guelfi e Ghibellini ha ancora bisogno di questa riduzione brutale delle idee? Non sempre le posizioni intermedie sono le migliori e spesso bisogna saper dire in modo secco: sì o no. Senza aggiungere altro che non siano solidi argomenti a supporto. La binarizzazione del pensiero è la sua negazione. Qualcuno pensa che sia la conseguenza dei social media e delle nuove forme di comunicazione. La cosa assurda è che il nuovo mondo che si sta disvelando è sempre più complesso grazie anche al digitale e ridurre tutto a pro e contro ci allontana sempre di più dal descrivere, spiegare e vivere la nuova realtà”.

Chiarito tale rischio, provo ad articolare un ragionamento non breve proprio sul contenuto del ddl Zan.

Premetto ancora che, da vecchio liberale, sono stato educato al rispetto sia dell’opinione altrui anche se non condivisa, sia dei valori espressi all’art. 3 della Costituzione italiana, che devono trovare consistenza giuridica nell’ordinamento statuale.

Detto ciò, capisco i razionali posti a fondamento della proposta Zan ma nutro seri dubbi sull’attuale testo della proposta.

Una legge non cambia da sola una cultura consolidata in un Paese da secoli.

Può aiutare un processo di modernizzazione, di miglior tutela delle parti deboli, di maggior rispetto dell’art. 3 della Carta, ma deve essere accompagnata da un movimento pubblico di formazione etica, culturale e sociale, tutto da immaginare e concretizzare. Allo stato inesistente.

Ma se anche ciò fosse possibile, bisognerebbe assolutamente evitare che una norma pensata per risolvere un problema ne scateni, in realtà, più o meno involontariamente, altri.

Personalmente, non discuto il principio, d’altronde già recepito in legge in molti altri stati democratici, ma mi lascia perplesso il contenuto lessicale e valoriale della proposta Zan.

Nel nostro Codice Penale e in quello di Procedura Penale, esistono già norme che disciplinano i cosiddetti reati d’odio per discriminazione raziale, etnica o religiosa (604 bis e ter del Codice Penale).

Il ddl Zan propone di estendere tale tutela anche agli omotransessuali, alle donne e ai disabili.

Quattro sono le modifiche proposte.

  1. La prima, contenuta negli articoli 2 e 3 del testo, riguarda l’inserimento anche tra le fattispecie di reati di discriminazione, di quelli basati “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità”: dunque una integrazione degli artt. 604 bis e 604 ter del Codice Penale che puniscono l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi “razziali, etnici, religiosi o di nazionalità”.
  2. La seconda modifica, contenuta nell’art. 6, riguarda l’integrazione del testo dell’art. 90-quater del Codice di Procedura Penale, che si occupa della definizione della “condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa”, prevedendo di aggiungere le parole “fondata sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.
  3. La terza, contenuta nell’art. 8, integra il decreto legislativo n. 215 del 9 luglio 2003 sulla parità del trattamento degli individui indipendentemente dal colore della pelle o dalla provenienza etnica. Il ddl Zan aggiunge alcune misure di prevenzione e contrasto delle discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
  4. La quarta modifica, contenuta nell’art. 5, riguarda una integrazione della legge denominata Mancino. Il testo introduce delle misure che servono a coordinare la legge contro l’omotransfobia con le norme vigenti che perseguono i delitti contro l’uguaglianza.

L’art. 4 introduce, poi, una clausola denominata “salva opinioni” che fa salve “la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”.

Secondo i critici, un articolo che dimostra la contraddittorietà della proposta Zan: (i) è singolare – sostengono coloro che non condividono il testo – che si introducano delle sanzioni penali e che poi intervenga una clausola di salvezza delle stesse; (ii) questo rivela che anche il promotore della legge ha avvertito il rischio di una applicazione arbitraria delle norme. Si ribadisce, in altre parole, quanto già previsto nell’art. 21 della Costituzione.

Proprio nell’ottica, secondo i promotori, di evitare i rischi connessi con l’approvazione del ddl Zan, è stata depositata nei giorni scorsi una proposta di legge, con firmatari molti autorevoli esponenti del centrodestra, che affronta lo stesso tema da una angolazione diversa: “Abbiamo scritto – ha dichiarato la senatrice Licia Ronzulli, prima firmataria della proposta – una norma di buon senso e ampiamente condivisibile. E’ proprio l’ampia convergenza che c’è stata su questo ddl smentisce chi dice che noi non vogliamo una legge su questa materia molto delicata. E’ una falsità sostenere che vogliamo soltanto affossare la proposta Zan”.

La proposta Ronzulli interviene sul testo dell’art. 61 del Codice Penale aggiungendo aggravanti specifiche per origine etnica, credo religioso, nazionalità, sesso, orientamento sessuale, età e disabilità.

Non tocca il testo della Legge Mancino.

La violenza, le aggressioni, le percosse e altre forme di abuso sono dei reati già esistenti e quindi ci è sembrato più logico inasprire le pene per queste fattispecie quando si concretizzano con le finalità discriminatorie che abbiamo previsto con il nostro testo. E poi perché toccando la Legge Mancino e aprendo ad una fattispecie di discriminazione, si rischia di escluderne altre. Sa quanti ragazzi si sono tolti la vita per essere stati bullizzati in quanto obesi? Vogliamo lasciare fuori questa fattispecie di discriminazione?”

Il testo Ronzulli interviene anche sull’art. 69 del Codice Penale che disciplina la compresenza di circostanze attenuanti e aggravanti.

Abbiamo previsto una sorta di “blindatura” della pena motivo per cui non ci potrà essere un bilanciamento tra le circostanze aggravanti ed eventuali attenuanti. In questo modo si garantisce la repressione dei fenomeni senza possibilità di scappatoie e quindi di sconti di pena”.

Come mai il testo di legge proposto in alternativa a quello Zan non parla di genere e di identità di genere?

La senatrice Ronzulli è stata precisa al riguardo: “Nessuna legge che mira a prevenire o punire delle discriminazioni può avere la pretesa addirittura di introdurre nuove definizioni. Questa ipotesi rischia di determinare effetti aberranti. Le definizioni contenute nel ddl Zan non sono altro che un grimaldello per imporre la teoria “gender fluid” . Inoltre pensiamo ai successi ottenuti dalle donne: l’alternanza di genere uomo-donna nelle liste elettorali, la doppia preferenza, le quote rosa… Buttiamo via tutto? Il legislatore non può essere schizofrenico”.

Io credo che una rimeditazione sul testo della proposta di legge Zan potrebbe portare ad una stesura più chiara, meno equivoca e meno soggetta al rischio delle aberranti conseguenze, citate anche dal sociologo Luca Ricolfi.

Oltre alla eventuale nuova norma in materia, o anche in modo concorrente alla stessa, dobbiamo ricordarci, a mio avviso, che esiste un altro strumento per sottolineare e invocare concretamente una dura e accurata repressione dei reati d’odio anche nei confronti degli omotransessuali, delle donne e dei disabili.

Nel “pacchetto Giustizia” su cui stanno lavorando le commissioni istituite dal ministro Marta Cartabia, una delle questioni molto discusse riguarda l’attribuzione al Parlamento del potere di decidere le priorità dell’esercizio dell’azione penale.

Nel sito della Procura Generale della Cassazione, c’è proprio uno spazio riservato a questa tematica: alla voce “Orientamenti per gli Uffici di Procura” sono pubblicati gli indirizzi per le singole procure, proposti dalla Procura Generale dopo molteplici confronti.

Si tratta di criteri non vincolanti – ha scritto Luciano Violante – ma dotati di un significativo potere di influenza per materie delicate… Quando i criteri non siano stati osservati, il Parlamento potrebbe chiederne ragione ai titolari dei poteri ispettivi, ministro della Giustizia e Csm”.

Si potrebbe sin da subito, evidenziare tra le priorità dell’attività delle Procure, proprio la repressione di questi reati, responsabilizzando i procuratori ad una attenta vigilanza su condotte antitetiche ai principi contenuti nella normativa contro i reati d’odio.

Vladimiro Zagrebelsky si è giustamente chiesto: “Ma come e chi può stabilire le priorità – posteriorità, tra le tante ed eterogenee notizie di reato che raggiungono le Procure della Repubblica, le possibili violazioni delle infinite e sempre più numerose ipotesi di reato create dal legislatore? Non si può credere si tratti di un esercizio solo tecnico-giuridico. E’ piuttosto un momento di definizione della politica penale, da decidere in funzione della realtà sociale e criminale territoriale”.

Io penso che la repressione dei reati d’odio rappresenti proprio una delle priorità nel nostro Paese per porre fine a comportamenti che violano manifestatamente il principio contenuto nell’art. 3 della Costituzione.

Si tratta cioè di scegliere – ha scritto ancora Zagrebelsky – Concorrono quindi necessità diverse e non meccanicamente componibili: quelle della politica in senso stretto (il Parlamento) e quelle che si riferiscono alla autonomia della magistratura, assicurata dall’art. 104 della Costituzione. Quest’ultima risponde a un carattere fondamentale dello Stato di Diritto e tende a evitare che prevalgano interessi di parte, foss’anche della parte maggioritaria del Parlamento. Ecco allora che la soluzione adottata dalla Commissione Lattanzi si rivela equilibrata… Essa prevede che le linee generali siano periodicamente indicate dal Parlamento, ma poi specificate e definite nelle sedi giudiziarie territoriali”.

Appunto, nel caso dei reati d’odio, siamo proprio di fronte ad una tipologia di reati in aumento che necessitano di una più attenta e costante valutazione e intervento delle Procure.

Il dubbio conclusivo è proprio questo: per arginare il diffondersi, soprattutto con il moltiplicatore terrificante del web, dei reati d’odio contro l’omotransfobia, le donne e i disabili, è opportuno pensare ad una nuova norma che enfatizzi, specificandoli meglio questi reati?

Il quesito si allarga: ma è proprio necessario entrare, contestualmente, anche in altri temi (identità di genere, identità percepita e identità giuridica, ecc.) che toccano aspetti etici, educativi e culturali?

Non è questa una materia così delicata che dovrebbe essere sviscerata all’interno di un grande dibattito nazionale a più voci che permetta a tutti di esprimere la propria opinione e la propria sensibilità in merito?

Lo scontro frontale che si sta verificando in Parlamento rischia di far saltare la Legge Zan: “Mettiamoci intorno ad un tavolo politico e parliamone” suggerisce Davide Faraone, presidente dei Senatori di Italia Viva che si schiera a favore di una mediazione virtuosa sul ddl Zan.

Ho fatto questa proposta per superare lo stallo su questa importante legge. Sono fiducioso che ci sia la buona volontà di tutti di colmare un vuoto normativo intollerabile. Io mi limito a dire che bisogna superare la “modalità derby” e trovare un modo per andare avanti. La legge serve, l’odio e le discriminazioni non vanno tollerate un minuto di più”.

Questa testata continuerà a monitorare i lavori parlamentari, lasciando sempre il microfono a posizioni ragionate e non puramente “derbistiche”.

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