I sogni sono il “pepe della vita”. Il motore del cambiamento. L’ossigeno e l’energia per non impigrirci annoiati nella routine quotidiana. Chi non sogna non valorizza la sua vita. Non sfrutta la straordinaria opportunità offertaci dallo stare in questo mondo.

L’oggetto dei sogni può ovviamente essere vario. Privato o pubblico. Sentimentale o politico. Lieto o agghiacciante. Gli esperti della materia ci insegnano che attraverso il meccanismo del sogno notturno noi riusciamo ad esorcizzare le nostre paure, le nostre fragilità, le nostre angosce.

Dunque il sogno può diventare un formidabile farmaco contro le nostre insicurezze e i nostri sensi di inadeguatezza.

Ci sono sogni ad occhi chiusi e sogni ad occhi aperti. Pickett vorrebbe, con questo scritto, concentrarsi su questi ultimi, dopo aver letto due libri di due pensatori moderni. Il primo, Zygmunt Bauman, mancato agli inizi di quest’anno ultranovantenne, un monumento permanente del pensiero filosofico moderno; il secondo, giovanissimo, di soli ventinove anni, Rutger Bregman, teorizzatore, nel suo ultimo studio, della possibilità concreta di “cambiare il mondo”, di renderlo più giusto, più libero, più felice. Di trasformare, in altre parole, un’utopia in una realtà. Di lavorare per realizzare un sogno di convivenza tra esseri umani possibile e a portata di mano. Una frustata, insomma, quella di Bregman, per chi si è ormai culturalmente e filosoficamente arreso alla ineluttabilità di una convivenza tra cittadini del Villaggio Globale segnata da guerre, violenze, redistribuzioni della ricchezza inique, malessere e derive populiste e fasciste. Un appiattimento al peggio!

Un follia? Pickett lascia a voi ogni valutazione dopo aver letto il libro del giovane Bregman “Utopia per realisti. Come costruire davvero il mondo ideale”, Feltrinelli. Quello che Pickett suggerisce a chi voglia provarne la lettura è di cercare, almeno momentaneamente, di liberarsi dei pregiudizi che normalmente abitano i nostri cervelli e i nostri cuori, rendendoci cinici, distaccati, lontani da coinvolgimenti emotivi e passionali. Indifferenti o addirittura preoccupati dal vivere intensamente stati d’animo irrazionali che ci permetterebbero, invece, una partecipazione più attiva alle vicende complesse delle comunità in cui ciascuno di noi vive la sua quotidianità.

Solo così, ad avviso di Pickett, si potrà valorizzare lo scritto e la sfida lanciata dal giovane neozelandese Rutger Bregman: magari non condividendola, ma comprendendone bene il contenuto e il perimetro operativo.

Partiamo dunque da una sintesi del libro di Zygmunt Bauman “Retrotopia”, Laterza, uscito proprio in questi giorni in Italia. E lasciamoci poi trasportare piacevolmente dai sogni, dalle utopie realizzabili, dal “…e se fosse davvero possibile?” di Bregman.

Retrotopia: con il suo ultimo trattato Bauman sostiene che nella società contemporanea l’utopia guarda più al passato che non al futuro, considerandolo più rassicurante. Questo non significa una voglia a un ritorno diretto e immediato a una modalità di vita praticata nel passato: ”sarebbe impossibile” scrive Bauman. Tale sentiment rappresenta invece una ricerca affannosa e angosciata di punti di riferimento, anche filosofici, che sono ritrovabili soltanto nel passato e non drammaticamente nel futuro. Tali riferimenti, secondo l’autore di Retrotopia, sarebbero stati abbandonati “pur avendo dato buoni risultati” e sarebbero stati irresponsabilmente mandati in rovina. Ci sono buone ragioni, per Bauman, per ipotizzare che l’avvento del mondo di internet abbia segnato il declino di una certa filosofia di vita: “ma non certo il tramonto della politica della memoria storica di cui ha semmai moltiplicato le possibilità di applicazione, reso infinitamente più accessibili gli strumenti per praticarla e potenzialmente spinto all’estremo le conseguenze.” Questa grande nostalgia del passato testimonia le paure per un futuro privo di quei riferimenti che hanno aiutato l’umanità a evolversi in modo civile e democratico. Uno scenario lucido, suggestivo ma indubbiamente drammatico se lo si volesse usare come paradigma diagnostico del malessere esistente.

Utopia per realisti. Come costruire davvero il mondo ideale: a fronte del pessimistico realismo di Bauman, la lettura delle tesi esposte da Bregman apre delle piccole luci di speranza. In una recente intervista rilasciata a Simonetta Fiori di La Repubblica, Bregman ha cosi fotografato i perché della sua scelta intellettuale di scrivere questo libro: “sono nato un anno prima della caduta del Muro. E sono cresciuto in un’epoca in cui la gente cominciava a pensare che la storia fosse finita, la stagione delle grandi narrazioni tramontata. E che essere di sinistra significasse occuparsi soltanto della crescita economica e del prossimo iPhone. Ho sempre avuto la fastidiosa sensazione che ci fossimo perduti qualcosa.” Di qui è partito lo stimolo per la provocazione contenuta già nel titolo del libro del giovane filosofo neozelandese.

Il malessere di oggi, la passione triste che ci accompagna nella società opulenta occidentale dell’abbondanza – scrive Bregman – è la totale assenza di nuovi orizzonti. Oggi siamo molto più ricchi, molto più longevi, molto più colti, molto più sani rispetto a cinquant’anni fa ma non siamo più “capaci di sognare”. “Nel Paese della Cuccagna non c’è spazio per le utopie – continua Bregman – ci accontentiamo del benessere raggiunto senza aspirare a nuovi traguardi. Ma le utopie sono necessarie perché spalancano le finestre della mente. E alla stregua dell’umorismo e della satira accendono l’immaginazione.” Bregman ci tiene anche a sottolineare la delicatezza di certe utopie che sono state terreno fertile per guerre, sistemi dittatoriali, violenze, genocidi. “La storia è piena di varianti orribili di utopismo. Proprio come ogni religione ha generato le proprie sette fanatiche. Ma se un fanatico religioso invita alla violenza, dobbiamo automaticamente scartare l’intero credo? Dovremmo smettere definitivamente di sognare un mondo migliore?”. La risposta di Bregman è un NO forte e gridato in ogni pagina del suo volume. Il suo libro è già diventato il manifesto di riferimento di alcuni movimenti politici nati in Olanda e in Belgio. È stato recensito positivamente proprio da quel Zygmunt Bauman che lo ha letto mentre lavorava al suo ultimo volume sulla Retrotopia. “Quando ho finito di scrivere il libro – ha raccontato Bregman a Simonetta Fiori – mi sono procurato la mail di Bauman per farglielo leggere. Il giorno dopo nella mia posta elettronica c’era già il suo messaggio: “Grazie! Ora alla mia diagnosi della malattia potrò affiancare la tua prescrizione per la terapia.”

Vediamo il contenuto del manifesto provocatorio di Bregman. Proviamo a sintetizzarne gli aspetti principali: nell’utopia realizzabile immaginata dall’autore, ritroviamo l’aspirazione a sradicare la povertà con il reddito universale di base; la riduzione della settimana lavorativa a quindici ore per permettere a uomini e donne di occuparsi della famiglia e della collettività; l’abbattimento di confini e barriere per accogliere i popoli migranti. “So bene che la politica, nel breve termine, potrebbe considerare le mie idee come folli: non molto realistiche. Ma credo nel contempo che sia il compito dell’intellettuale quello di rendere realistico l’irrealistico, l’impossibile possibile. Gandhi ammoniva: prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci. Il sogno più grande – continua Bregman – sono i soldi e la dignità che un lavoro ti garantisce. Purtroppo il nostro sistema economico ti costringe a lavori mal pagati che non ti danno sicurezza né dignità.

Il manifesto di Bregman è una grande invocazione al ritorno di una politica intesa come passione ideale e non come amministrazione dell’ordinario. È la sinistra, in senso lato, la parte politica che dovrebbe assumere il ruolo di innescatore di questa modalità nuova di gestire al nostra convivenza e di farci tornare a sognare in un futuro migliore. Secondo il filosofo neozelandese, il più grosso difetto del socialismo, che lo rende perdente, è quello di essere terribilmente noioso. “Avrebbe una storia da raccontare ma non ha un linguaggio per narrarla. Oggi la sinistra europea sa dire solo cosa non è, e contro chi è. Noi invece abbiamo bisogno di essere a favore di qualcosa. Abbiamo bisogno di immaginare una società diversa e di dare alla gente una speranza.” Martin Luther King diceva “I have a dream” e noi dobbiamo fare lo stesso invece di coltivare gli incubi.

“Oggi il mondo vive una profonda crisi di senso. Pensiamo al numero crescente di persone che percepiscono il proprio lavoro come superfluo e sostanzialmente inutile. Siamo contornati di mestieri inutili che tra l’altro, spesso, sono anche i più pagati.”

Il successo del libro di Bregman è stato incredibile: i diritti del libro sono stati comprati da ventun paesi in tutto il mondo: “Fino pochi anni fa mi sentivo intellettualmente isolato ma oggi sono milioni di persone nel mondo a pensare ad un’alternativa radicale. Specialmente dopo l’ascesa di Trump e la rottura di Brexit è evidente che non possiamo restare attaccati allo status quo. Ogni crisi è un’opportunità. Ed è nei momenti di crisi che attecchiscono nuove idee.”

UNA RIFLESSIONE FINALE. La speranza di Pickett è che le due forti e profonde riflessioni/provocazioni di Bauman e Bregman ci aiutino ad uscire da degli schemi di ragionamento e da delle categorie concettuali che consideriamo le uniche possibili e che invece ci stanno portando a consolidare pregiudizi vecchi e stantii, soprattutto non utili a immaginare livelli di convivenza più moderni e risolutori di un malessere che sta mettendo a rischio la coesione sociale in tutto il mondo.

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