Il nostro “diario di bordo” sul Grande Gioco delle nuove geo-mappe internazionali si arricchisce ogni settimana di nuove puntate. Sono quattro i protagonisti da seguire con costanza e attenzione. In America con le elezioni del Midterm è in palio non solo la maggioranza delle due camere, che potrebbero andare ai Repubblicani, ma anche, conseguentemente, il contenuto della politica di Washington sull’alleanza con l’Ucraina. Non è detto infatti che i Repubblicani, in caso di vittoria, continuino la politica degli aiuti finanziari e militari a Zelensky.

In Cina, dopo l’incoronazione dell’Imperatore Xi Jinping, non si hanno più notizie del povero Hu Jintao, defenestrato volutamente, con la gogna pubblica, davanti a milioni di telespettatori durante l’ultima riunione del XX Congresso del Partito Comunista cinese. Xi Jinping ha promesso a Scholz che non permetterà a Putin l’uso della bomba nucleare ma non si è spinto oltre. In Ucraina siamo di fronte ad un sostanziale stallo militare che potrebbe protrarsi sino a primavera: un’opportunità per un “cessate il fuoco”? A Bruxelles, infine, non è stato raggiunto nessun accordo di prezzo del gas e questa settimana sarà presentato il nuovo Patto di Stabilità che tornerà in vigore a gennaio 2024. Vediamo singolarmente questi quattro scenari

Usa: Zelensky tifa Dem

Tutti i sondaggi prevedono un’onda rossa, non comunista ma repubblicana. Il rischio che Biden debba affrontare il secondo biennio della sua presidenza “azzoppato” con una o addirittura due camere in mano ai Repubblicani è molto alto. Tale scenario preoccupa molto Zelensky perché non è assolutamente detto che la maggioranza dei Repubblicani, a maggior ragione se trumpisti, continui la politica degli aiuti militari ed economici al governo ucraino, come ha fatto Biden. Gli elettori americani nelle loro decisioni politiche privilegiano da sempre le questioni economiche e la maggioranza di loro ritiene che i Repubblicani siano più bravi a gestire le crisi economiche dei Democratici: più efficienti e più cinici nell’adottare misure per il rilancio dell’economia, oggi traumatizzata da una inflazione mai vista per gli americani.

Midterm viatico a una ricandidatura per Trump?

Tra l’altro le elezioni del Midterm potrebbero rappresentare la prima tappa della campagna elettorale per il prossimo Presidente degli Stati Unit. Infatti Donald Trump ha già annunciato la sua decisione (che dovrebbe essere confermata pubblicamente il prossimo 14 novembre) di ricandidarsi alla Casa Bianca. Molti opinionisti americani scrivono che tale scelta è dettata anche dalla speranza di chiudere in tal modo i due procedimenti penali che pendono sulla testa dell’ex Presidente degli Stati Uniti. In questo contesto il mantra di Biden “As long as it takes”, “fino a quando sarà necessario” potrebbe svanire. A Kiev non è in dubbio il sostegno americano all’Ucraina, ma la tenuta e la consistenza dell’impegno economico se i tempi della guerra dovessero allungarsi. La chiusura dei “rubinetti” non è più una posizione isolata e la contingenza economica (inflazione molto alta) sta minando la solidarietà degli americani.

Cina: la politica “bipolare” di Xi Jinping

L’imperatore regna ormai senza avversari e senza più termini di scadenza per il suo mandato. Ormai può gestire il potere da solo con i suoi 7 “pretoriani” nominati nell’ultimo congresso. L’immagine della defenestrazione di un suo possibile rivale, Hu Jintao, è ancora negli occhi di tutti. Il messaggio è stato chiarissimo: chi non è d’accordo o si oppone alla politica dell’imperatore, farà quella fine. Il presidente cinese continua nella sua politica dei “due forni”. Da un lato conferma a Putin l’”alleanza per sempre”, ma nello stesso tempo diffida Mosca dall’utilizzare le armi nucleari. Dall’altro, riapre il microfono con l’America mandando un messaggio augurale al forum cino-americano a New York in cui auspica lo sviluppo di relazioni economiche tra le due superpotenze. L’unico dato positivo, in questo contraddittorio contesto, è che la Cina, per poter implementare il suo sviluppo, superando l’attuale crisi di “minor crescita”, deve poter contare su un Villaggio Globale non contraddistinto da guerre o comunque da tensioni politiche ed economiche. La speranza è che quindi anche Xi Jinping supporti, dal suo importante angolo di visuale, gli sforzi per porre fine al conflitto ucraino.

Russia-Ucraina: venti di tregua?

Due autorevoli ex rappresentanti del potere politico e militare russo ci hanno consegnato due letture della situazione in Ucraina che fanno immaginare possibili scenari di cessate il fuoco o addirittura di pace, non a lungo termine. Ci riferiamo all’ex agente dell’intelligence russo Vladimir Frolov, fuggito recentemente da Mosca che sulla rivista Carnegie Politika ha scritto che la strategia di Putin sarebbe questa: la rinuncia necessaria a nuove offensive per mancanza di forze militari adeguate; l’incarico al nuovo comandante Surovkin di consolidare almeno in parte le conquiste realizzate, con particolare riferimento al corridoio sud dalla Russia alla Crimea, pianificando nuovi ripiegamenti altrove. Anche il politologo russo Sergey Radchenko, della Johns Hopkins University immagina uno scenario analogo, scrivendo della possibilità che entrambe le parti siano ormai quasi esauste, incapaci di superarsi e che la guerra sia ormai in una fase di stallo.

Una ricostruzione che parte da oriente

Una situazione quindi nella quale, a breve, potrebbe essere possibile chiedersi come separare gli eserciti e ratificare un cessate il fuoco. A Kiev bisognerebbe garantire, però, che la Russia non cerchi in futuro di guadagnare altro terreno con la forza e che tutti gli ucraini dei territori occupati dai russi abbiano il diritto di poter lasciare la zona, diventata russa, migrando ad ovest. Per poter raggiungere questo obiettivo, sarà necessaria l’interposizione di un contingente di peace keeping sul terreno, con un mandato dell’Onu che includa reparti europei, cinesi, turchi, indiani ed egiziani. La ricostruzione dell’Ucraina dovrà coinvolgere imprese cinesi e turche per garantirsi che la Russia non bombardi i cantieri. Insomma, preso atto che nessuna delle due parti è più in grado di vincere una guerra convenzionale, potrebbe “scoppiare” la pace, come ha scritto Federico Fubini nei giorni scorsi.

UE: la Germania va per conto suo!

Il mancato raggiungimento dell’accordo sul Price Cap del gas e le due ultime iniziative politiche del Cancelliere tedesco Scholz (prima i 200 miliardi deliberati a favore dei cittadini e delle imprese imprese tedesche e poi il viaggio a Pechino con una delegazione economica di imprenditori) non hanno di certo aiutato il consolidarsi di una immagine coesa dell’Unione Europea. Anzi! L’esempio tedesco sta a significare che il rischio che “ognuno vada per la sua strada” non può essere completamente escluso, con tutte le tragiche conseguenze immaginabili. E’ vero che formalmente Berlino respinge tali accuse, sostenendo che i benefici dei 200 miliardi di investimento decisi dal governo creeranno benefici in tutta l’Unione Europea e che l’incontro a Pechino con Xi Jinping ha permesso a Scholz di ottenere la promessa da parte del leader cinese di un presidio su una “non escalation” militare di Mosca verso l’uso delle bombe nucleari, ma i sovranisti di ogni paese membro soffiano sul fuoco di una contestazione che mira ad evidenziare la fragilità di una Europa unita, un progetto ormai fallito.

Proprio questa settimana verrà presentato un nuovo Patto di Stabilità, uno dei pilastri su cui si regge la politica di bilancio dei paesi membri. La Commissione Europea aveva deciso di sospenderlo per la crisi pandemica fino alla fine del 2023. Il Piano attuale richiede il rispetto di alcuni parametri di bilancio che ruota intorno a due cardini: il deficit pubblico che non deve superare il 3% del PIL. Il debito pubblico che non deve superare il 60% del PIL. Questo il quadro normativo fino ad oggi. Il nuovo Piano dovrebbe prevedere maggiori flessibilità a favore dei paesi membri nella gestione del proprio deficit e del rientro del proprio debito. Potrebbe addirittura essere cancellato il primo dei due parametri, quello del 3% del PIL. Per il nostro Paese ovviamente sarebbe un grande vantaggio.

Ancora più flessibilità per le politiche economiche europee

A fronte di questa maggiore flessibilità ci sarà però il rafforzamento dei controlli sulle politiche economiche dei singoli stati membri con un rafforzamento delle misure sanzionatorie per i partner che non dovessero rispettare i criteri previsti dal nuovo sistema. I paesi con debito eccessivo, come l’Italia, dovranno prevedere un piano di rientro quadriennale con la Commissione. Nessuno potrà sforare il Piano, pena il ritorno dell’incubo di una “troika”. Se il nuovo Piano di Stabilità dovesse rispettare queste previsioni, il governo Meloni dovrebbe avere un orizzonte temporale di quattro anni per impostare un graduale rientro della magnitudine del debito esistente con un po’ più di tranquillità e tempo di esecuzione. Questo il quadro generale agli inizi di questo decisivo novembre 2022 per capire le mosse dei quattro protagonisti internazionali sullo scacchiere del Grande Gioco. Alla prossima puntata.

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