Aveva 21 mesi e la sfortuna di vivere in un Paese incivile.
Evan, massacrato di botte per tre volte negli ultimi mesi, non ce la più fatta e ha lasciato questo “mondaccio”, in grado solo di manifestare solidarietà formale, in silenzio, pieno di lividi, fratture, segni di una violenza inusitata su un bimbo di neanche due anni.
Siamo di fronte all’ennesimo caso di infanticidio che si somma a quelli numerosissimi di femminicidio.
Non dobbiamo avere più alibi, sia individualmente (i vicini di casa che si stupiscono spesso, apparentemente sorpresi dell’accaduto!) sia collettivamente (se, come ci diciamo ogni volta, questa è una vergognosa “franchigia” concessa ai piu forti nei confronti dei piu’ deboli): questa è una vergogna inammissibile!
Non è vero che non si possa combattere e arginare: basta investirci risorse adeguate, competenze professionali, coraggio e impegno civile.
Il paradigma delle reazioni istituzionali per la morte del piccolo Evan è significativo del disastro burocratico in cui viviamo: il Procuratore Aggiunto di Genova, Francesco Pinto è stato trasparente nello spiegare come possa essere successo che l’esposto del padre separato di Evan, Stefano Lo Piccolo, che denunciava le violenze che la madre e il suo nuovo compagno infliggevano a suo figlio, sia giunto sui tavoli degli uffici competenti 15 giorni più tardi … dopo la morte del bambino, massacrato dall’ultimo atto di bestiale violenza subito.
“L’esposto – ha dichiarato Pinto ai giornali – è stato depositato il 6 agosto a Genova e non conteneva evidenze probatorie. Il fascicolo è stato iscritto il giorno dopo a “ modello 45” relativo ad atti non costituenti reato, senza alcun nome sul registro degli indagati.”
Fermiamo un attimo la dichiarazione del magistrato, per ricordare a tutti che quell’esposto aveva degli allegati e cioè delle fotografie di Evan con il volto tumefatto e uno screenshot con le minacce al padre da parte del convivente della madre.
Dunque, per la Procura di Genova non c’erano evidenze probatorie !!!!
Torniamo alla ricostruzione di Pinto sui 15 giorni trascorsi dal deposito dell’esposto al suo arrivo alla Procura di Siracusa, competente territorialmente in quanto Letizia Spatola, mamma di Evan abita attualmente a Modica.
Il giorno dopo il Pm di Genova ha spedito comunque – ha precisato Pinto – l’atto a Siracusa”.
Bonta sua, ci verrebbe da gridare: vista la gravità degli indizi, suffragati dalle foto allegate, forse, sarebbe stato “più opportuno” trovare una forma di spedizione e allerta dei colleghi siciliani piu efficiente … o no?
Il fascicolo – ha continuato Pinto – è passato al personale amministrativo che dopo il fine settimana, il giorno 10 lo ha inserito nel “Sistema Informativo della Cognizione Penale” insieme a centinaia di altri atti. Il 14 agosto è stato messo in spedizione. Passati Ferragosto e un’altra domenica, il 17 la raccomandata è partita da Genova.”
Straodinaria poi la chiusura della dichiarazione: ”Che ci abbia poi messo altri quattro giorni ad arrivare a Siracusa non dipende da noi.”
La burocrazia aveva fatto il suo tragitto: i burocrati coinvolti possono affermare in modo preciso la loro irresponsabilità su quanto malauguratamente accaduto nel frattempo ad un piccolo bambino che dopo tante, allucinanti botte, all’ultimo “round” si è arreso, esalando  il suo ultimo respiro.
Alcune brevi riflessioni finali, certo dettate da un malessere non più risolvibile con alibi puerili o con giustificazioni organizzative o burocratiche.
1) Nessuno contesta il principio che ogni esposto-denuncia debba essere verificato nella sua fondatezza. Sta nella sensibilità dei magistrati accellerare o meno l’iter istruttorio in funzione del contenuto dell’atto e della sua delicatezza.
2) Se, come spesso accade, la magistratura e le forze dell’ordine non sono in grado di svolgere SUBITO ed efficaciemente il loro intervento, soprattutto nei casi di possibile violenza ripetuta ai danni di vittime più deboli, per carenza di mezzi e di risorse, allora i ministeri competenti allochino a bilancio le spese di investimento necessarie per colmare tale, denunciato, deficit di strutture organizzative di controllo del territorio.
3) In tale ipotesi, se il governo non dovesse inserire al primo posto delle priorità questo tipo di intervento, allora ci dovremmo chiedere tutti se questa è davvero una priorità culturale di civiltà e di rispetto e tutela dei soggetti più deboli: oppure se, nella realtà non lo sia. E ciascuno di noi ne trarrà le sue personali conseguenze in termini di voto.
4) Last but not least, noi tutti siamo chiamati a vigilare su questi fenomeni prima che sfocino in morti ammazzati. Dobbiamo svolgere il nostro dovere di cittadini di aiutare le forze dell’ordine a svolgere il loro lavoro nel modo migliore, prevenendo la consumazione di reati gravissimi contro vittime più deboli, sovente nel perimetro delle mura domestiche. Non dobbiamo sostuirci ai carabinieri e ai poliziotti ma neanche assumere atteggiamenti omertosi e complici.
Deve diventare una priorità anche per noi: non possiamo più girare la testa dall’altra parte, facendo finta di niente.
Ormai questa sarebbe una omissione grave sia eticamente sia giuridicamente.
Basta con le grida disgustate che durano lo spazio di un giorno.
Basta con la solidarietà concessa formalmente ma non sentita sostanzialmente.
Basta con una distrazione inammissibile e non da Paese civile.
È una vergogna che ci riguarda tutti e che dobbiamo smettere di “albergarla dentro di noi” con l’egoismo tipico di chi, per ora, non ha quel problema “nel cerchio magico” dei suoi affettti.

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